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Datagate, parla Thomas Drake: "Ecco come vive Edward Snowden"

Di Stefania Maurizi

Pubblicato su espressonline, 5 novembre 2013

(http://espresso.repubblica.it/internazionale/2013/11/05/news/datagate-parla-thomas-drake-ecco-come-vive-edward-snowden-1.140075)

Snowden? «Fa del suo meglio per vivere più normalmente possibile, vista la situazione straordinaria in cui si trova ed è molto grato alla Russia per avergli dato asilo temporaneo. Va in giro, anche se è preccupato per la sua sicurezza ed è chiaro che ci sono agenti americani che indubbiamente stanno cercando di scoprire dove vive in Russia. Comunica, ma attraverso sistemi molto sicuri». Thomas Drake è una delle pochissime persone al mondo che hanno incontrato Edward Snowden. La fonte dei documenti che hanno innescato lo scandalo Datagate si trova a Mosca dal 23 giugno scorso, accompagnato dalla giornalista di WikiLeaks, Sarah Harrison, che l’ha prelevato da Hong Kong alla ricerca di un paese che gli offrisse rifugio e da allora non l’ha più abbandonato. Drake non è un visitatore qualunque: è stato, fino al 2008, un alto dirigente della National Security Agency: l’agenzia che porta avanti i programmi di sorveglianza di massa per spiare capi di Stato e intere nazioni. Lui ha visto nascere questa rete globale subito dopo l’11 settembre e quando ha provato a denunciarne dall’interno gli abusi, è finito, come Snowden, incriminato per spionaggio, un’accusa poi completamente decaduta, ma che l’ha praticamente portato alla bancarotta: è finito a lavorare come commesso in un Apple store.

Drake ha incontrato Edward Snowden due settimane fa a Mosca e gli ha consegnato il premio “Sam Adams” che, come spiega a “l’Espresso”, viene dato «a coloro che dimostrano integrità nel rivelare informazioni di intelligence che vanno a informare il pubblico», precisando che «chi riceve il Sam Adams non deve essere necessariamente un membro della comunità d’intelligence».

Come ha trovato Snowden?

«Sta eccezionalmente bene, considerando le circostanze piuttosto straordinarie in cui si trova. Molto equilibrato e impegnato, cerca di fare del meglio in questa fase temporanea della sua vita. È molto informato sulla reazione degli Stati Uniti e del mondo alle rivelazioni che scaturiscono dai suoi documenti (con tante cose che devono essere ancora pubblicate). Ha un grande senso dell’umorismo e le nostre discussioni, sia individuali che di gruppo, hanno riguardato tanti temi. Rimane molto concentrato sullo sforzo per promuovere riforme in modo da ridimensionare lo stato di sorveglianza e la minaccia diretta per la sovranità dei cittadini, alla privacy e ai diritti e alle libertà individuali».

Per assegnare il premio a Snowden, lei ha viaggiato a Mosca con Jesselyn Radack, Coleen Rowley e l’ex agente della Cia Ray McGovern, tutti impegnati nella difesa dei whistleblower che denunciano dall’interno le deviazioni degli apparati di sicurezza. Avete avuto l’impressione che Snowden non fosse libero di muoversi e che ormai fosse una “risorsa” nelle mani dei russi?

«Ci sono zero prove che sia una “risorsa” passata ai russi. La Russia chiaramente protegge il suo asilo politico come nazione che lo ospita in base alle leggi internazionali sul diritto di asilo. Non è rinchiuso o detenuto in alcun modo. Sarah Harrison ne è testimone e lei ha sacrificato così tanto, mettendo anche a rischio il suo status di cittadina inglese, pur di sostenerlo e aiutarlo a mantenere la sua libertà, al di fuori del raggio di azione degli Stati Uniti».

Cinque mesi dopo l’esplosione del caso, lei come interpreta la scelta di Snowden?

