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'Quel comunista non deve entrare'

Di Stefania Maurizi

Pubblicato su espressonline, 8 aprile 2015

(http://espresso.repubblica.it/palazzo/2013/04/08/news/quel-comunista-non-deve-entrare-1.52900)

Giorgio Napolitano? «E' un'intellettuale, un'eminenza grigia che esercita una grande influenza morale sulla spesso rissosa arena politica italiana». A scrivere queste parole nel settembre del 2009 è l'attuale ambasciatore americano a Roma, David Thorne. E se questo giudizio franco e pieno di slancio su Napolitano è uscito dalle stanze discrete della diplomazia Usa, è grazie a WikiLeaks, che tre anni fa pubblicò 251.287 file segreti degli anni 2002-2010. Oggi che però l'organizzazione di Julian Assange pubblica un'intera libreria di 2milioni di documenti che includono le corrispondenze diplomatiche degli anni Settanta - un database che "l'Espresso ha potuto consultare in esclusiva per l'Italia - pare incredibile che quel Giorgio Napolitano tanto stimato dall'ambasciatore Thorne sia lo stesso di cui l'ambasciatore di via Veneto, John Volpe, nell'agosto del 1975 scriveva: «Nell'aprile scorso, abbiamo raccomandato di non rilasciare un visto a Giorgio Napolitano, che voleva recarsi negli Stati Uniti per tenere conferenze in quattro università».

E' l'estate del 1975, le elezioni regionali hanno portato il partito comunista italiano a fare un nuovo balzo a scapito della DC. Sono anni in cui il Pci è il nemico numero dell'America e il terrore è il compromesso storico, quell'abbraccio, secondo gli americani mortale, che rischia di portare i comunisti di Berlinguer al governo in uno dei paesi più caldi e instabili della Nato. Come vedono Napolitano, gli americani? Come un'eminenza grigia: «La star culturale del polo 'pro-occidente' del partito». A definirlo così in un cablo della libreria di WikiLeaks è Kissinger in persona, che nel '76 scrive «i comunisti non sono tutti uguali», rilevando la profonda differenza tra intellettuali comunisti che non disprezzano lo stalinismo e Napolitano che invece «ha confessato le proprie perplessità su come sviluppare il socialismo all'interno di uno stato democratico, tenuto conto della specificità dell'esperimento sovietico». Il principe della realpolitik americana, dunque, non vede il Pci come un monolite. E allora perché negare il visto a un comunista moderato?

A tirare fuori qualche indiscrezione in quegli anni è il settimanale l'Espresso, che rivela come Kissinger stesso si fosse occupato della faccenda e che gli Stati Uniti si erano consultati con gli alti papaveri della democrazia cristiana prima di procedere. L'Espresso scrive, l'ambasciatore Volpe prende nota dell'articolo. Nei cablo rivelati da WikiLeaks il pezzo è citato ampiamente: dopo aver riferito al dipartimento di Stato i contenuti del servizio de l'Espresso, Volpe commenta che probabilmente dietro quelle rivelazioni ci sono le soffiate ai giornalisti da parte dei contatti accademici di Napolitano in America, che hanno fatto filtrare informazioni sul caso, mentre «la nostra impressione è che il Pci, per la sua agenda politica, avrebbe preferito tenere i giornali lontani da questa storia, perché è improbabile che giochi a favore del partito in termini di propaganda». A supporto di questa idea, Volpe cita due evidenze: il fatto che l'Espresso non citi alcuna fonte del Pci nel suo pezzo a supporto di quanto riportato e il fatto che il giornale di partito, "L'Unità", non abbia ripreso la storia. Il giorno dopo Kissinger risponde all'ambasciatore americano a Roma: «se il governo italiano chiede del caso di Napolitano, potete rispondere usando le domande e risposte inviate. Per ogni altra richiesta, l'ambasciata deve continuare a non fare commenti».

