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Caso Manning, che c'è da sapere

Di Stefania Maurizi

Pubblicato su espressonline, 30 luglio 2013

(http://espresso.repubblica.it/internazionale/2013/07/30/news/caso-manning-che-c-e-da-sapere-1.57209)

"Colpevole ma non di aver aiutato il nemico. Il giovane ex soldato, accusato di essere stato la fonte, anche se non ha fornito dati utili ai terroristi, è stato però giudicato colpevole per 20 dei 22 capi d'accusa per cui era stato incriminato, tra cui per la violazione della legge sullo spionaggio del 1917. Se fosse stato ritenuto colpevole anche di aver aiutato il nemico, avrebbe rischiato l'ergastolo. Così invece rischia fino a 136 anni di carcere"

Venticinque anni, intelligenza brillante, Bradley Manning è il giovane soldato americano di stanza in Iraq che ha ammesso di aver passato alcuni dei documenti più scottanti a WikiLeaks: un video del Pentagono, pubblicato dall'organizzazione di Julian Assange con il titolo ' Collateral Murder ', che testimoniava come, nel luglio 2007, un elicottero americano Apache sparò su civili inermi, tra cui due cameraman dell'agenzia di stampa internazionale 'Reuters', 91.920 file del Pentagono sulla guerra in Afghanistan e 391.832 su quella in Iraq, 251.287 cablo della diplomazia Usa e infine 779 schede personali dei detenuti di Guantanamo.

Manning è stato arrestato nel maggio del 2010 in Iraq, subito dopo aver confessato in una chat, che ad oggi non ha mai smentito, di aver passato quei documenti a WikiLeaks . Nei primi 11 mesi di detenzione è stato tenuto 23 ore al giorno in isolamento, privato della luce del sole e della possibilità di fare anche solo una camminata all'aperto, denudato per lunghi periodi e costretto a rispondere all'appello delle guardie ogni cinque minuti esatti, ventiquattro ore su ventiquattro, anche durante la notte. Vista la fragilità che il giovane soldato sembrava rivelare nella chat, in molti hanno pensato che Manning sarebbe presto arrivato al crollo psichico. E invece no, Bradley Manning ha retto quelle condizioni che l'inviato speciale delle Nazioni Unite contro la tortura, Juan Méndez, ha definito "crudeli e inumane" nel suo rapporto ufficiale del febbraio 2012.

Solo una campagna internazionale ha potuto cambiare lo stato di detenzione del soldato, che dopo undici mesi è stato trasferito in una prigione ordinaria, grazie a una mobilitazione portata avanti dagli attivisti, più che da quella stampa che prima si è abbeverata alla sorgente di Manning e di WikiLeaks, mettendo a segno centinaia di scoop, poi però ha in molti casi completamente abbandonato a se stessi Manning, Assange e la sua organizzazione. E oggi, se non fosse stato per il "Bradley Manning Support Network", che ha raccolto i fondi per coprire tutte le spese legali – 1,25 milioni di dollari in tre anni donati da 20,000 persone in tutto il mondo, secondo quanto dichiara sul suo sito la rete di attivisti- Manning non sarebbe di certo in grado di farsi difendere da un buon avvocato come l'americano David Coombs.

Le parole sono importanti, urlava Nanni Moretti in un celebre film. Sono importanti soprattutto quando di mezzo ci sono i militari, la loro propaganda, la guerra contro la libertà di espressione, l'informazione embedded, manipolata e censurata dall'Iraq all'Afghanistan, da Guantanamo ai droni. Bradley Manning non è una "talpa", come scrivono i giornali italiani. E' una fonte di WikiLeaks. Perfino i media americani, così ostili al soldato e a WikiLeaks, non bollano il soldato come "talpa", termine che nella lingua italiana indica chi fornisce a un'organizzazione informazioni riservate provenienti dall'ambiente di lavoro e che verranno usate per fini criminali o spionistici. WikiLeaks non è un'organizzazione mafiosa o di spionaggio: quello che Assange e il suo gruppo hanno fatto è stato pubblicare i documenti ricevuti dalle varie fonti, spesso in collaborazione con decine di media di tutto il mondo: dal "Guardian" al "New York Times", dal "Washington Post" a "l'Espresso". E per dimostrare che Bradley Manning ha davvero passato quei file ad Assange l'accusa non avrà problemi: durante le udienze preliminari, Manning l'ha ammesso. Sono ammissioni che da sole gli costerebbero una sentenza di venti anni di prigione, ma al governo americano non basta: quello a cui gli Stati Uniti puntano è fare di lui un caso esemplare.

Secondo un report ufficiale compilato dall' "Office of the Director of National Intelligence" e rilasciato dal guru della segretezza, Steven Aftergood, ( disponibile qui ), alla data di ottobre 2012 il numero di persone che negli Stati Uniti avevano ricevuto l'autorizzazione per l'accesso a documenti segreti del governo americano ammontava a 4,9 milioni. Dunque quasi 5 milioni di cittadini americani ogni giorno maneggiano informazioni segrete. E Bradley Manning era uno di questi. Si tratta di un apparato elefantiaco fondamentale per tenere in piedi il più grande complesso militare-industriale del mondo: solo nel 2010, l'amministrazione Obama ha secretato quasi 77 milioni di documenti.

