Home page Interviste

Renata Avila: con la Carta dei diritti in Internet l'Italia ha preso la direzione giusta

Di Stefania Maurizi

Pubblicato su espressonline, 29 luglio 2015

(http://espresso.repubblica.it/attualita/2015/07/29/news/renata-avila-con-la-carta-dei-diritti-in-internet-l-italia-ha-preso-la-direzione-giusta-1.223231)

Per una volta, primi in Europa. E, giustamente, orgogliosi. Il Bill of Rights, la Carta dei diritti in internet presentata alla Camera, segna un cambiamento di tendenza in un Paese che in Europa si è distinto per l'apatia nel dibattito internazionale innescato dalle rivelazioni di Edward Snowden. Sulla nostra Carta dei diritti in internet,“L'Espresso” ha intervistato Renata Avila, avvocato guatemalteco esperto in diritti umani, membro dell'advisory bord della “Courage Foundation”, che sostiene la difesa legale di Edward Snowden e di altri whistleblower di altissimo profilo. Avila guida l'iniziativa “ Web We Want ” portata avanti sotto l'egida della “World Wide Web Foundation” di Sir Tim Berners-Lee, l'inventore del World Wide Web.

La vostra iniziativa "Web We Want" ha contribuito all'approvazione del “Bill of Rights” per internet in Brasile, la prima “Costituzione della Rete” in assoluto nel mondo. Quindici mesi dopo la costituzione brasiliana, l'Italia ha il suo Bill of Rights. Come giudica l'iniziativa italiana?

«Complessivamente, ci sono molti punti apprezzabili: riconosce il ruolo chiave di internet in una società democratica, protegge la neutralità della Rete, include disposizioni sugli open data e riconosce l'accesso a internet come un diritto. Su alcuni punti, però, si rivela inferiore alle nostre aspettative. Per esempio, prevede che la privacy possa essere ancora violata “in accordo con le leggi”. Considerando che Inghilterra e Francia hanno appena approvato leggi che legalizzano forme aggressive di sorveglianza di massa, se l'Italia dovesse fare lo stesso, il principio della protezione della privacy verrebbe compromesso. La Carta, inoltre non assicura adeguata protezione all'anonimato e alla crittografia e le regole sulla conservazione dei dati personali da parte delle aziende sono vaghe. Di conseguenza, quanto davvero questa Bill of Rights protegga concretamente la privacy dei cittadini dipende largamente da altre leggi e da che tipo di controlli avete sulle attività dei servizi di sicurezza e di intelligence. E questo dipenderà dunque dalla politica e dalla visione che hanno politici eletti e autorità italiane, quindi la Carta non blinda questi diritti nel lungo termine. Dobbiamo avere un confronto sulla privacy, cosicché possiamo creare principi più forti e chiari. Se la confrontiamo con il Marco Civil, il Bill of Rights italiano è diverso. Il Marco Civil è attualmente una “legge quadro”: uno strumento vincolante che stabilisce principi, ma che contiene anche un mandato affinché il governo approvi leggi che traducano in pratica i principi. Al momento, invece, come sia implementato e applicato il Bill of Rights italiano non è chiaro».





Quali sono le risorse più importanti della carta italiana, a suo avviso?

«Il preambolo afferma: “Internet deve essere considerata come una risorsa globale e che risponde al criterio della universalità”, un'affermazione che per noi è fondamentale per tutto ciò che la Rete è: un bene universale, aperto, pubblico che deve essere usato da tutte le persone in qualsiasi momento. Il Bill of Rights stabilisce anche che l'accesso a internet è un diritto e garantisce che tutti i diritti umani valgono in rete: questo è assolutamente un passaggio chiave. Inoltre la protezione della neutralità della rete combinata con l'accesso alla rete come diritto comportano che tutto il web sarà accessibile a tutti i cittadini in ogni momento. Dobbiamo anche sottolineare il processo partecipativo usato per creare la carta. Anche se il numero dei cittadini che hanno partecipato, in termini di percentuale della popolazione italiana, è stato piccolo, è stato significativo il fatto che molti esperti abbiano avuto la possibilità di dare il proprio contributo direttamente. Questo è decisamente un passo nella giusta direzione. Come abbiamo visto in Brasile e altrove, una società civile attiva e impegnata è la chiave per ottenere risultati sul lungo termine. Dobbiamo fare anche di più, in modo che il governo tragga beneficio dalla conoscenza degli esperti nel processo di elaborazione delle politiche».

Il Bill of Rights italiano stabilisce: “i dati possono essere raccolti e trattati con il consenso effettivamente informato della persona interessata o in base a altro fondamento legittimo della legge. Il consenso è in linea di principio revocabile. Per il trattamento di dati sensibili la legge può prevedere che il consenso della persona interessata debba essere accompagnato da specifiche autorizzazioni. Il consenso non può costituire una base legale per il trattamento quando vi sia un significativo squilibrio di potere tra la persona interessata e il soggetto che effettua il trattamento». Grazie ai file di Edward Snowden e grazie ai documenti della Nsa pubblicati da WikiLeaks abbiamo capito come la Nsa conduce i suoi programmi di sorveglianza di massa raccogliendo miliardi e miliardi di dati senza alcun consenso e lavorando in stretta collaborazione con i servizi segreti di vari paesi. Lei crede che le Costituzioni della Rete di Italia e Brasile avranno un impatto di qualsiasi tipo sulle attività si sorveglianza della Nsa? E se sì, che tipo di impatto?

