Home page WikiLeaks e Julian Assange

Svezia, apertura su Assange. L'ex procuratore Hillegren: 'Chiudiamo il caso'

Di Stefania Maurizi

Pubblicato su espressonline, 15 gennaio 2014

(http://espresso.repubblica.it/internazionale/2014/01/15/news/svezia-apertura-su-assange-l-ex-procuratore-hillegren-chiudiamo-il-caso-1.148775)

«E' ragionevole che uno che si trova nell'ambasciata di Londra non abbia modo di uscirne per i prossimi ventisette anni, mentre gli svedesi potrebbero rimediare a questa situazione senza alcuno svantaggio significativo per nessuno?». A porsi questa domanda è Rolf Hillegren, un ex procuratore svedese che per la prima volta da quando Julian Assange ha perso la libertà, ovvero tre anni fa, ha rotto il silenzio che regna in Svezia sul caso del fondatore di Wikileaks.

A dare spazio a Hillgren è stato un giornale svedese, lo Svenka Dagbladet, che ha pubblicato un articolo in cui l' ex magistrato argomenta che Stoccolma dovrebbe semplicemente chiudere il caso, rimediando così a quelli che Hillgren considera una serie di errori della magistratura che hanno portato a una situazione senza uscita.

L'odissea giudiziaria svedese di Assange. Ricapitoliamo i fatti di questa storia infinita. E' il primo dicembre 2010, WikiLeaks ha iniziato a pubblicare i cablo della diplomazia Usa da tre giorni esatti, lavorando con il Guardian e altri grandi giornali internazionali. L'Interpol emette una red notice che rende Julian Assange un ricercato in tutto il mondo. La sua colpa? I procuratori di Stoccolma vogliono interrogarlo in merito alle accuse che gli rivolgono due donne svedesi. Dicono che, nel corso di rapporti consensuali con lui, Assange si sarebbe rifiutato di usare il preservativo nonostante la richiesta delle due.

Il caso era già esploso nell'agosto 2010, appena tre settimane dopo la pubblicazione dei file segreti sulla guerra in Afghanistan. La magistratura svedese aveva inizialmente aperto un procedimento per stupro, che poi era stato chiuso: il reato era stato derubricato a molestie. Poi, però, con l'intervento del nuovo avvocato delle due donne, Claes Borgstrom, il caso era stato riaperto come stupro dal procuratore Marianne Ny.

Il 27 settembre Assange vola a Berlino a un appuntamento con l'Espresso e con altri giornalisti. L'incontro con il nostro giornale era stato fissato con lo staff di WikiLeaks un mese prima. Nel corso del volo diretto dalla Svezia a Berlino i bagagli e i computer che viaggiano al seguito di Julian Assange spariscono nel nulla: lui si presenta all'incontro solo con una tracolla con il suo computer personale e una bustina di plastica con una t-shirt, uno spazzolino e qualche boccetta di sapone che gli sono state consegnate all'aeroporto dopo lo smarrimento dei bagagli. Nel corso dell'incontro con il nostro giornale, Assange viene chiamato dal suo avvocato svedese, Bjorn Hurtig, che gli comunica che la Svezia è pronta ad arrestarlo per interrogarlo. «Vogliono interrogarmi? Non potevano farlo prima? Sono stato in Svezia per sei settimane» commenta.

Sono appena trascorsi due mesi dalla pubblicazione dei file sulla guerra in Afghanistan, WikiLeaks si prepara a pubblicare quelli sulla guerra in Iraq e i cablo della diplomazia Usa. Assange teme che, tornando in Svezia per essere interrogato, ci sia il rischio serio che possa finire negli Stati Uniti ed essere incriminato per la pubblicazione dei documenti segreti del Pentagono e del Dipartimento di Stato. I procuratori svedesi non mollano: emettono un mandato di arresto e chiedono all'Interpol di procedere. Il 7 dicembre 2010, Assange si consegna alla polizia di Londra. Viene prima messo in prigione, poi per diciotto mesi ai domiciliari con un braccialetto elettronico alla caviglia. Assange e i suoi avvocati chiedono alla Svezia assicurazioni sul fatto che una volta estradato per essere interrogato non sarà estradato in America. La Svezia non fornisce alcuna garanzia e non accetta neppure la possibilità di interrogare Assange a Londra, come proposto dagli avvocati del fondatore di WikiLeaks.

