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Siamo davvero il mondo 'libero'?

Di Stefania Maurizi

Pubblicato su espressonline, 20 agosto 2013

(http://espresso.repubblica.it/palazzo/2013/08/20/news/siamo-davvero-il-mondo-libero-1.57907)

Il governo inglese ha costretto il quotidiano londinese "Guardian" a distruggere una copia dei documenti ottenuti da Edward Snowden, l'ex contractor americano che ha permesso di rivelare i programmi di sorveglianza di massa della National Security Agency, la più grande, la più potente, la più tecnologicamente sofisticata agenzia di spionaggio che il mondo abbia mai conosciuto.

«Poco più di due mesi fa», ha spiegato in un editoriale il direttore del quotidiano, Alan Rusbridger, «sono stato contattato da un funzionario di governo di altissimo livello, che si è presentato a nome del primo ministro. Ne sono seguiti due incontri in cui il funzionario in questione ha chiesto la restituzione o la distruzione di tutto il materiale su cui stavamo lavorando».

Nell'articolo, Rusbridger racconta il braccio di ferro con il governo inglese: «Vi siete divertiti abbastanza, ora rivogliamo indietro la nostra roba», avrebbe detto l'uomo del governo al direttore del 'Guardian', che nell'articolo arriva a rivelare come il suo giornale sia stato costretto a distruggere fisicamente i computer che contenevano una copia dei file, mentre due agenti dei servizi segreti del GCHQ (l'agenzia inglese di spionaggio elettronico, omologa dell'americana Nsa) ne supervisionavano la distruzione.

Le rivelazioni del 'Guardian' arrivano dopo che domenica scorsa ha fatto il giro del mondo la notizia che il compagno di Gleen Greenwald (uno dei due giornalisti a cui Snowden ha consegnato i file) è stato trattenuto per nove ore all'aeroporto londinese di Heathrow, dove è stato interrogato e i suoi computer e telefoni sono stati sequestrati.

Per fermarlo, la polizia inglese ha utilizzato le leggi antiterrorismo, seppure sia evidente a tutti che il compagno di Greenwald non è di certo un tagliateste e di fatto, durante l'interrogatorio, la polizia gli ha rivolto domande sul lavoro giornalistico del partner, non su complotti a base di bombe, attentati o dirottamenti aerei.

Il fermo del partner di Glenn Greenwald non è certo una novità per giornalisti e attivisti che maneggiano o comunque si occupano di documenti sensibili. Laura Poitras, che con Greenwald ha rivelato i file di Snowden, ha raccontato di essere stata fermata ben quaranta volte in aeroporto negli ultimi dieci anni, visto il suo lavoro di documentarista che prepara una trilogia sull'America dopo l'11 settembre. Mentre Jacob Appelbaum, esperto americano di sicurezza informatica, che in più occasioni ha difeso e sostenuto pubblicamente WikiLeaks, è stato ripetutamente bloccato alla frontiera degli Stati Uniti, interrogato in assenza di un avvocato (le leggi Usa contro il terrorismo consentono questa procedura alla frontiera), privato anche della possibilità di andare in bagno e costretto a consegnare telefoni e computer.

Ma il dato di fatto che fa riflettere è la pressione legale con cui si è ritrovato a fare i conti il 'Guardian' e che alla fine ha portato il quotidiano a distruggere i file.

E' chiaro che distruggere una copia di un database elettronico non significa cancellare una volta per tutti i documenti. La riproducibilità tecnica di un file elettronico è infinita: per uno eliminato, se ne possono fare mille copie. Ma il problema è: riuscirà il 'Guardian' a pubblicare i documenti scampati alla distruzione? Tre anni fa, l'organizzazione di Julian Assange si è ritrovata esattamente sotto lo stesso fuoco di fila.

Appena ha iniziato a rilasciare i report sulla guerra in Afghanistan, il Pentagono ha risposto con una virulenta campagna, accusando immediatamente Assange e il suo gruppo di avere le mani lorde di sangue, intimando a WikiLeaks di consegnare immediatamente i file ottenuti e creando una task force contro l'organizzazione, la cui esistenza è stata poi confermata dagli atti del processo alla fonte di WikiLeaks: Bradley Manning.

La stessa reazione virulenta si è registrata con la pubblicazione dei file sulla guerra in Iraq, anche se l'apoteosi è stata raggiunta con il rilascio dei 251.287 cablo della diplomazia americana. La loro pubblicazione fece scendere in campo la Casa Bianca e il Dipartimento di Stato, portò il vicepresidente Joe Biden ad attaccare Assange come «un terrorista hi-tech», e l'ex candidata repubblicana, Sarah Palin, a chiedere che fosse braccato «come un operativo di al-Qaeda».

Vari commentatori americani arrivarono a chiedere di sparare a «quel figlio di puttana di Assange». Minacce e attacchi vanno ancora avanti: non più tardi di questa settimana, il corrispondente del "Time", Michael Grunwald, ha invocato un attacco con drone contro Assange.

Come ha ricordato recentemente il fondatore, «WikiLeaks era consapevole che, forse, poteva non sopravvivere al rilascio dei cablo della diplomazia Usa». E di fatto dopo la pubblicazione dei cablogrammi, l'organizzazione è stata messa in ginocchio da un blocco delle donazioni completamente stragiudiziale e senza precedenti, mentre Julian Assange ha perso la libertà: ridotto a finire prima agli arresti domiciliari per diciotto mesi e poi a cercare rifugio nell'ambasciata dell'Ecuador a Londra, dove si trova tutt'oggi.

Dal 7 dicembre 2010, quando è finito in prigione, la libertà è un sogno per Julian Assange e la rovina economica di WikiLeaks, dovuta al blocco delle donazioni, incombe sempre, come una spada di Damocle.

Ma, nonostante la guerra sporca e di propaganda contro l'organizzazione, WikiLeaks non ha mai restituito o distrutto i documenti, come aveva richiesto il governo americano e come è stato costretto a fare il 'Guardian'. Le pressioni micidiali, gli attacchi frontali, la perdita della libertà personale, il rischio di imminente rovina economica non hanno potuto fermare il flusso delle informazioni. E il progetto di Assange di usare la velocità della Rete, la difficoltà di imbrigliarla, la lentezza pachidermica delle burocrazie statali per battere la censura, finora ha vinto. Riuscirà anche il 'Guardian' a vincere?