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WikiLeaks, la vera storia non è un film

Di Stefania Maurizi

Pubblicato su espressonline, 23 ottobre 2013

(http://espresso.repubblica.it/internazionale/2013/10/23/news/wikileaks-la-vera-storia-1.138712)

Il titolo è ambizioso: “Il Quinto Potere”. Il protagonista, Benedicht Cumberbatch, è tenebroso e magnetico. Ma il film di Bill Condon, come aveva anticipato Julian Assange, che lo twitta e lo ritwitta con piacere, è un fallimento. Al botteghino, come dimostrano le cifre delle ultime settimane. Ma il vero fallimento è stato perdere l'occasione di raccontare la storia di WikiLeaks.

Quella sì, avrebbe meritato un film. Un film sulla guerra per il Potere, che ormai coincide con quella per il controllo delle informazioni. Asimmetrica come tutte le guerre moderne: da una parte eserciti, chiese, banche, intelligence, corporation. Apparati strapotenti, interconnessi e, in alcuni casi, orwelliani, che hanno tutti gli strumenti della coercizione, della persuasione, della capacità di fare pressione, minacciare, insabbiare pur di nascondere crimini, abusi, ruberie. Dall'altra una resistenza piccola, che può contare solo sull'intelligenza, la velocità, il pensare strategico per esporre crimini, abusi e ruberie di chi il potere ce l'ha davvero e lo usa e lo abusa a danno e in barba alla collettività.

WikiLeaks nasce nel 2006. Frutto della mente visionaria di Julian Assange, che conoscendo a fondo risorse, potenzialità e limiti della Rete, capisce di poterla usare per creare un'organizzazione mondiale capace di ottenere e far filtrare (leak, in inglese) documenti scottanti in modo anonimo. File esplosivi in grado di rivelare abusi di diritti umani, crimini di guerra, crimini di servizi di intelligence, banche, culti, multinazionali.

Come tutti i giornali del mondo ricevono soffiate e documenti attraverso le lettere anonime che arrivano in redazione, così il gruppo di Julian Assange usa la rete per rendere il sistema della fuga dei file compromettenti molto più potente, sistematico globale.

Scoop e guai colossali coincidono. Tra i primi documenti che WikiLeaks fa filtrare c'è il regolamento di Guantanamo, poi tocca a una grande banca: la svizzera Julius Baer che ha uffici in tutto il mondo, tra cui uno a Milano, e che è sbucata anche nell'inchiesta sulla cricca della Protezione civile, perché alla Julius Baer sarebbe stato rintracciato un conto di Angelo Balducci.

Nel 2008, WikiLeaks pubblica una valanga di file sui clienti della banca che si sarebbero macchiati di reati come il riciclaggio e l'evasione fiscale. La reazione della Julius Baer è immediata: arruola il più agguerrito studio legale americano specializzato in querele e ottiene un provvedimento di chiusura del sito da una corte della California.

Problema risolto? Tutt'altro. Le pagine con i documenti incriminati continuano a essere visibili in paesi come l'India e la sentenza di oscuramento del sito scatena la reazione di 18 grandi associazioni, mobilitando la grande stampa americana. Vecchi e nuovi media fanno squadra, sostenendo il ricorso in tribunale. E vincono. Sentenza ribaltata, WikiLeaks torna online e la banca batte in ritirata, incassando il colpo d'immagine dell'enorme pubblicità negativa del caso.

Dopo la Julius Baer, è la volta della multinazionale Trafigura, poi Scientology e documenti sulla massoneria. Nel 2009, tocca all'Italia: WikiLeaks contatta “l'Espresso”: ha in mano un file audio sul presunto coinvolgimento dei servizi segreti italiani nello scandalo dei rifiuti a Napoli , servono verifiche. L'Espresso entra in gioco e dà una mano.

Ad aprile 2010 il colpaccio. WikiLeaks mette a segno uno scoop che la rende famosa in tutto il mondo: il video “Collateral Murder” in cui si vede un elicottero americano Apache sparare su civili inermi a Baghdad, tra cui due bambini e due giornalisti della Reuters. Tre mesi dopo è la volta di 76mila documenti segreti sulla guerra in Afghanistan: gli “Afghan War Logs”.

