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Wikileaks, Franco l'amico degli Usa

Di Stefania Maurizi

Pubblicato su espressonline, 18 aprile 2013

(http://espresso.repubblica.it/googlenews/2013/04/18/news/wikileaks-franco-l-amico-degli-usa-1.53330)

Franco Marini, il “lupo marsicano”, è un vecchio amico degli americani? Di sicuro in una stagione cupa e complessa come gli anni Settanta, il candidato del Pd alla presidenza della Repubblica, che però è appena saltato, ha fatto molto comodo agli Stati Uniti. A rivelarlo sono i “Kissinger Cables” di WikiLeaks, che “l'Espresso” pubblica in esclusiva per l'Italia in collaborazione con “Repubblica”.

Sono gli anni tra il 1973 e il 1976, una stagione di trame, scandali e del rischio del “sorpasso storico” del Partito comunista di Enrico Berlinguer sulla Dc degli Amintore Fanfani, di Giulio Andreotti e di Aldo Moro. Gli Stati Uniti guardano con grandissima preoccupazione a quel Pci che s'ingrossa, cresce in voti e accettazione sociale, mentre la Dc, unico sbarramento contro la vittoria del comunismo in Italia, perde colpi, dilaniata da lotte interne, corruzione e inazione. Ogni piccola variazione dello scenario politico italiano è monitorata dalla diplomazia americana, che la riferisce prontamente al Dipartimento di Stato.

Uno dei tanti sviluppi che inquieta gli Stati Uniti è la possibilità che i tre grandi sindacati italiani, Cgil, Cisl e Uil, possano fondersi dando il via a un'unità sindacale ben più vincolante di quella della semplice confederazione tra organizzazioni profondamente diverse. L'unione tra le forze che difendono i diritti dei lavoratori sembrerebbe una scelta logica, peraltro appoggiata dagli stessi lavoratori e da molti leader, ma agli americani l'idea non piace minimamente: rischierebbe di rafforzare ulteriormente la già fortissima Cgil dei comunisti, schiacciando la Cisl della Democrazia cristiana. Quando nel dicembre del 1973 appare sulla scena una frangia della Cisl che si oppone all'unità, la diplomazia Usa è subito interessata a capire la natura, le risorse e gli uomini su cui può contare quella minoranza «riluttante a perdere la propria identità, diluendosi in un unico sindacato, preoccupata dal rischio di un dominio dei comunisti nella nuova formazione unica».

«E' una minoranza tutt'altro che coesa», scrive l'ambasciatore John Volpe, che segue ogni passaggio dello scontro, raccontando a Washington anche il grande peso della Chiesa cattolica nella Cisl. Come quando l'esperto del Vaticano sulle questioni del lavoro, il vescovo Bartolomeo Santo Quadri, convoca un meeting spirituale con i leader della Cisl per «sottolineare il fatto che la leadership di un sindacato cattolico necessita dell'approvazione della Chiesa per ogni passo che intende intraprendere. In breve, la Chiesa fissa i parametri per l'azione».

Gli americani tifano per quella minoranza che si oppone all'unità sindacale. A dare battaglia è, in particolare, il leader cislino Vito Scalia, che bussa alle porte di via Veneto chiedendo aiuto. «Il punto più importante del discorso di Scalia è che c'è bisogno di un'azione tempestiva contro l'unità sindacale», scrive la diplomazia Usa, «quello di cui c'è bisogno per la creazione di un'alternativa alla Cgil è di alcuni leader con un sufficiente appoggio nei posti giusti». A quali leader e a quali appoggi giusti si riferisce, Scalia? Ma a lui stesso ovviamente e all'appoggio dell'ambasciata di via Veneto, come concludono gli stessi americani, comunicando a Washington i suoi «poco velati appelli per un supporto finanziario e per l'assistenza diplomatica». I “Kissinger Cables” lasciano emergere che la porta a cui bussare per l'aiuto economico è l' “Afl-Cio”: la più grande confederazione di sindacati americani. Ma sebbene gli Usa siano dalla parte della minoranza Cisl che si oppone all'unità sindacale, temono lo scontro aperto che Scalia porta avanti all'interno della Cisl. Hanno paura che un confronto troppo aspro possa portare a una spaccatura del più importante sindacato non comunista, indebolendo ulteriormente la Dc in una fase storica in cui gli americani non si possono permettere di avere una Dc ulteriormente indebolita, perché il Pci di Berlinguer incalza e il rischio compromesso storico è alle porte. E allora la simpatia Usa va a quel Franco Marini, contrario sì all'unità come Scalia, ma molto più abile nelle trattative, grande tessitore che gode anche del sostegno della Democrazia cristiana «finora riluttante ad appoggiare una spaccatura della Cisl e favorevole all'approccio della mediazione scelto dal gruppo di Marini».

Nel marzo del 1974, il “lupo marsicano” si reca negli Usa con un viaggio finanziato (grant) da Washington, la diplomazia americana preannuncia al Dipartimento di Stato quella visita, facendo presente che Marini «punta a rafforzare e modellare la Cisl dall'interno per competere con la Cgil. Questo è in contrasto con Scalia che spesso minaccia uno scisma». I cablo non raccontano se negli Usa Marini riceve effettivamente aiuto finanziario dai sindacati americani dell'Afl-Cio, come sperava Scalia, ma la diplomazia Usa scrive di sperare che «le sue conversazioni a Washington con i funzionari dell'Afl-Cio possano portare a un dialogo costruttivo e fruttuoso».

Nel luglio del 1975, via Veneto è molto più rilassata: la spaccatura dentro la Cisl è stata scongiurata, l'unità sindacale con la Cgil è un progetto lontano e in altomare, mentre la Cisl è uscita rafforzata dallo scontro interno. Merito di Franco Marini che «ha giocato un ruolo instancabile di mediatore tra le forze».