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007, missione propaganda: così l'intelligence usa il cinema per costruire consenso

Di Stefania Maurizi

Pubblicato su espressonline, 4 novembre 2015

(http://espresso.repubblica.it/internazionale/2015/11/03/news/007-missione-propaganda-cosi-l-intelligence-usa-il-cinema-per-costruire-consenso-1.237039)

Donne mozzafiato e intrighi internazionali. Da oltre mezzo secolo James Bond continua ad appassionare generazioni di spettatori e lettori, ammaliati da combattimenti spettacolari, tecnologie futuristiche e trame planetarie, in un successo di glamour muscolare e affari lucrosissimi. Sì, perché, come scrive “Oxford Economics” - una della maggiori società di ricerca e analisi dell'economia mondiale - «film come James Bond e Harry Potter costituiscono alcune delle più redditizie esportazioni per il Regno Unito».

Ma quando, a giorni, verrete stregati dagli occhi di ghiaccio di Daniel Craig e dalla calda sensualità di Monica Bellucci, pensate per un momento a quello che James Bond davvero rappresenta: un seducente strumento di propaganda a favore dell'intelligence britannica. Ad ammettere pubblicamente quanto James Bond sia efficace è stato niente meno che Sir John Sawers, l'ex capo dell'MI6, il vero servizio segreto inglese a cui la saga di Bond si ispira.

Nel gennaio scorso, dopo due anni di calvario per l'intelligence di Londra - finita nel mirino delle rivelazioni di Edward Snowden per la sorveglianza di massa, che i servizi inglesi portano avanti con l'americana Nsa - Sawers si è lanciato in una testarda difesa dell'operato degli 007 di sua Maestà. La priorità, scrive Sawers era ricostruire la fiducia dell'opinione pubblica e «le fiction di spionaggio, come i film di James Bond, hanno aiutato a potenziare la reputazione dei servizi di intelligence inglesi». Perché «La nostra buona reputazione nelle fiction popolari, come tutti sappiamo, ci ha aiutato a guadagnare fiducia».

Il potere seduttivo di James Bond è così forte da aver trasportato la fiction nella realtà. Basti considerare l'azienda della Cia che finanzia tutte le startup che costruiscono tecnologie ritenute strategiche dalla comunità di intelligence degli Stati Uniti. Si chiama “ In-Q-Tel ”, è stata creata nel 1999 e molti degli strumenti che hanno cambiato la nostra vita negli ultimi 10 anni provengono da alcune delle aziende finanziate da In-Q-Tel, come è successo con “Keyhole”, poi comprata da Google nel 2004 e diventata “Google Earth”. C'è una ragione per cui “In-Q-Tel” si chiama così: è la fusione della parola “Intel”, ovvero intelligence”, con “Q”, il nome del personaggio della saga di James Bond alla guida della divisione Q, quella che costruisce i gadget tecnologici per cui lo 007 è famoso in tutto il mondo.

Se l'intelligence inglese ha uno strumento di propaganda formidabile come Bond, anche gli americani della Cia o i russi dell'Fsb, comunque, non scherzano. Film come “Argo” di Ben Affleck hanno raccontato quanto profondi possano essere i rapporti tra il mondo del cinema e quello delle spie Usa. E “Zero Dark Thirty”, la pellicola di Kathryn Bigelow sulle operazioni coperte della Cia per arrivare all'eliminazione di Osama Bin Laden, permette di capire quanto certe relazioni possano diventare pericolose.

Negli anni in cui l'agenzia era sotto attacco per le torture, oggetto anche di una lunga indagine della commissione per l'intelligence del Senato americano, la Cia ha lavorato in collaborazione con la regista e con lo sceneggiatore di "Zero Dark Thirty" per far passare il messaggio che pratiche abominevoli come il waterboarding avevano permesso di arrivare a Bin Laden.

