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Caso Cardella, un tesoro in Nicaragua

Di Stefania Maurizi

Pubblicato su espressonline, 17 aprile 2013

(http://espresso.repubblica.it/attualita/cronaca/2013/04/17/news/caso-cardella-un-tesoro-in-nicaragua-1.53257)

Un tesoretto conteso, accumulato in uno dei paesi più poveri del centro America, il Nicaragua, da un personaggio che apparteneva al circolo più esclusivo delle amicizie di Bettino Craxi: Francesco Cardella. Guru legato al movimento degli arancioni, editore porno, cofondatore con Mauro Rostagno e con la moglie Chicca Roveri delle comunità terapeutiche per tossicodipendenti 'Saman'. E poi finito al centro dei sospetti per la morte di Rostagno, ucciso nel 1988 dalla mafia, ma forse non solo. Una storia in cui fecero capolino faccendieri, massoni, servizi deviati e traffici di armi con paesi come la ex Yugoslavia e la Somalia. Cardella fu accusato di essere coinvolto in questi intrighi e di essere stato addirittura il mandante dell'omicidio del socio, dopo che questi avrebbe scoperto i suoi affari. Accuse da cui fu poi scagionato.

Francesco Cardella è scomparso improvvisamente nell'agosto del 2011, stroncato da un infarto, proprio in quel Nicaragua in cui era arrivato negli anni '90, in seguito alle indagini sul caso Rostagno. A parlare a "l'Espresso" dei beni che avrebbe in quel paese del centro America è il figlio maggiore, Matteo Cardella, quarantenne fisico teorico, che, stando ai racconti di un compagno di università, sarebbe cresciuto spesso lontano dal padre. Matteo Cardella spiega a l'Espresso che due settimane fa è stato espulso dal Nicaragua, dove si trovava da tempo per occuparsi delle pratiche per ereditare parte dei beni, insieme alla famiglia che Francesco Cardella si era ricostruito: una moglie nicaraguense e tre figli tutti minori.

Non fornisce dati precisi sull'entità del tesoretto, ma cita due case, un terreno a Managua e il pezzo forte dell'eredità: la società 'Masapa Beach Resort', proprietaria di un grande appezzamento di terra (800 ettari secondo lui, 1200 ettari, secondo la stampa nicaraguense) sulla spettacolare costa del Pacifico nei pressi di Pochomil Viejo. «Dopo un investimento di denaro nella società di circa 3 milioni di dollari, nel 2006 mio padre divenne proprietario dell'intero pacchetto azionario di Masapa Beach Resort. In questa società ha investito energie, idee e anni di lavoro per una struttura con caratteristiche interessanti, quali un resort turistico che funzionasse ad energie alternative, una specie di città autosostenibile, con alcune caratteristiche che la avrebbero resa unica la mondo». Un progetto, secondo quanto rivela sul suo sito web lo studio legale Garcia&Bodan che si occupa di investimenti in centro America, da 163 milioni di dollari, che però secondo Matteo Cardella non è mai decollato. «Li c'è solo il terreno», racconta, «per estensione e posizione vale alcuni milioni di dollari». Quanti esattamente? Difficile quantificare, ma «certamente direi non meno di 5 o 6 milioni».

Il tesoretto, secondo quanto racconta Cardella a L'Espresso, sarebbe, tuttavia, al centro di un braccio di ferro tra gli eredi e Nestor Moncada Lau, segretario personale di Daniel Ortega, presidente del Nicaragua e leader di quel 'Fronte sandinista di liberazione nazionale' (Fsln), che prima ha liberato il paese dalla dittatura e poi si è trasformato in partito di governo. Secondo i cablo della diplomazia Usa rivelati da WikiLeaks, il segretario di Ortega, Nestor Moncada Lau è uno dei falchi dell' Fsln, «un ex membro delle forze di sicurezza di Lenin Cerna negli anni '80, connesso a tutta una serie di crimini, come assassini, trasporto di esplosivi e traffico di armi automatiche». Un personaggio molto potente e influente in Nicaragua. «Mio padre conosceva Moncada Lau dai primi anni '90, così come conosceva bene Daniel Ortega e sua moglie Rosario Murillo», ci racconta Matteo Cardella, aggiungendo che «in varie occasioni aveva aiutato anche economicamente il "Frente Sandinista" in quegli anni in cui non era al potere. Nestor Moncada Lau in particolare fu aiutato in un suo momento di grande difficoltà, accolto da mio padre per un lungo periodo nella sua casa ed aiutato economicamente in varie occasioni».

Per sviluppare il progetto del Masapa Beach Resort, Francesco Cardella cercava investitori con grossi capitali. Per questo entrò in società con l'attuale governo del Nicaragua, «cedendo il 25% delle quote», che secondo quanto ricostruisce il figlio, furono intestate a Moncada Lau e alla moglie. Dopo la morte di Cardella, però, sarebbe cominciati i problemi e «per un anno e mezzo sia io che i miei fratelli e la moglie di mio padre siamo stati vittime di un circolo vizioso, sapientemente architettato per impedire di fare passi in avanti per ottenere le nostre parti di diritto sull'eredità», sostiene Cardella. E quando lui si è rivolto alla stampa per denunciare il caso, contattando uno dei principali quotidiani nicaraguensi, 'la Prensa', sarebbe stato espulso dal paese. «La mia espulsione è avvenuta con le modalità di un sequestro», ci spiega, «sono stato fermato dalla polizia vicino casa, che mi aspettava con un numero anomalo di agenti in un posto di blocco».

Caricato in auto con quattro agenti dell'immigrazione, privato del portafogli, delle chiavi di casa e del cellulare, senza la possibilità di fare neppure una chiamata all'ambasciata, Cardella sostiene di essere stato portato tra le montagne al confine dell'Honduras, «dove volevano lasciarmi, al tramonto, in maglietta, al freddo e senza soldi», ricaricato in auto la sera, riportato dopo un viaggio di cinque ore a Managua, capitale del Nicaragua, sbattuto per una notte in una cella sporchissima e poi messo di nuovo su un auto e abbandonato al confine con il Costa Rica, senza soldi e senza alcuna assistenza. «Dopo la morte», denuncia infine, «sono stati sottratti documenti importanti dalla casa di mio padre».

"L'Espresso" ha contattato sia l'ambasciata d'Italia in Costa Rica sia quella in Nicaragua. Mentre la diplomazia italiana in Costa Rica ha collaborato prontamente con il giornale per verificare la situazione di Matteo Cardella e si è detta disposta ad assicurargli l'assistenza consolare di cui necessitasse, la nostra ambasciata in Nicaragua ha tenuto un comportamento bizzarro. Dopo tre email completamente cadute nel vuoto, l'Espresso si è visto rifiutare qualsiasi informazione sul caso e riagganciare il telefono.