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De Martin: "Perché è importante affermare l'anonimato come un diritto del cittadino"

Di Stefania Maurizi

Pubblicato su espressonline, 31 luglio 2015

(http://espresso.repubblica.it/attualita/2015/07/31/news/juan-carlos-de-martin-ecco-perche-e-importante-affermare-che-l-anonimato-e-un-diritto-del-cittadino-1.223551)

La Magna Carta dei diritti in internet è stata approvata dalla commissione parlamentare voluta dalla presidente della Camera Laura Boldrini. Adesso, però, occorre fare in modo che i diritti non restino solo intenzioni. In altre parole, la sfida più grande inizia ora. Sulla Dichiarazione, dopo l'intervista a Renata Avila , "l'Espresso" ha approfondito alcuni temi con Juan Carlos De Martin, professore presso il Dipartimento di Automatica e Informatica del Politecnico di Torino e co-fondatore del "Nexa Center for Internet & Society" presso la stessa università. De Martin è membro della Commissione parlamentare che ha creato la Carta e profondo conoscitore del rapporto Internet e società.

Ora che la Carta dei diritti in Internet è realtà, qual è il passo successivo?

«Il passo successivo sarà una mozione parlamentare il più possibile unanime - a cui stanno lavorando gli uffici della Camera e che si discuterà a settembre - in cui il parlamento invita il governo ad attivarsi secondo le linee della dichiarazione».

Cosa dovrebbe fare il governo concretamente?

«Proposte di legge, decreti in alcuni casi. Il parlamento, in realtà, ha già delle proposte di legge che si ispirano ad alcuni punti della Dichiarazione: c'è la proposta sulla neutralità della Rete, che è in corso di discussione, e c'è più di una proposta di modifica costituzionale per inserire il diritto di accesso alla Rete in Costituzione. Quindi il parlamento ha già iniziato a fare qualcosa, in questo periodo storico, però, è il governo il principale legislatore. Purtroppo».

Qual è lo scoglio più grande che vedete all'orizzonte, in tema di protezione dei dati? Questo è un Paese in cui un investigatore può ottenere, per esempio, i metadati di un giornalista, ovvero la lista delle persone che contatta, e quindi delle sue fonti, senza neppure un mandato dell'autorità giudiziaria. Stando così le cose, c'è molto da lavorare nella direzione della protezione dei dati...

«Sì, ha fatto proprio un esempio di quello che noi abbiamo cercato di fare con questa dichiarazione: rafforzare diritti esistenti, però rafforzarli nel dominio digitale, dove per vari motivi, diritti antichi sono meno tutelati che nel mondo fisico, come la corrispondenza cartacea o la telefonata tradizionale. Lei parla di metadati, ma nel 1946 nessuno sapeva cosa fossero, forse neanche esisteva il termine. La Dichiarazione dei diritti in Internet cerca di dire: guardate che quel diritto lì, già antico, già noto, va tutelato in modo ugualmente forte in ambito digitale».

Quali ostacoli vede all'orizzonte?

«Premesso che non sono un giurista, in questo momento in Europa, almeno sulla carta, la tutela dei dati personali è molto forte, forse è l'area del mondo in cui è più forte. Ciò detto, noi sappiamo che l'anno scorso la Corte di Giustizia europea ha abolito la direttiva sulla “Data Retention” con una decisione di straordinaria importanza. E i singoli paesi stanno facendo di tutto per ignorare questa sentenza».

La sentenza della Corte di Giustizia è uno dei frutti del dibattito innescato da Edward Snowden...

«Assolutamente. Quindi se lei mi chiede qual è l'ostacolo, le dico che è politico, perché la Corte di Giustizia europea non ha detto aboliamo qualche parte della Direttiva, ha detto chiaramente e con un atto senza precedenti, aboliamo tutta la Direttiva. A questo punto, la politica e la pubblica opinione devono attivarsi per far capire ai singoli governi che la decisione è basata su diritti fondamentali di cittadini dell'Unione Europea e non possono ignorarla. Quindi l'ostacolo è gigantesco: siamo proprio nel cuore della politica. In questo momento noi vediamo che, nonostante la lezione post 11 settembre e le rivelazioni di Snowden, la Francia, la Spagna, l'Inghilterra vanno verso l'adozione di leggi che restringono i diritti dei cittadini anche in ambito digitale. Pensiamo alle ultime leggi francesi, per esempio. La nostra è una dichiarazione che ha un respiro di livello costituzionale, proprio per limitare la possibilità del legislatore di fare leggi liberticide. Noi abbiamo proposto una specie di Costituzione di Internet, proprio per rallentare e, idealmente, impedire la deriva che stiamo vedendo in questi mesi, anche dopo l'attentato di Parigi. Per fortuna in Italia non abbiamo visto una deriva così pronunciata anche grazie al lavoro di alcuni parlamentari competenti in questi ambiti, che hanno fatto capire il pericolo di andare in una direzione come quella francese».

A cosa si riferisce esattamente?

«Mi riferisco al momento in cui si discuteva della possibilità di legittimare l'uso di trojan e malware nell'ambito dell'approvazione del decreto antiterrorismo. Lì abbiamo avuto alcuni parlamentari molto competenti, che, lavorando con il ministero degli Interni, lavorando con il parlamento, hanno impedito che si arrivasse a una misura di quel tipo. Quindi c'è anche qualcosa di positivo in Italia, per fortuna».

Anche se poi abbiamo il trojan della Hacking Team...

«Quello scandalo è tutto da chiarire: chi ha comprato quel software e perché lo comprato e per cosa l'ha usato».

