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Il Vaticano e i dittatori: le relazioni pericolose

Di Stefania Maurizi

Pubblicato su espressonline, 8 aprile 2013

(http://espresso.repubblica.it/palazzo/2013/04/08/news/il-vaticano-e-i-dittatori-le-relazioni-pericolose-1.52896)

Massacri? Macché, è propaganda. E' l'ottobre 1973, cinque settimane dopo il colpo di stato di Pinochet dell'11 settembre. La diplomazia americana racconta nei suoi dispacci che, dieci giorni dopo il golpe, la giunta ha riconosciuto di aver arrestato cinquemiladuecento persone per sovversione. I media internazionali riportano le atrocità che hanno fatto sprofondare il Cile di Pinochet in un bagno di sangue. Ma il Vaticano sembra scettico sulle notizie drammatiche riferite dalla stampa internazionale. Macché massacri, è propaganda comunista. A raccontarlo al Dipartimento di Stato di Washington è l'ambasciata Usa di Roma, in un cablo che riferisce il contenuto di una conversazione con l'arcivescovo Benelli, vice segretario di Stato della Santa Sede, che esprime la «grave preoccupazione sua e del Papa per la riuscita campagna della sinistra internazionale, che rappresenta in modo completamente falso la realtà della situazione cilena». Benelli bolla le "esagerazioni" della stampa come «probabilmente il più grande successo della propaganda comunista, sottolineando che perfino i circoli conservatori e moderati sembrano piuttosto disposti a credere alle più grosse bugie sugli eccessi della giunta cilena». Né sembra venirgli il dubbio che le informazioni in possesso della Santa Sede possano essere incomplete, se non inattendibili. Lui si basa su quanto gli riferiscono il cardinale di Santiago, Silva e l'episcopato cileno, secondo i quali Pinochet e i suoi militari «stanno facendo ogni sforzo per riportare la situazione alla normalità». Quanto Silva è al di sopra di ogni sospetto, essendo un noto progressista.

Presto, però, Silva si rende conto che i disumani abusi della giunta non sono affatto frutto della propaganda comunista e all'inizio del 1974 comincia il braccio di ferro per l'università cattolica di Saint George gestita dall'Ordine della Santa Croce. I militari ne vogliono assumere il controllo, le gerarchie cattoliche locali si oppongono, cercando di rassicurare Pinochet che «I sacerdoti le cui attività hanno portato a dei contrasti con il governo del Cile non operano più nel Paese e l'Ordine della Santa Croce è pronto a inviare altri preti per rimpiazzare quelli che sono partiti». Il braccio di ferro va avanti a lungo. Solo la paura di uno scontro aperto con il Vaticano sembra portare Pinochet al tavolo delle trattative con i prelati.

Ma la voce del Vaticano è flebile. Mentre tante nazioni condannano apertamente gli abusi e l'Italia non ha fatto rientrare il suo ambasciatore a Santiago «come forma di protesta con le inumane politiche dei leader cileni», la Santa Sede evita ogni scontro frontale e uscita pubblica. E se parla, lo fa usando i suoi codici criptici, come rilevano gli americani nelle loro corrispondenze diplomatiche. Tre anni dopo il colpo di stato, l'isolamento del Cile è fortissimo, l'Inghilterra ha «rumorosamente ritirato il suo ambasciatore dal Paese», perfino «il governo americano non può essere annoverato tra quelli che supportano il Cile», ma il Vaticano è ancora lì, con la sua «pressione esercitata con discrezione».

La discrezione è utile alla Santa Sede anche per trattare con il dittatore spagnolo Francisco Franco.E' il novembre del 1973, le notizie sul Cile fanno il giro del mondo. E in Spagna il regime di Franco è agli sgoccioli (il Caudillo muore due anni dopo). Il Vaticano vuole rivedere il Concordato firmato nel 1953 con Franco. Da una parte desidera farlo perché convinto che «le possibilità di ottenere condizioni migliori dopo la morte di Franco sembrano più remote », dall'altra però vuole muoversi senza suscitare clamori. L'arcivescovo Casaroli vola in Spagna, sperando in un incontro con il regime spagnolo, ma appena arriva, viene ricevuto in pompa magna, con «una scorta di automobili con le bandiere». Ritornato a Roma, è ancora più indispettito dagli articoli della stampa di Madrid che pubblicizzano la sua visita. A quel punto chiama un ministro spagnolo e protesta per «l'oltraggiosa violazione delle assicurazioni ricevute dal governo spagnolo di mantenere un basso profilo».

Nel nome di Dio. Le ultime relazioni pericolose che emergono dai cablo di WikiLeaks sono quelle tra il Vaticano e la dittatura argentina. Il database dei "Kissinger cables" non contiene molte informazioni sulla giunta di Videla, perché il colpo di stato è del 24 marzo del 1976 e i cablo si arrestano al dicembre del '76. I file, però, confermano la sciagurata vicinanza tra il nunzio apostolico Pio Laghi e l'ammiraglio Massera, protagonista di primo piano del golpe e membro di quella giunta militare che fece sparire nel nulla decine di migliaia di desaparecidos.