«Come un maestoso atto di disobbedienza civile. Snowden ha dimostrato uno straordinario coraggio, tirando fuori le prove materiali di quanto in profondità lo Stato di sorveglianza ha penetrato la struttura stessa della nostra società, rendendo vulnerabili le nostre infrastrutture tecnologiche e violando la sovranità di centinaia di milioni di cittadini sia negli Usa che all’estero. Come collega che ha fatto il whistleblower rivelando le deviazioni della Nsa, mi sento profondamente vicino a Snowden. Aveva attentamente studiato e imparato la lezione di altri che si erano mossi prima di lui, aveva visto cosa era successo a me, a Bradley Manning (il soldato condannato dalla Corte marziale per i cable diffusi da WikiLeaks, ndr), a Bill Binney (un altro dirigente della Nsa finito sotto inchiesta per le sue denunce, ndr) e ad altri. Così ha preso la decisione fatidica di fuggire dagli Stati Uniti per rivelare attraverso prove documentali inoppugnabili lo scopo e la vastità dei programmi di sorveglianza di massa portati avanti dallo Stato. Programmi che vanno ben oltre ogni grave indizio di reato, oltre il ragionevole sospetto, oltre il fatto di quanto siano rilevanti per debellare una minaccia reale all’ordine e alla stabilità nazionale e internazionale, e che sono invece alimentati da un complesso patologico che punta semplicemente a sapere tutto».

Uno come lei, che è stato a lungo registrato nelle liste degli elettori del Partito repubblicano, è figlio di un veterano della seconda Guerra mondiale, ha passato la vita tra la US Air Force, la Cia, la Nsa e, da criptolinguista, ha ascoltato almeno per un decennio le comunicazioni della Germania dell’Est durante la guerra fredda, come guarda alla decisione di Snowden di chiedere asilo temporaneo alla Russia?

«Vogliamo dire la verità su come Snowden è finito in Russia? Non aveva alcun piano di visitarla, starci, viverci, per non dire di stabilirsi in Russia. Aveva il biglietto aereo confermato per l’America Latina attraverso Mosca e mentre era in viaggio per Mosca, gli Stati Uniti gli hanno revocato il passaporto, rendendolo un apolide e obbligandolo a rimanere per molte settimane nella zona transiti dell’aeroporto di Mosca, Sheremetyevo. Con il supporto della ricercatrice e giornalista di WikiLeaks, Sarah Harrison, e di altri avvocati molto esperti in materia di leggi internazionali e di asilo politico, Snowden ha formalmente richiesto asilo a tanti paesi, inclusa la Russia, che, alla fine, ha accettato di garantirglielo per un anno».

Molti lo considerano un traditore per avere deciso di rivelare i documenti quando si trovava ad Hong Kong e per aver poi chiesto asilo alla Russia. Lei e i suoi colleghi, invece, lo avete premiato. Perché?

«Chiamarlo traditore è un classico attacco al messaggero per non dover affrontare il messaggio. Snowden è dovuto scappare dagli Stati Uniti per avere una qualche chance di mantenere la sua libertà e fornire ad alcuni suoi contatti nei media le prove documentali che aveva portato con sé. Noi siamo andati a Mosca per consegnargli formalmente il premio Sam Adams per il 2013. La tradizione impone di presentare il riconoscimento alla persona, non importa dove vive e in che condizioni o circostanze. Snowden ha chiesto asilo alla Russia solo dopo essere stato ridotto allo stato di apolide dagli Stati Uniti. Al momento, è il paese più sicuro per lui e quindi siamo andati lì a consegnarglielo».

Lei conosce molto bene la cultura che si respira all’interno della Nsa e quindi sa come all’interno dell’agenzia di intelligence possono giudicare Snowden e cosa sono in grado di pianificare in risposta alle sue azioni. Crede che l’Agenzia smetterà mai di dargli la caccia?

«Credo che gli Stati Uniti vogliano mettere le mani su di lui nel peggiore dei modi. Al momento la Russia è il posto più sicuro per lui e, attraversando la Piazza Rossa, non potevo far a meno di pensare a quanto ironico fosse tutto questo. La Nsa è andata fuori dai gangheri dopo le rivelazioni. Sotto questa amministrazione e sotto l’attuale regime, instaurato in America in nome della sicurezza nazionale, semplicemente non c’è alcuna possibilità che al momento Snowden possa tornare sano e salvo negli Usa. Ha ottenuto l’asilo proprio per il pericolo che correva nel caso fosse rientrato, oltre che per il rischio reale di un sequestro per trasferirlo negli Stati Uniti, una rendition, se fosse andato a vivere in qualsiasi altra parte del mondo».