«La cosa più importante che questa carta può fare è agire da strumento per educare le persone sui propri diritti. Una volta che la consapevolezza è acquisita e i cittadini hanno questo documento a cui far riferimento, possono chiedere conto al loro governo e pretendere che i propri diritti siano rispettati. Gli italiani possono usarla per combattere contro gli abusi dei loro diritti. Basta guardare alla tendenza globale che va verso una sempre maggiore sorveglianza, come accade in Francia, in Inghilterra, in Europa. Basta guardare a come il governo italiano ha fornito un ambiente permissivo ad aziende come la Hacking Team, il cui software è usato per abusare i diritti. La lista è purtroppo lunga e va oltre ciò che i file di Snowden hanno rivelato. Dobbiamo affrontare la realtà: i cittadini hanno perso terreno. Come creatori e utenti della Rete, il nostro futuro e la nostra libertà sono a rischio. Siamo a un momento di svolta nella storia di internet e dobbiamo decidere in che tipo di società vogliamo vivere e di che tipo di Rete vogliamo essere parte: vogliamo una società libera o controllata? Per quanto mi riguarda, la scelta è ovvia e dobbiamo usare questa carta per chiedere diritti alla privacy certi per l'Italia ed essere di esempio per il resto d'Europa e per il mondo. Io sono d'accordo con quanto prevede il Bill of Rights italiano: il consenso non costituisce la base legale per il trattamento dei dati quando esiste un significativo squilibrio di potere tra la persona soggetta al trattamento dati e chi lo effettua e anche quando chi tratta i dati fa patti segreti con il nostro Stato o con Stati esteri, come abbiamo scoperto grazie alle rivelazioni di Snowden».

Secondo lei, la carta italiana offre una sufficiente protezione alle comunicazioni anonime? In Brasile, questo aspetto è stato oggetto di notevoli controversie.

«Al momento, le misure della Carta sulla protezione dell'anonimato non sono soddisfacenti e lasciano spazio all'interpretazione: l'anonimato è solo protetto, a meno che la legge non preveda diversamente. Questo fornisce un appiglio alle forze dell'ordine e ai servizi di intelligence per annullare il diritto alla privacy dell'individuo, quindi la natura della legislazione italiana sulla sorveglianza e il controllo delle attività governative determineranno quanto la carta sia davvero efficace da questo punto di vista. Il diritto all'anonimato nell'era dei “big data” richiede di più. Insieme con il diritto all'anonimato, la crittografia e la libertà dalla sorveglianza, il nostro diritto ai dati dovrebbe essere sviluppato ulteriormente. Ognuno di noi dovrebbero avere il diritto di possedere ed esercitare un completo controllo sui propri dati. I dati personali dovrebbero essere trattati e riusati solo con il totale e informato consenso dell'individuo interessato. E vogliamo andare oltre: il diritto a possedere i propri dati personali include anche il diritto di esportare, importare, trasferire, sincronizzare e trattare i dati. Come ho detto prima, carte dei diritti come quella italiana pongono le basi per il futuro, e dunque non dobbiamo solo riguadagnare terreno come individui, dobbiamo rivendicare anche nuovi territori, nuove libertà».

Ad oggi, come lei stessa ha notato, non è chiaro come la Carta italiana dei diritti in internet verrà fatta rispettare: che tipo di meccanismi ha approvato il Brasile per far applicare la sua carta?

«Il processo è attualmente in corso: il Marco Civil è una “legge quadro” e il governo brasiliano sta ora lavorando all'approvazione di leggi che traducano i principi della carta in pratica. Questo significa che la lotta politica continua per coloro che lavorano nel pubblico interesse e tutto diventa più tecnico. Il governo brasiliano continua con il metodo partecipativo e ha tenuto consultazioni pubbliche, online e offline, per le sue regole quadro sulla neutralità della Rete e sulla protezione dei dati. Noi dell'iniziativa “Web We Want” continuiamo a supportare la società civile brasiliana perché questa fase è ancora più complessa di quella iniziale in cui si discutevano i principi, ed è molto più tecnica. Società civile ed esperti devono esercitare una continua vigilanza in modo che lo spirito originale del Marco Civil sia preservato».

Lei crede che altri Paesi seguiranno l'esempio del Brasile e dell'Italia? Purtroppo, nazioni europee come la Francia, che ha appena dichiarato costituzionale una draconiana legge sulla sorveglianza di massa, rischiano di costituire un pessimo esempio in Europa...

«C'è assolutamente una tendenza a codificare i diritti della Rete, innescata dalla legislazione brasiliana, da Tim Berners-Lee e dagli appelli della sua Fondazione affinché venga stabilito un insieme di principi “per mantenere internet aperto”. Abbiamo urgentemente bisogno di un nuovo patto che ponga le basi per una era in cui stiamo entrando in modo da preservare i valori che ci definiscono umani e le conquiste del secolo passato: i nostri diritti fondamentali. Ci sono iniziative simili in vari giurisdizioni del mondo: la più promettente è in corso in Nigeria, seguita dalle Filippine e la Giordania. Stiamo seguendo tutte queste iniziative da vicino, e speriamo che servano da catalizzatore per altre. Questi processi stanno avendo luogo in società in transizione, sia economica che politica, ciascuno di essi affronta sfide uniche. Noi speriamo anche che il Bill of Rights italiano spinga l'Europa ad adottare una legislazione simile. A nostro avviso le proposte recenti dell'Agenda Digitale non erano all'altezza, specialmente nell'area della neutralità della Rete, ed erano ostaggio di interessi consolidati. Abbiamo bisogno di trasformare il Report sul Copyright presentato da Julia Reda in modo che rappresenti un cambiamento concreto. Le decisioni prese recentemente da Francia, Spagna e Inghilterra sono semplicemente deplorevoli: dobbiamo agire e l'Italia sta andando nella giusta direzione».