Per la prima volta giornalisti, attivisti per i diritti umani, ricercatori, possono accedere ai rapporti dal campo di una guerra in corso, senza mediazioni: i documenti stavano (e stanno ancora) lì, sul sito dell'organizzazione . Chiunque può leggerli in forma integrale, senza doversi affidare al filtro e alla narrativa dei media tradizionali e, soprattutto, senza aspettare che i documenti fossero desecretati dopo trenta, quaranta o cinquanta anni, quando i fatti descritti diventano preistoria, storie che, al massimo, interessano agli studiosi.

Ai file sulla guerra in Afghanistan sono seguiti quelli sulla guerra in Iraq, i cablo della diplomazia Usa, i documenti su Guantanamo, la corrispondenza interna dell'agenzia privata di intelligence americana Stratfor, i file sull'industria globale della sorveglianza, quelli sulla Siria e i cablo del dipartimento di Stato all'epoca di Henry Kissinger (seppure questi fossero stati già declassificati, in stragrande maggioranza, dallo stesso governo americano).

Appena WikiLeaks ha iniziato a pubblicare i materiali segreti di una superpotenza come gli Stati Uniti, ha subìto un vero e proprio attacco in stile “la Guerra dei Mondi”.

Assange arrestato come stupratore. Minacciato di morte dai falchi americani, che hanno invitato a dargli la caccia come a un operativo di al Qaeda. Il sito attaccato costantemente da hacker. Le donazioni tagliate dal sistema PayPal, dalle carte di credito Visa e Mastercard, dalla Western Union e dalla Bank of America , con un provvedimento stragiudiziale, che puff!, dalla sera alla mattina ha completamente chiuso il rubinetto dei soldi donati dai sostenitori. Immaginate che succederebbe se, da oggi a domani, le banche chiudessero i conti del New York Times, senza un provvedimento giudiziario, senza un'inchiesta, una spiegazione.

Assange e lo staff di WikiLeaks sono finiti al centro di un'indagine segreta del Grand Jury, ad Alexandria, in Virginia: una spada di Damocle che minaccia costantemente lo staff di WikiLeaks di finire incriminato per spionaggio.

Per aver fatto cosa? Pubblicato insieme al New York Times, al Washington Post, al Guardian, allo Spiegel, Le Monde, El Paìs, l'Espresso, la Repubblica, McClatchy, the Hindu e altre decine di giornali e media di tutto il mondo i documenti inviati da una fonte: Chelsea Manning (allora Bradley Manning).

Grazie al processo a Manning davanti alla corte marziale, oggi sappiamo tante cose. Sappiamo che WikiLeaks non ha rubato o sollecitato l'invio dei file segreti: li ha ricevuti da una fonte: Manning, esattamente come i giornali di tutto il mondo ricevono soffiate, documenti e informazioni.

Sappiamo che WikiLeaks non ha causato “danni collaterali” pubblicando quelle informazioni. Come ha efficacemente raccontato il “Guardian” , nessuna fonte o informatore è morto in seguito alla pubblicazione dei file del Pentagono o della diplomazia Usa. A testimoniarlo davanti alla corte marziale, obtorto collo, è stato il generale di brigata, Robert Carr, che ha guidato la Task Force che ha indagato sulle conseguenze della pubblicazione dei documenti di WikiLeaks.

Ma questa storia di WikiLeaks non la sentirete raccontare dal film di Bill Condon. Quello che vi racconterà “Il Quinto Potere” è, praticamente, la versione dei fatti dell'ex portavoce dell'organizzazione. Uno che quando ha rotto con Assange ed è stato espulso dal gruppo di lavoro, ha portato via con sé tremila documenti dell'organizzazione. Alla stampa, che gli ha chiesto perché li avesse portati via, disse di averlo fatto per proteggere le fonti che li avevano inviati. Conseguentemente, li ha distrutti, secondo quello che lui stesso ha dichiarato pubblicamente ai giornali (sarà vero?).

Quando è esplosa la polemica tra Assange e l'ex portavoce, WikiLeaks è stata travolta da un fango di accuse, sospetti e veleni che non hanno mai smesso di circolare, sui media, giornali, in forma diretta, indiretta, virulenta o timida. Assange e il suo staff ne sono usciti come una setta oscura di trafficanti, tra eccentricità e misteri. Il Quinto Potere? No, è il Quarto, bellezza.