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I LIBERAL USA SALVANO WIKILEAKS

Di Stefania Maurizi

Pubblicato su l'Espresso, 18 dicembre 2012

(http://espresso.repubblica.it/dettaglio/i-liberal-usa-salvano-wikileaks/2196762)

Una Fondazione per la libertà della stampa, che raccoglie donazioni per finanziare il giornalismo più aggressivo del mondo: quello di WikiLeaks. Mentre Julian Assange rimane rintanato nell'ambasciata dell'Ecuador a Londra, che gli ha concesso asilo politico, e ha annunciato che tornerà a riaffacciarsi dalla sede diplomatica per parlare al pubblico giovedì 20 dicembre, data che segna i sei mesi del suo "internamento", la sua organizzazione incassa un importante risultato contro una delle minacce più gravi che ne mettono a rischio l'esistenza: lo strangolamento finanziario messo in atto dalle carte di credito Visa e Mastercard e da PayPal, Western Union e Bank of America, che due anni fa, subito dopo che WikiLeaks ha iniziato a pubblicare i cablo della diplomazia Usa, hanno completamente bloccato la possibilità di donare soldi al gruppo.

Ora, però, un aiuto importante arriva proprio dall'America. O meglio dalle élite liberal di quell'America che ha in piedi un conflitto senza precedenti contro Assange, come dichiarato da lui stesso due settimane fa in un'intervista esclusiva a l'Espresso (http://espresso.repubblica.it/dettaglio/assange-wikileaks-andra-avanti/2195729). Un gruppo di personalità e organizzazioni statunitensi impegnate nella lotta per i diritti civili e digitali ha creato la Freedom of the Press Foundation, che ha come missione la raccolta di donazioni per WikiLeaks e per altri tre enti che fanno informazione nel pubblico interesse. Collegandosi al sito della Fondazione, è possibile donare facilmente con carte di credito come Visa e Mastercard e sistemi come PayPal fino al 31 gennaio 2013. Chiunque può farlo e per i cittadini Usa è anche possibile dedurre dalle tasse la donazione. Il portale è attivo da ieri e il primo giorno ha raccolto 62mila dollari. E ora Visa, Mastercard e gli altri boss del credito che faranno? Bloccheranno anche questa Fondazione, pur di non fare arrivare i soldi a WikiLeaks? E' una partita appena iniziata: nessuno sa come finirà.

A mettere in piedi la Fondazione sono stati personaggi come l'americano Daniel Ellsberg, che nel 1971 rivelò i celebri documenti segreti sulla guerra in Vietnam, i 'Pentagon Papers', rischiando la vita e la libertà personale, come oggi del resto rischia Bradley Manning, la presunta fonte di WikiLeaks. John Perry Barlow, cofondatore della "Electronic Frontier Foundation", con sede a San Francisco, California, un faro per la le libertà civili e digitali, in un'America che ormai marcia a ritmo spedito verso un controllo elettronico totale in stile Stasi. E anche una documentarista di talento come l'americana Laura Poitras, che da 10 anni lavora a una trilogia di film su come sono cambiati gli Stati Uniti dopo l'11 settembre, un progetto che l'ha portata ad essere fermata e interrogata negli aeroporti Usa per i controlli antiterrorismo ben 40 volte.

La Freedom of the Press Foundation è stata appena lanciata e dall'interesse mostrato da media internazionali come il New York Times (http://mediadecoder.blogs.nytimes.com/2012/12/16/group-aims-to-be-a-conduit-for-wikileaks-donations/?ref=global) (e il Guardian: http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2012/dec/17/freedom-press-foundation-dan-gillmor") l'inizio sembra promettente. Mai prima era successo che, dalla sera alla mattina, un'organizzazione perfettamente legale e che fa giornalismo, com'è quella di Julian Assange, subisse un blocco totale dei conti bancari, completamente arbitrario e stragiudiziale. Improvvisamente banche e carte di credito hanno stabilito che non avrebbero più permesso ai loro clienti di donare soldi a WikiLeaks. Nessuna spiegazione. Nessuna motivazione legale. Hanno chiuso il rubinetto, punto e basta. Da allora (era il dicembre del 2010), WikiLeaks lotta in tutte le sedi legali contro questa decisione. E' una battaglia per la sopravvivenza di WikiLeaks.

Ma è anche una battaglia per la libertà di tutti, anche perché, con la diffusione della moneta elettronica, diventeremo tutti dipendenti da carte di credito e sistemi di pagamento online come PayPal. Quella di Assange è stata la prima organizzazione giornalistica a subire la censura dei colossi del credito, ma di certo non sarà l'ultima: chi sarà il prossimo? «Siamo stati lasciati soli», racconta a "l'Espresso" Kristinn Hrafnsson, portavoce di WikiLeaks, che segue la complessa partita legale contro il blocco delle donazioni, «nella maggior parte dei casi la stampa mainstream ha dimostrato un patetico disinteresse per questo problema. E per me, che di mestiere sono un giornalista, questa constatazione è stata profondamente preoccupante», continua Hrafnsson, spiegando che nel caso di WikiLeaks il blocco delle carte di credito è stata ed è un'azione politicamente motivata: il fatto che il governo americano faccia la guerra all'organizzazione attraverso aziende private come le carte di credito Visa e Mastercard, che hanno sede negli Usa, segnala l'inizio della censura di stato affidata ai privati. «Il messaggio che tutti i giornalisti dovrebbero cogliere è: attenti che i prossimi siete voi», sottolinea con convinzione.

WikiLeaks si sente anche abbandonata dall'Europa in questa battaglia. Subito dopo il blocco delle donazioni, ha presentato un esposto alla Divisione Antitrust della Commissione Europea contro Visa e Mastercard, ma dopo quasi un anno di attesa Bruxelles ha fatto sapere che non aprirà un'inchiesta su quanto accaduto. «Si tratta di una decisione preliminare e io credo che in appello dovrebbe essere ribaltata», spiega Hrafnsson a l'Espresso. Ma per quale motivo l'Europa rifiuta di fare luce sul caso? «La spiegazione che ci è stata data», continua, «è che gli interessi economici in ballo per i consumatori europei sono limitati, in quanto il nostro partner Datacell [che assiste WikiLeaks nell'incasso delle donazioni e ha presentato formalmente l'esposto alla Commissione Europea, ndr] è un'azienda troppo piccola perché la Commissione apra un'inchiesta. Ora, secondo me, una risposta del genere significa voltare la testa dall'altra parte: la Divisione Antitrust dovrebbe servire proprio a tutelare gli interessi dei più piccoli».

Kristinn Hrafnsson si dice convinto che Visa, Mastercard e gli altri colossi del credito «considereranno ogni mezzo per fermare anche le donazioni attraverso Fondazione americana», ma se lo faranno, «c'è già pronta un'azione legale contro di loro», perché questa è una guerra che non può essere perduta e va assolutamente combattuta, «perché mai prima d'ora queste istituzioni finanziarie hanno avuto un simile ruolo diretto nella guerra alla verità e, nel fare questo, hanno attaccato i diritti fondamentali dei cittadini di esprimere il loro supporto per un'organizzazione, votando con i loro portafogli».