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Gli Usa non amano Romano

Di Stefania Maurizi

Pubblicato su espressonline, 19 aprile 2013

(http://espresso.repubblica.it/internazionale/2013/04/19/news/gli-usa-non-amano-romano-1.53388)

«Un Prodi vintage, involuto e denso, che è riuscito a esprimersi sia a favore del ritiro del contingente di 2700 soldati italiani dall'Iraq sia a favore dell'idea di lasciarli lì. Che la posizione di Prodi rifletta i suoi ragionamenti contorti o il tentativo di abbracciare posizioni divergenti, comunque, il risultato è stato chiaro come il fango».

A scrivere questo giudizio è l'ambasciatore americano Mel Sembler, che nel marzo 2004 commenta così una lettera aperta di Romano Prodi sulla guerra in Iraq, quando il professore era ancora presidente della Commissione europea.

E' uno dei cablo di WikiLeaks, pubblicati in esclusiva per l'Italia da “l'Espresso”, che esemplifica il complesso rapporto della diplomazia Usa con Prodi. Come lo vedono gli americani? Lo amano o no?

Quattrocentonovantotto cablo contenuti nel database dell'organizzazione di Julian Assange tracciano un profilo del personaggio negli anni dal 2002 al 2010, anni della presidenza di George W. Bush, ma anche della prima amministrazione di Barack Obama.

Il problema non è che gli Stati Uniti non apprezzano Prodi, il problema è che con lui tutto è più difficile di come non sia con Berlusconi, come racconta con un'efficace sintesi l'ambasciatore americano a Roma, Ronald Spogli, alla vigilia della vittoria elettorale di Romano Prodi nel 2006.

«Noi possiamo lavorare e lavoreremo con il governo Prodi», scrive Spogli, «ma i giorni in cui l'Italia s'impegna automaticamente nel nostro interesse saranno finiti nel momento in cui Prodi cercherà di subordinare in modo deliberato la politica estera dell'Italia all'Unione europea. E allora dovremo lavorare in modo più duro e aspettarci maggiori asperità sulla strada, se vogliamo avere l'Italia come il più forte alleato in Europa».

Già, perché il filo conduttore dei rapporti Italia-Usa è proprio questo: avere l'Italia, portaerei del Mediterraneo, a disposizione, come ha sempre garantito Silvio Berlusconi, quell'«irruente, sicuro, a volte arrogante tycoon che si è fatto da solo ed è diventato primo ministro», scrivono gli americani. Un impresentabile, certo. Come riconosce lo stesso Ronald Spogli, che nel febbraio 2009 descrive Berlusconi come uno che con le sue frequenti gaffe, la sua povera scelta di parole, «la sua disponibilità percepita (all'esterno) di mettere i suoi interessi al di sopra di quelli dello Stato» ha «danneggiato la reputazione dell'Italia in Europa e ha dato un tono disgraziatamente comico alla reputazione dell'Italia in molti settori del governo americano», ma che rimane comunque un leader che Spogli e la diplomazia americana salva sempre e nonostante tutto, perché con lui l'Italia «s'impegna automaticamente nel nostro interesse» e Berlusconi «si è dimostrato disponibile a adottare decisioni, non importa quanto impopolari, in linea con noi», per questo non va denigrato, perché «ci darà dividendi strategici ora e nel futuro».

Con Romano Prodi la musica è diversa. Non che non sia possibile la collaborazione con Prodi e i suoi governi. E' possibile eccome. Quando nel 2006 c'è da fermare Armando Spataro e la procura di Milano, che pretendono di arrestare gli agenti Cia responsabili del rapimento di Abu Omar, gli americani contattano Enrico Letta, nipote di Gianni, «fortemente pro-Usa», che consiglia di discutere personalmente la questione con il ministro della Giustizia, Clemente Mastella.

E la discussione deve essere stata produttiva, visto che l'ambasciata di via Veneto scrive a Washington che «Il ministro della Giustizia, Mastella, ha finora mantenuto il coperchio sulle ricorrenti richieste di estradare gli agenti Cia e Prodi si è rifiutato di rilasciare ogni dettaglio sulla potenziale conoscenza o coinvolgimento dell'Italia nel caso, citando l'obbligo di proteggere il segreto di Stato».

Ma il grado di cooperazione di Romano Prodi con gli americani è comunque lontano da quell'impegno automatico nell'interesse dell'America. E in certi settori desta anche preoccupazione, come rivela un cablo del 2004 in cui si racconta che dal 2001 l'Italia si è procurata armamenti e tecnologia militare dagli Usa per un valore di quattro miliardi di dollari, «una cifra che la rende il più grande importatore dei nostri prodotti», scrive l'ambasciata di via Veneto, che però commenta: «Il governo Berlusconi ha privilegiato soluzioni della Difesa americana, ma sotto un futuro esecutivo di centrosinistra-specialmente uno guidato da Romano Prodi- l'Italia sarà probabilmente tentata di adottare soluzioni europee, ogni volta che sarà possibile».

Nessuna cooperazione con il Professore sembra dare agli americani la soddisfazione che via Veneto manifesta per Berlusconi in comunicazioni diplomatiche che, a volte di diplomatico hanno ben poco e sono invece ammissioni di una franchezza spiazzante di come gli Stati Uniti si adoperino per influenzare la politica italiana, arrivando a tradirne la Costituzione e la volontà popolare.

Come quando l'ambasciatore americano, Mel Sembler, scrive al Dipartimento di stato di come è riuscito a ottenere da Berlusconi tutto quello che voleva per la guerra in Iraq, nonostante la Costituzione italiana ripudi la guerra come risoluzione delle controversie internazionali. Gli americani quasi non sanno trattenere la soddisfazione nel raccontare a Washington come, nonostante la Costituzione, porti, aeroporti e infrastrutture italiane siano state messe completamente a loro disposizione con l'inganno degli spostamenti a notte fonda, cambiamenti dell'ultimo minuto per impedire «a chi protestava di fermare i treni e i veicoli che trasportavano gli equipaggiamenti militari» e, soprattutto, di come sia stato impedito al presidente Ciampi di far scattare l'allarme sulla questione costituzionale. Un racconto sfacciato che si conclude sottolineando come l'Italia di Berlusconi sia «un posto eccellente per fare i nostri affari politici e militari».

Ecco, su Romano Prodi non c'è un cablo che lasci trapelare altrettanto compiacimento. E anzi la sua vocazione fortemente europeista desta più di una preoccupazione. E così, nel 2006, quando il governo Prodi si avvicina, l'ambasciata di via Veneto consiglia «un impegno di Washington ad alto livello (nei primi di maggio/giugno/luglio 2006) per rinforzare i benefici di una forte cooperazione bilaterale e la gestione delle relazioni transatlantiche attraverso la Nato, non attraverso l'Unione Europea».