Per fare uscire un film di successo che veicolasse questa “verità”, l'allora direttore della Cia in persona, Leon Panetta, si spinse a far arrivare informazioni top secret sull'operazione contro Bin Laden allo sceneggiatore di Zero Dark Thirty, Mark Boal. E a dimostrazione di come la legge non sia affatto uguale per tutti, Panetta è uscito completamente indenne dall'indagine sulla fuga di informazioni riservate, mentre whistleblower come Chelsea Manning (la fonte di WikiLeaks) o Edward Snowden hanno avuto la vita distrutta per aver rivelato alla stampa documenti e informazioni segrete con lo scopo di denunciare gravi abusi dei diritti umani.

Anche a Mosca la propaganda dei servizi ha come veicolo privilegiato il cinema, come ha rivelato il giornalista investigativo russo, Andrei Soldatov, nel suo libro “The New Nobility”. E anche a Mosca, la ricetta sembra essere sempre la stessa: combattimenti spettacolari, auto da sogno, fascino muscolare e tecnologie avveniristiche. Nel film “Kod Apokalipsisa” (Codice Apocalisse) un'avvenente donna colonnello dell'Fsb riesce a salvare non una ma ben sette capitali mondiali. Mentre nel blockbuster del 2004 dal titolo “Lichnyy Nomer” i servizi russi salvano Roma da un devastante attacco terroristico progettato per colpire la città durante il G8: nel film non poteva mancare l'amico di Putin, Silvio Berlusconi, interpretato da Orso Maria Guerrini. Il risultato non è glamour come James Bond, ma gli ingredienti ci sono tutti, inclusa la Città Eterna, capace di sedurre gli 007 russi come quelli inglesi.

Soldatov racconta che, dopo il successo di "Lichnyy Nomer", l'Fsb si è concentrato in modo particolare sui documentari per la tv di stato, considerati la migliore opzione. Perché proprio i documentari? Costano poco, richiedono tempi di produzione meno lunghi, si possono presentare come lavori di giornalismo investigativo indipendente, e quindi frutto del lavoro di professionisti dell'informazione, anziché puro strumento di propaganda confezionato dall'Fsb e, mandati in onda sulla tv di stato, riescono a raggiungere milioni di cittadini russi. Andrei Soldatov racconta come nel 2006 uno di questi documentari dal titolo “Schpioni” (Spie) sia stato usato in modo strumentale dalla Russia di Putin per giustificare l'illiberale legge che ha portato a una stretta sulle Ong internazionali che operano nel paese.

Ma glamour, seduzione sessuale e tecnologica, alla base dei film sulle spie a tutte le latitudini del mondo, non riescono comunque ad arginare gli scandali scoppiati negli ultimi cinque anni: dalle rivelazioni di WikiLeaks a quelle di Snowden, l'opinione pubblica mondiale comincia a interrogarsi sul potere dei servizi d'intelligence, nei regimi come nelle democrazie. In una grande ricostruzione, pubblicata dalla Bbc subito dopo l'esplosione del caso Snowden, si racconta una serie imbarazzante di fallimenti dei servizi inglesi negli ultimi cento ann che più che la saga di James Bond, sembra quella di Mr. Bean, tanto che le conclusioni della Bbc sono impietose: «per la maggior parte del ventesimo secolo la combinazione di inettitudine e segretezza ha creato un'organizzazione (i servizi inglesi, ndr) che si è ritirata sempre di più in un mondo di complotti inventati, in modo da coprire i suoi ripetuti fallimenti. E la domanda è: succede così anche oggi? Disastri come il fallimento totale delle armi di distruzione di massa in Iraq (mai esistite, ndr) suggerirebbero che nulla è cambiato, ma il problema è che non abbiamo modo di scoprirlo: le spie vivono dietro un muro di segretezza e quando qualcuno le critica, loro rispondono di aver prevenuto attacchi e di averci salvato da pericoli terribili, ma che non possono mostrarci le prove, perché sono segrete».