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Sarah Harrison, la bionda misteriosa che ha salvato Snowden

Di Stefania Maurizi

Pubblicato su espressonline, 23 ottobre 2013

(http://espresso.repubblica.it/internazionale/2013/10/23/news/sarah-harrison-la-bionda-misteriosa-che-ha-salvato-snowden-1.138831)

“Sarah Harrison ha un enorme merito, molto più grande di quello che finora le è stato riconosciuto. Sono così colpito dal suo coraggio”. Questi pochi caratteri sono stati twittati due settimane fa da Glenn Greenwald, il giornalista americano che ha pubblicato per primo le rivelazioni sui programmi di intercettazione di massa della NSA.

Per due anni e mezzo ha mantenuto un profilo bassissimo, come tutto lo staff di WikiLeaks. Ma quando il 23 giugno scorso è atterrata a Mosca con Edward Snowden che scappava da Hong Kong alla ricerca di asilo politico, Harrison si è trovata al centro delle attenzioni dei giornali di tutto il mondo. Bionda misteriosa, Mata Hari, giornalista, avvocato o fidanzata di Assange? Chi è davvero Sarah Harrison?

Trentuno anni, carattere solare e grande lavoratrice, ha un ruolo determinante nelle attività giornalistiche di WikiLeaks. Quando nel giugno scorso l'organizzazione ha fatto sapere via Twitter che ad assistere Snowden era Sarah Harrison, subito i giornali hanno sottolineato che non è un avvocato e pertanto la storia suonava strana.

Di norma WikiLeaks non rivela chi fa cosa all'interno dell'organizzazione. Harrison si è occupata della ricerca di base per molte vicende legali di WikiLeaks. Inoltre, decine di reporter che in questi anni hanno lavorato con l'organizzazione hanno potuto vederla in azione: a guidare la ricerca sui documenti prima della pubblicazione, coordinare il club rissoso di media che pubblicano i file, guidare le ricerche giornalistiche per la pubblicazione dei Syria Files, che ha presentato lei stessa nel corso di una conferenza stampa al Frontline Club di Londra. In più di un'occasione, si è ritrovata a spiegare con pazienza infinita come aprire un database criptato a reporter che non ne conoscevano neanche l'esistenza. Chi ha lavorato con lei negli ultimi tre anni ha potuto constatare che è diventata sempre più competente dal punto di vista tecnologico.

«Il suo primo insegnante, alla scuola elementare, ci predisse che sarebbe diventata una giornalista. Sarah aveva 5 anni!», racconta il padre Ian Harrison a l'Espresso. Oggi, a 31 anni, è al centro del lavoro di una delle organizzazioni giornalistiche più amate, odiate, attaccate e imitate del mondo. Proprio in questi giorni, l'americana “Freedom of the Press Foundation” ha lanciato “SecureDrop”, una piattaforma per l'invio di documenti anonimi ai giornali. Vi ricorda qualcosa? WikiLeaks, naturalmente, che ha avuto l'idea per prima al mondo.

Cittadina inglese, famiglia della middle class, padre dirigente di un'azienda per le vendite al dettaglio, la madre una specialista nel trattare bambini con difficoltà di apprendimento, due sorelle più piccole e un'istruzione scolastica eccellente. Harrison ha studiato alla “Sevenoaks School”, prestigioso college del Kent frequentato, ha raccontato il Daily Mail, anche dall'attore Daniel Day Lewis e, ironia della sorte, da Sir Jonathan Evans, fino all'aprile scorso a capo dei servizi segreti inglesi dell'MI5.

«Lavorava sodo, cercando di dare il massimo in tutte le materie e cercando sempre di fare qualcosa di nuovo. Ci raccontavano che faceva sempre domande», ricorda il padre. Sarah, fin da piccola, era quel tipo di persona «sempre consapevole della gente meno fortunata che aveva intorno» tanto che «a dieci anni scrisse una lettera al primo ministro sui senzatetto: abbiamo ancora la risposta del premier».

Più di un'estate da adolescente trascorsa in Toscana, inizialmente ha frequentato una facoltà scientifica, poi si è iscritta all' università pubblica “Queen Mary” di Londra, dove ha studiato letteratura inglese.

Il secondo anno di studi l'ha passato in Australia, all'Università di Melbourne, dove, racconta il padre, è rimasta per un anno in più a lavorare e viaggiare in lungo e in largo per l'estremo oriente. «Ha sempre preso l'istruzione in modo serio, lavorando molto, determinata a fare il meglio possibile per raggiungere obiettivi alti, ma anche a cogliere ogni opportunità ed esperienza», spiega Ian Harrison.

Crescere in una famiglia privilegiata non l'ha resa una persona viziata a cui tutto è dovuto. Non veste abiti costosi. E più di una volta l'Espresso l'ha incontrata a cena con il team di WikiLeaks: si mangia quello che c'è o, se non c'è, si va avanti tra caffè e cioccolata fino a notte inoltrata.

Terminata l'università, Sarah ha lavorato inizialmente come manager per una organizzazione di eventi, curando, fra l'altro, la visita della delegazione d'affari del primo ministro Gordon Brown in India. Ma era un lavoro che non le interessava. Decise così di bussare alle porte del Center for Investigative Journalism , organizzazione non profit con sede a Londra che promuove il giornalismo d'inchiesta sotto la guida di Gavin MacFadyen. È lui a notare la “scintilla”, come ha raccontato al Washington Post: la qualità della ricercatrice che fa il lavoro giornalistico duro e lontano dai riflettori come richiedono i database di documenti di WikiLeaks.