In un'intervista a l'Espresso , Renata Avila, che guida l'iniziativa "Web We Want" sotto l'egida della Fondazione di Sir Tim Berners-Lee () ha rilevato che la Carta italiana dei diritti in Internet non fornisce una sufficiente tutela all'anonimato, che è un diritto fondamentale per la libertà di espressione. A suo avviso, l'anonimato è sufficientemente tutelato nella Carta?

«Secondo noi, sì. C'è sicuramente una tensione, ma bisogna affermare in maniera forte che il diritto all'anonimato è un diritto del cittadino».

E questa è già una conquista, perché c'è anche chi dice che l'anonimato non è un diritto...

«Esatto. Ed è una conquista soprattutto in Italia, perché per la mia esperienza è poco diffusa la consapevolezza dell'anonimato come diritto. In altre culture è più forte. Già dirlo in maniera esplicita mi sembra una conquista per l'Italia. Poi in tutto il mondo c'è comunque una tensione: l'anonimato non può deresponsabilizzare le persone. Una persona non può usare l'anonimato per diffamare le altre persone. Come risolvere questa tensione? Non c'è una soluzione pulita, netta».

Uno dei problemi che, giustamente, sottolinea Renata Avila è che la nostra Carta dei diritti in Internet prevede che l'autorità giudiziaria possa procedere all'identificazione dell'autore anonimo di una certa comunicazione. Quindi sì, il diritto all'anonimato messo nero su bianco è una conquista, ma poi rimane la spada di Damocle che si possa sempre procedere all'identificazione dell'anonimo nei casi previsti dalle legge. Quindi che cosa aggiunge davvero questa Carta in materia di protezione dell'anonimato?

«La nostra commissione rappresentava tutti i gruppi parlamentari, quindi inevitabilmente abbiamo dovuto tenere conto della sensibilità di tutte le forze politiche del parlamento. Un'associazione per i diritti civili può essere molto più libera e molto più netta e quindi mi aspetto che la “Web Foundation”, che Renata Avila rappresenta, potrà essere molto più libera nel redigere la Internet Magna Carta voluta da Tim Berners-Lee. Ciò detto credo che anche Renata Avila riconosca la tensione che c'è sull'anonimato: non c'è un diritto assoluto, in qualunque circostanza, all'anonimato».

No, non c'è un diritto assoluto, ma se di fatto il diritto all'anonimato nella Carta dei diritti in Internet è riconosciuto nel perimetro delle leggi italiane, cosa aggiunge questa Carta rispetto alle leggi che già abbiamo?

«Nel testo abbiamo ripetuto, proprio per porre dei limiti a un ipotetico legislatore, che non basta che lo dica la legge, bisogna rispettare la libertà della persona, la proporzionalità della misura e tutta una serie di principi generali che deve rispettare il legislatore. Abbiamo inserito una serie di paletti: proporzionalità, pertinenza, ecc.. E non basta che si pronunci un parlamento democratico, perché vediamo le derive francesi, per esempio. Il parlamento democratico deve anche legiferare rispettando alcuni principi e diritti generali, proprio perché siamo consapevoli che anche in paesi con solide tradizioni democratiche stiamo assistendo ad abusi paurosi».

Facciamo un esempio: una fonte anonima rivela a un giornalista qualcosa di importante sul ruolo italiano nella guerra in Afghanistan. In che modo questa Carta contribuirebbe a difendere l'anonimato della fonte, se forze dell'ordine e servizi d'intelligence insistessero che la fonte vada individuata per ragioni di protezione della sicurezza e dell'interesse nazionale?

«Nella Carta diciamo che il diritto all'anonimato è particolarmente forte quando la persona sta esercitando i suoi diritti civili e politici. Un eventuale whistleblower che cercasse di mettere in evidenza le violazioni alla nostra Costituzione, per esempio, starebbe esattamente esercitando i suoi diritti.

Ma nella Carta si dice che la tutela dell'anonimato può prevedere limitazioni, quando queste siano giustificate dall'esigenza di tutelare rilevanti interessi pubblici. Quindi i nostri servizi di sicurezza, di fronte a un whistleblower anonimo, potrebbero pretenderne l'identificazione in nome della tutela di interessi pubblici superiori...

«Mi rendo conto che quell'espressione può essere piegata a giustificare cose differenti. La nostra è una commissione parlamentare, quindi è evidente che su temi delicatissimi come questo, ciò che abbiamo scritto riflette un compromesso accettabile per tutti».

Ora che la Carta è stata presentata, come vi muoverete?

«Come dicevo prima, il primo passaggio è la mozione parlamentare, a settembre, dopodiché abbiamo un obiettivo già molto concreto perché siamo nel programma dell'Internet Governance Forum, nella prima metà di novembre, e quello è un appuntamento in cui Stefano Rodotà parlerà di questa dichiarazione a fianco a Tim Berners-Lee. Poi un ovvio interlocutore di un documento di questo tipo è il parlamento europeo, per portare la discussione in Europa».

In un'Europa sempre più caratterizzata da derive come quelle dell'Inghilterra o della Francia – che ha approvato una legge draconiana sulla sorveglianza di massa – lei ha fiducia che una Carta dei diritti in Internet possa essere adottata a livello europeo?

«Sono molto preoccupato da quello che sta avvenendo in Europa, specialmente in questi ultimi mesi, e che il rilancio dell'Europa possa soltanto avvenire sul terreno dei diritti e delle idee. E quindi non so se sono ottimista o pessimista, ma se c'è una via d'uscita da questo terribile momento è proprio puntare su questo tipo di iniziative».