Le domande e le risposte preparate dal potente segretario di Stato sono asciutte e asettiche. Perché il visto, dunque, è stato negato? «In base alle disposizioni della legge 'Immigration and Nationality Act' del 1952, i membri di tutti i partiti comunisti sono ineleggibili per ricevere un visto». Kissinger aggiunge che esistono eccezioni, ma in questo caso non sono state sollevate e la ragione per cui non lo sono state non viene spiegata. Il potente segretario nega di essersi occupato personalmente della cosa, ma aggiunge che il Dipartimento ha contattato le persone che avevano invitato Napolitano negli Usa per raccogliere ulteriori informazioni e che ha considerato questa visita "intempestiva" (untimely).

L'analisi più interessante e completa la offre, però, l'ambasciatore Volpe, che analizza in dettaglio la politica dei visti per l'ingresso in America degli esponenti apicali del Pci: «Non c'è dubbio», scrive nell'agosto 1975, «che il rilascio di visti per Berlinguer e per altri alti funzionari del Pci giocherebbe a favore della loro rispettabilità democratica agli occhi dell'elettorato italiano. E come ha detto Berlinguer a Moro, «se il Pci dovesse ottenere un attestato di rispettabilità, la vittoria sarebbe inevitabile ». La logica, dunque, è quella di evitare qualsiasi legittimazione del Pci, perché ogni mossa in questa direzione viene ritenuta dagli americani una sorta di piano inclinato, che può portare al temuto compromesso storico, vera e propria ossessione degli Stati Uniti. E allora meglio chiudere qualsiasi porta. Ovviamente negare i visti a star culturali come Napolitano, comporta un prezzo in termini di critiche della stampa, ma sono « comunque meno dannose per gli Stati Uniti e per la causa della democrazia in Italia di quanto lo sarebbe lo sfruttamento da parte del Pci del rilascio dei visti come una sorta di presunta indicazione del fatto che il governo americano ha accettato le credenziali democratiche del Pci».

Un mese dopo questo cablo, l'ambasciatore Volpe torna a scrivere al Dipartimento di Stato, anche stavolta il problema si chiama Giorgio, ma non Napolitano. «Sono turbato dall'aver saputo attraverso un comunicato stampa del suo partito che l'onorevole Giorgio Almirante, segretario nazionale del Movimento Sociale Italiano-Destra Nazionale (Msi-Dn) sia stato recentemente ricevuto da funzionari della Casa Bianca. Sono sconvolto», prosegue con un tono emotivo che difficilmente affiora in altre sue comunicazioni, «ora che ho avuto conferma che questo incontro è avvenuto (lo avevamo fortemente sconsigliato)». Il diplomatico sottolinea con grande enfasi la preoccupazione per l'impatto di questo evento, «sui nostri obiettivi condivisi di assicurare la continua esistenza di un'Italia democratica, libera dalla minaccia dell'estremismo politico sia di destra che di sinistra». Volpe insiste che «perfino i nostri amici sperano che non sia vero», perché l'Msi-Dn è considerato da praticamente tutti gli osservatori della politica italiana e dalla vasta maggioranza della popolazione come un partito neo-fascista i «cui leader (incluso Almirante) hanno legami che vanno indietro al regime di Mussolini». Nessuna menzione del fatto che, mentre a Napolitano il visto è stato rifiutato, a Giorgio Almirante non solo è stato concesso, ma è stato addirittura ricevuto dalle alte sfere del governo Usa.

Pochi giorni dopo, Kissinger risponde. Secco, pronto, asettico. « Non c'è interesse da parte della stampa americana in questa faccenda e quindi crediamo sia sciocco innescarla. Per questa ragione, crediamo che una richiesta di informazioni sulla visita di Almirante vada gestita mantenendo un basso profilo», scrive. Kissinger argomenta che il segretario dell'Msi non è stato ricevuto dai consiglieri della casa Bianca vicini al presidente, quanto piuttosto da membri del 'National Security Council' e lo scopo di Almirante era stabilire contatti parlamentari. Poi mette su nero una risposta preconfezionata per l'ambasciatore Volpe, nel caso in cui la stampa italiana lo interpelli sul diniego del visto a comunisti come Napolitano e la contemporanea concessione a esponenti del Msi. L'eleggibilità per riceverlo, spiega senza fronzoli, è determinata dalla legge del 1952 invocata nel caso di Napolitano e questa esclude i comunisti, gli altri che rientrano nelle condizioni della normativa semplicemente «non possono essere esclusi».