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SALVATE LA RETE SEGRETA

Di Stefania Maurizi

Pubblicato su l'Espresso, 8 maggio 2012

(http://espresso.repubblica.it/dettaglio/salvate-la-rete-segreta/2180007)

Il primo documento è arrivato a "l'Espresso" tre anni fa, caricato su un sito. "Il download va fatto in fretta, perché dobbiamo toglierlo dal Web, altrimenti può essere intercettato", ci aveva spiegato WikiLeaks, lasciandoci le istruzioni per recuperare il file. I database segreti sulla guerra in Afghanistan e sui cablo della diplomazia Usa, invece, Julian Assange ce li ha consegnati di persona su una chiavetta Usb: "Se anche andasse persa o fosse intercettata all'aeroporto", ci aveva detto, "nessuno potrà aprire i file: sono criptati". Ma per i database successivi, il fondatore di WikiLeaks ha voluto evitare voli aerei e chiavette. I documenti sono transitati nelle profondità della Rete. è lì che "l'Espresso" doveva andare a recuperarli ogni volta. Nella porzione di Web invisibile e inaccessibile ai motori di ricerca: il "deep Web".

E' l'ultima frontiera della Rete. E ci transita di tutto: informazioni protette da password, documenti di governi stranieri blindati da potenti sistemi di cifratura o anche semplice materiale pirata. Si tratta solo di sapere dove cercare.

In questa porzione di Web non si arriva navigando con Google o con altri motori di ricerca. Si arriva digitando un indirizzo preciso sulla barra del browser. Un indirizzo che qualcuno vi ha fornito e che può aprire il forziere che cercate. Per alcuni questo Web profondo è la mecca dei traffici illegali. Un Far West digitale, dove è possibile anche acquistare merce proibita nella discrezione più totale. Droghe o addirittura armi. Chi naviga nelle acque del deep Web sa come mascherare l'Ip del computer: quel codice che identifica in modo univoco ogni pc che accede a un sito Internet, rendendolo rintracciabile in qualsiasi momento. Chi si muove negli abissi del deep Web spesso usa sistemi come Tor, che permette di navigare in modo anonimo, usando un sistema di "tunnel virtuali" che fanno perdere le tracce. Sviluppato per la prima volta dai laboratori di ricerca della Marina degli Stati Uniti, per poter consentire ai militari di comunicare e accedere ai siti Web delle potenze straniere in condizione di anonimato, oggi Tor è uno strumento indispensabile per dissidenti che vivono in regimi disumani, ma anche per i giornalisti che devono relazionarsi a fonti confidenziali, tipo WikiLeaks.

Nelle acque profonde della Rete, comunque, non si usa solo Tor: documenti e informazioni circolano anche criptati con robusti sistemi di cifratura, come Aes256. E i pagamenti on line possono anche essere anonimi, come avviene con Bitcoin: una moneta virtuale creata da maghi di Internet per sfuggire alle banche.
L'immagine popolare del deep Web ormai è quella di un bassofondo digitale, dove la criminalità può prosperare.

E' "l'Internet segreto delle mafie", come ha titolato recentemente il quotidiano "La Stampa", dipingendo un quadro a tinte fosche. è davvero così? Molti esperti dissentono completamente: "Oggi i criminali se la cavano benissimo senza Tor", spiega a "l'Espresso" il leader del progetto, Roger Dingledine, il ricercatore americano che lo ha creato e che è un leader mondiale nel settore delle comunicazioni anonime. "I criminali non ne hanno bisogno perché possono infilarsi nei computer in giro per il mondo e operare attraverso di essi. Né hanno bisogno di Bitcoin: se la cavano alla grande con il riciclaggio di denaro e con il furto di identità. Chi se la passa male semmai è chi vuole proteggersi". Secondo Dingledine, infatti, i cittadini che vivono nei regimi autoritari, i giornalisti che vogliono tutelare le fonti ad alto rischio, le forze di polizia che devono operare nella discrezione o anche semplicemente le aziende che devono difendersi dalla concorrenza o dallo spionaggio industriale hanno veramente poche possibilità. E Tor è una di queste. "Decine di migliaia di persone lo usano in Iran e negli ultimi sei mesi, in Siria, l'uso è più che raddoppiato", conferma Jacob Appelbaum, uno dei ricercatori di punta di Tor. "Noi del progetto", racconta ancora Dingledine, "istruiamo tanto i blogger tunisini quanto le forze di polizia dei paesi democratici: tantissimi agenti lo usano per proteggersi on line e rimanere anonimi".

Quanto alla crittografia, se davvero i governi decidessero una stretta in nome della difesa della legalità e della sicurezza nazionale, secondo Dingledine, "dovrebbero ingaggiare una guerra praticamente con tutte le aziende del mondo: ormai l'uso è pervasivo".

La pensa così anche l'inglese Ben Laurie, una star della crittografia che ha dato una mano a Julian Assange nelle prime fasi della creazione di WikiLeaks: "La crittografia è essenziale per proteggere il business. E le comunicazioni anonime sono indispensabili per la libertà di parola. Come non possiamo vivere senza le auto e i telefoni, così non possiamo farlo senza crittografia e comunicazioni anonime".

E Bitcoin? è davvero la moneta d'elezione per narcotrafficanti, sicari e riciclatori mafiosi? Arturo Filastò, esperto italiano con un ruolo importante nel progetto Tor non la pensa così: "Se il mercato della droga e la criminalità organizzata dovessero iniziare ad usare Bitcoin, sarebbe relativamente facile tracciare i flussi di denaro: tutte le transazioni sono pubbliche. La vera innovazione è che Bitcoin permette a un gruppo arbitrariamente grande di persone di mettersi d'accordo su qualcosa - in questo caso su una transazione economica - senza dover ricorrere a strutture di potere gerarchico".

Non è un caso che l'idea di una moneta simile è nata per la prima volta con i leggendari Cypherpunks, un gruppo di alto livello di esperti della Rete, come Timothy May, capo della divisione tecnica del gigante dei processori Intel, ma anche di hacker e attivisti squattrinati, come il giovanissimo Julian Assange. Tutti spaventati all'idea che le comunicazioni elettroniche possano portare a un potere sempre più invadente e orwelliano: quindi desiderosi di sviluppare tecnologie per rafforzare il potere degli individui, piuttosto che quello delle istituzioni.

Nessuno tra i guru mondiali del settore, come Roger Dingledine e Ben Laurie, vede invenzioni come Tor, Bitcoin o la crittografia come "pericoli", anzi. Ma allora perché e da dove è partita questa campagna di demonizzazione del deep Web? Forse una risposta c'è. A marzo, la rivista americana "Wired" ha rivelato i nuovi piani della più potente agenzia di spionaggio elettronico del mondo: l'americana Nsa, che a Bluffdale (Utah) sta costruendo il più grande centro di sorveglianza delle comunicazioni mondiali. Obiettivo: fare a pezzi il deep Web. La campagna di delegittimazione potrebbe servire anche a giustificare questa offensiva, scoraggiando, con la scusa della criminalità, strumenti come la crittografia e Tor? "Sospetto che a quella gente piacerebbe", risponde Ben Laurie. "Ma sanno quanto è difficile mettere in pratica una cosa simile né conoscono gli effetti collaterali di una simile mossa, perché bandire una tecnologia serve solo a deprivare di uno strumento i cittadini che osservano le leggi, non a far cambiare idea ai criminali".