Quando un ragazzo di 22 anni ha potuto prelevare in un colpo solo un milione di file per passarli a WikiLeaks e spararli in rete e su tutti i giornali del mondo, la fragilità di questo gigante è emersa in tutta la sua drammatica evidenza. E' per questo che il governo americano ha bisogno di fare di Manning un caso esemplare. Per questo non si accontenta di rinchiuderlo in galera per 20 anni. L'accusa si prepara a dimostrare l'imputazione più grave, quella che porterà Bradley Manning a passare il resto dei suoi giorni in prigione, senza alcuna speranza di uscirne: aver aiutato il nemico, diffondendo informazioni che, una volta pubblicate sulla rete e sui giornali, chiunque ha potuto leggere, anche al-Qaeda. Per riuscire a dimostrarlo chiamerà a testimoniare un personaggio chiave: la sua identità non è stata rivelata, ma si pensa che sia uno dei ventidue Navy Seals che ha partecipato al blitz per uccidere Bin Laden ad Abbottabad e che avrebbe recuperato direttamente dal covo una serie di file digitali che dimostrerebbero come Bin Laden in persona avesse chiesto ai suoi uomini di scaricare dalla rete i file rilasciati da WikiLeaks. Il Navy Seals e altri 23 testimoni deporranno in segreto.

La segretezza è l'essenza del processo Manning: secondo quanto dichiarato dal procuratore militare Ashden Fein, il 30 per cento del dibattimento sarà segreto, quindi completamente inaccessibile alla stampa e agli avvocati di WikiLeaks. Né il governo rilascerà la trascrizione ufficiale delle udienze, neppure quelle pubbliche, per questo gli attivisti hanno raccolto i fondi per arruolare uno stenografo professionale in grado di fare le trascrizioni, ma mentre scriviamo non è chiaro se i militari concederanno questo permesso.

Le indagini su Manning e le udienze preliminari del processo hanno prodotto un diluvio di documenti: decine di migliaia di file, completamente inaccessibili alla difesa di WikiLeaks, ai giornali e all'opinione pubblica, perché il Pentagono si rifiuta di rilasciare perfino gli atti che sono stati letti in aula, con la stampa presente. «I militari Usa hanno usato molte techiche per impedire la comprensione del caso sia da parte nostra che della pubblica opinione», ha detto Julian Assange a "l'Espresso" nel novembre scorso, raccontando come la sua organizzazione abbia cercato inutilmente di accedere al file dell'indagine dell'Fbi su WikiLeaks: un documento che nel dicembre 2011 ammontava a 42.135 pagine di cui 9mila riguardanti Manning.

Il processo al soldato si interseca con l'inchiesta su Assange e la sua organizzazione. Quando esattamente un anno fa ha chiesto asilo politico all'Ecuador, il fondatore di WikiLeaks è stato attaccato, deriso e trattato da paranoico per la sua convinzione che gli Stati Uniti puntino a estradarlo e processarlo. Nell'udienza di ieri, però, come ha riportato il Guardian , il capitano Joe Morrow, che rappresenta il governo Usa, ha argomentato che Assange non sarebbe stato un recipiente passivo dei documenti inviati da Manning, ma che quest'ultimo si sarebbe mosso dietro istruzioni di Assange. Un'accusa molto seria contro WikiLeaks, che da tre anni è oggetto di un'inchiesta del Grand Jury negli Usa, che potrebbe portare all'incriminazione per spionaggio semplicemente per aver pubblicato i file segreti, gli stessi pubblicati da decine di giornali nel mondo.

Dopo un lungo e assordante silenzio, Amnesty International ha diffuso un comunicato in cui argomenta che gli Stati Uniti devono consentire a Bradley Manning di difendersi sostenendo di aver agito nel pubblico interesse quando ha passato l'informazione a WikiLeaks perché convinto di denunciare gravi violazioni dei diritti umani. Ma su questo punto il governo americano sembra inflessibile. Punta a dimostrare che, tradendo il suo dovere al segreto, Manning ha aiutato il nemico pubblico numero uno, icona del Male assoluto. E non può ammettere la motivazione di coscienza che il soldato ha sempre dichiarato, mettendola nero su bianco nella chat che l'ha portato all'arresto: «Se tu avessi mano libera su reti coperte dal segreto per lunghi periodi di tempo [...] e vedessi cose incredibili, cose terribili [..]che riguardano la vita di tutti, e che non devono finire archiviate in un server in qualche stanza buia di Washington DC...che faresti?». Nella chat, il ragazzo raccontava di averli inviati a WikiLeaks, «Dio solo sa cosa succederà adesso. Spero un dibattito mondiale, discussioni, riforme. Se no, siamo finiti, come specie».