In un file del novembre 1975, l'ambasciata americana di Buenos Aires informa il Dipartimento di Stato che «Il nunzio ha parlato con l'ammiraglio Massera all'inizio di novembre sulla stessa questione e più recentemente con altri. Secondo l'analisi del nunzio, la signora Peron se ne deve andare il prima possibile o con un congedo, o dimettendosi, oppure con un colpo di stato. Neppure i militari vogliono l'ultima opzione e la implementeranno come ultima risorsa». La signora in questione è Isabel Peron, moglie del presidente Juan Peron, che gli era succeduta dopo la morte di questi nel 1974. Nel marzo del 1976 Isabel fu deposta proprio dal golpe a cui faceva riferimento Pio Laghi. Il database di un milione e settecentomila 'Kissinger cables' di WikiLeaks contiene solo sei file su Laghi, un numero estremamente esiguo se si considera il ruolo che il diplomatico del Vaticano giocò in quegli anni. Evidentemente i documenti su di lui rimangono ancora oggi segreti, perché il governo americano non li ha rilasciati nel pubblico dominio, nonostante siano trascorsi quasi quaranta anni.

Dai file desecretati presenti nella libreria dell'organizzazione di Assange, però, emerge chiaramente il grande feeling tra gli americani e Laghi: «Dopo un'accurata valutazione, la Santa Sede ha scelto l'arcivescovo Pio Laghi, come nuovo nunzio in Argentina», scrivono nel maggio del 1974, «colto, gradevole, parla un inglese eccellente ed è ben disposto verso gli Stati Uniti». A giugno, però, il nunzio non è ancora arrivato a Buenos Aires, come mai? Il Vaticano sta studiando i tempi giusti per farlo partire in modo che «presenti le sue credenziali al presidente e non a 'una donna'», scrive la diplomazia Usa. Quella 'donna' è Isabel Peron ed è citata tra virgolette probabilmente per enfatizzare il sessismo della Chiesa cattolica. Due anni dopo questo messaggio, Laghi è ormai a Buenos Aires e nella riservatezza delle confidenze tra diplomatici si lascia andare a quell'analisi sulla necessità di far fuori la vedova di Peron anche con un golpe, se necessario. Ancora una volta gli americani prendono sul serio i giudizi di quel nunzio tanto apprezzato. «E' astuto, moderno, ed è un diplomatico flessibile», scrivono, «un buon contatto».

Francisco Jalics: fu torturato o no? L'ultimo documento sulla dittatura di Videla che il database di WikiLeaks lascia affiorare riguarda Francisco Jalics, il gesuita finito al centro delle polemiche sull'elezione di papa Francesco e sul suo controverso rapporto con il regime. Stando alle rivelazioni del giornalista argentino, Oracio Verbitsky di 'Pagina12', papa Bergoglio sarebbe colpevole di non aver protetto due religiosi, Francisco Jalics e Orlando Yorio, dall'arresto nel maggio del 1976, sebbene fosse un loro superiore. Dai tre file su Jalics presenti nella libreria dell'organizzazione di Assange emerge che il Dipartimento di Stato giocò un ruolo nel caso. Il 23 settembre 1976 Washington trasmette all'ambasciata Usa di Buenos Aires un breve cablogramma: «La cittadina americana Isabella Jalics, madre del soggetto, sarebbe grata per ogni informazione disponibile su suo figlio. Francisco Jalics è un prete cattolico, cittadino argentino, che, da quanto riportato, è stato arrestato il 23 maggio 1976, dalle forze di sicurezza della Marina militare a Buenos Aires». Sono poche righe essenziali e asettiche, ma per chi finisce arrestato dalle squadracce di una giunta militare, l'interessamento di una potenza come gli Stati Uniti può fare la differenza tra la vita e a morte.

Cinque giorni dopo, l'ambasciata di Buenos Aires risponde al Dipartimento di Stato, spiegando di essere al corrente che Jalics è stato arrestato a maggio durante lo stato di assedio, aggiungendo di non avere altre informazioni, impegnandosi a tenere aggiornato il Dipartimento di Stato e spiegando che fino a quel momento il governo argentino è stato molto lento, ma che «La costituzione garantisce un processo».

A novembre 1976, il caso è chiuso: il potente segretario di Stato, Henry Kissinger, informa l'ambasciata americana di Buenos Aires che padre Jalics è al sicuro, a casa, dove è arrivato il 2 novembre. Stando al documento, Jalics racconta di non sapere dove è stato tenuto prigioniero e di essere stato arrestato perché probabilmente lavorava nei bassifondi più poveri (slum). La cosa che colpisce è che, nel documento, padre Jalics afferma di «non essere stato trattato male», mentre le ricostruzioni successive parlano delle torture subite dai due gesuiti durante la detenzione. Si tratta di un'omissione da parte della diplomazia americana per coprire i crimini della dittatura argentina? L'unica certezza è che il gesuita ringrazia i funzionari della diplomazia americana per il loro aiuto. Quanto a Bergoglio, nel database dei Kissinger Cables di WikiLeaks non c'è un solo file del Dipartimento di Stato che lo riguardi. Non esistono o sono ancora segreti?