Assange non è incriminato per alcun reato: la Svezia lo vuole estradare non perché deve scontare una pena o sottoporsi a un processo. L'indagine che lo riguarda, infatti, è ferma dal settembre 2010 alla fase preliminare. La Svezia vuole l'estradizione semplicemente per interrogarlo e ogni offerta dei legali di Assange di sentirlo a Londra, magari anche nell'ambasciata di Svezia che tecnicamente è suolo svedese, viene rifiutata dai procuratori di Stoccolma. L'australiano si oppone con ogni mezzo legale all'estrazione, convinto che lo esponga al rischio concreto di un ulteriore estradizione negli Stati Uniti. Quando ogni via legale è esaurita, si rifugia nell'ambasciata londinese dell'Ecuador, nel quartiere di Knightsbridge. Ad agosto 2013, l'Ecuador gli concede asilo politico perché ritiene fondata la preoccupazione di Assange.

Dal 19 giugno 2013 il fondatore di WikiLeaks si trova rinchiuso tra le quattro mura dell'ambasciata, sorvegliato giorno e notte dagli agenti di Scotland Yard, pronti ad arrestarlo se si azzarda a mettere piede fuori. E nessuno sa cosa possa sbloccare l'impasse che va avanti da 3 anni.

Il commento di Rolf Hillegren, pubblicato da Svenka Dagladet, rompe per la prima volta il silenzio che regna in Svezia sulla gestione di questo caso e su come se ne potrebbe uscire. Si tratta solo di un commento di un ex procuratore e quindi ha il valore di una semplice opinione, ma apre uno spiraglio su una situazione in cui lo stallo è totale. Una paralisi giudiziario-diplomatica di cui Julian Assange risente pesantemente. Ha perso la libertà dal 2010 e da oltre un anno e mezzo è confinato nei pochi metri quadrati dell'ambasciata ecuadoriana, un semplice e piccolo appartamento nel cuore di Londra, con poca luce e aria fresca: una condizione di vero e proprio assedio fisico e psicologico.

«Sono completamente convinto che la situazione sia molto problematica almeno per il nostro primo ministro, per il ministro della giustizia e per il nostro procuratore generale», scrive l'ex magistrato Hillegren, che contesta la decisione di aver riaperto l'indagine per stupro. «La decisione di chiudere il caso [la prima volta, ndr] era ben fondata ed era stata presa da un magistrato di esperienza. La decisione di riaprirlo non era così fondata, purtroppo, visto quello che poi è successo». Hillegren sostiene che «la situazione nel caso di Assange e delle donne è soprattutto una differenza di opinioni sull'uso del preservativo e questo non è un tipo di disputa che si può risolvere nei nostri tribunali. Se questo fosse accaduto a un uomo residente in Svezia, non ci sarebbe stato alcun danno. Sarebbe stato interrogato una volta ancora e poi l'indagine sarebbe stata chiusa. Ma il sospettato non è una persona qualunque e nessuno avrebbe potuto prevedere cosa sarebbe successo». Né Assange si è sottratto alla giustizia: durante la prima indagine è rimasto in Svezia a disposizione della magistratura, le accuse di stupro sono cadute e quando il caso è stato di nuovo riaperto, Assange ha temuto di finire estradato negli Usa. «Non importa che la sua paura sia fondata», scrive Hillegren, «è chiaro che Assange è convinto che sia una minaccia reale».

Come rompere l'impasse? L'unica via di uscita ragionevole per l'ex magistrato è che il procuratore generale, di sua iniziativa, ribalti la scelta della riapertura dell'indagine per stupro e che, per evitare qualsiasi possibile ricorso al tribunale da parte delle due donne, lo stato paghi loro, a titolo puramente gratuito, i danni che sarebbero stati riconosciuti alle due ragazze nel caso in cui Assange fosse davvero processato e condannato. A quel punto «Assange sarebbe capace di lasciare l'ambasciata come cittadino libero, non più con la prospettiva di rimanere a Knightsbridge per altri 27 anni». Se non si trova una soluzione politico-diplomatica, infatti, il caso si prescriverà solo nel 2040. E l'asilo concesso dall'Ecuador al fondatore di WikiLeaks rimarrà di fatto lettera morta. Non importa quanto l'asilo sia un diritto umano fondamentale.