«Sarah ci raccontò che aveva deciso di lasciare tutto per unirsi a un'organizzazione, che, secondo lei, avrebbe fatto la differenza», racconta il padre. «Allora noi non sapevamo che organizzazione fosse, ma lei era molto entusiasta all'idea di essere parte di qualcosa di veramente nuovo». Cosa la rendeva tanto interessata al giornalismo? «Vorrei fare una distinzione - risponde Ian - Sarah era ed è interessata al giornalismo investigativo, quello che rivela i problemi del mondo ed è estremamente tenace: una qualità utile in qualsiasi tipo di attività di ricerca». «Ha sempre detto di voler fare una differenza nel mondo» e, secondo Ian Harrison, sarebbe difficile «non ammettere che WikiLeaks ha cambiato il panorama del giornalismo».

Julian Assange ha una grande considerazione di lei. «È una persona vitale, coraggiosa e completamente incorruttibile», ha dichiarato al Washington Post, che lo ha interpellato pochi giorni dopo l'arrivo di Harrison a Mosca con Edward Snowden. Erano i giorni in cui Assange dormiva un'ora a notte, esausto, incredibilmente sotto pressione, ma orgoglioso, per il lavoro della «nostra Sarah», come ha raccontato all'Espresso.

Secondo il Washington Post all'inizio del lavoro di Sarah Harrison per WikiLeaks è sbocciata una relazione tra lei e Julian Assange. Ma entrambi sono molto riservati sui loro affetti: WikiLeaks esige la trasparenza per la cosa pubblica, non per le vite private degli individui.

Cosa motiva una persona capace a lavorare quasi gratis per un'organizzazione che comporta un rischio legale altissimo? Si sono chiesti i giornalisti dei media tradizionali in questi ultimi mesi in cui Harrison è finita sotto i riflettori. Da quando le carte di credito hanno chiuso il rubinetto delle donazioni, i fondi al gruppo di Assange arrivano con il contagocce. La possibilità di pagare stipendi è compromessa. Ma tutti quelli che la conoscono hanno un'unica spiegazione: Sarah Harrison crede in quello che fa.

L'anno scorso, in un'intervista a l'Espresso, Julian Assange ha spiegato il manifesto di WikiLeaks : «Se noi avessimo scelto di essere un'organizzazione che pubblica documenti come qualsiasi giornale, avremmo avuto i limiti legali ed economici che hanno i giornali. E uno di questi è la capacità limitata di dire la verità. Se i giornali non avessero avuto quelle limitazioni, non ci sarebbe stato bisogno di Wikileaks: se ci siamo noi è perché, da questo punto di vista, le organizzazioni tradizionali hanno fallito. La colpa non è necessariamente loro, ma va cercata in questioni storiche che non possono essere facilmente rimosse. Noi vogliamo fare una cosa molto semplice: raccogliere, pubblicare, difendere informazioni che sono significative per le vite delle persone. Si potrebbe pensare che sia una questione elementare e invece è un'impresa difficile, perché ancora oggi ci sono tante istituzioni e individui che traggono il loro potere dalla situazione di ignoranza sulle loro attività in cui viene mantenuta la gente». È un manifesto in cui Sarah Harrison crede al cento per cento.

In occasione della pubblicazione dei documenti più sensibili ha mai avuto paura per sua figlia? «Paura non è la parola esatta», risponde Ian Harrison. « In passato ci siamo preoccupati che si potesse pentire, perché il suo coinvolgimento in WikiLeaks le ha fatto e la fa ancora rinunciare a così tante altre cose. Ma adesso mi rendo conto che è il tipo di lavoro che le dà quello di cui è alla ricerca».

Da quattro mesi, Sarah Harrison si trova a Mosca con Edward Snowden, che due settimane fa ha ricevuto il premio “Sam Adams” da un gruppo di ex professionisti americani dell'intelligence. Tra questi, Thomas Drake, un ex senior executive della Nsa, che prima di Snowden ha denunciato gli abusi dell'agenzia e che, come Snowden, si è ritrovato incriminato per spionaggio. «È un premio assegnato a coloro che dimostrano integrità nel rivelare informazioni di intelligence che vanno a informare il pubblico», spiega Drake a l'Espresso, aggiungendo che «chi riceve il Sam Adams non deve essere necessariamente un membro della comunità d'intelligence».

Sul suo account twitter, WikiLeaks ha postato il video del Sam Adams Award a Snowden: si vede Drake che consegna il premio, che consiste in un candeliere con la candela accesa, simbolo del portare luce nell'oscurità.

Nel video, Snowden e Harrison sorridono, ma del futuro di entrambi non c'è certezza. Che ne sarà di Edward Snowden? E Sarah Harrison riuscirà a tornare a casa, in Inghilterra, e a lavorare senza problemi? «Sì, alla fine ce la farà», dice il padre. «Non ha fatto nulla di sbagliato. Sappiamo che il consiglio del legale in questa fase è di non rientrare, in quanto è in corso un'inchiesta, ma quando deciderà di tornare, se ci saranno problemi, noi ci sentiamo sicuri: Sarah ha gli strumenti per affrontarli e le difficoltà saranno solo temporanee. Siamo disposti a batterci per il suo diritto di tornare, se lei lo vuole e se ha bisogno di noi».