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ASSANGE E LA GUERRA DEI MONDI

Di Stefania Maurizi

Pubblicato su l'Espresso, 27 febbraio 2012

(http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Assange-e-la-guerra-dei-mondi/2175345)

Da 14 mesi Assange, fondatore di WikiLeaks, è intrappolato agli arresti domiciliari nella verde Inghilterra, in attesa della sentenza definitiva sull'estradizione in Svezia, che arriverà a giorni. A oggi, non è incriminato per alcun reato, ma i magistrati lo vogliono interrogare in merito alle accuse di stupro che gli rivolgono due donne.

L'incapacità di muoversi da un continente all'altro, come faceva prima del caso svedese, di incontrare fonti e giornalisti in alberghi dove non si registrava, senza mai comunicare con loro al telefono o per email, ha seriamente compromesso il lavoro di WikiLeaks. A queste difficoltà logistiche, si sono aggiunti problemi altrettanti gravi. Il più devastante è il blocco finanziario scatenato da un vero proprio cartello di cinque istituzioni finanziarie, di cui fanno parte le carte di credito Visa e Mastercard, Bank of America e le aziende PayPal e Western Union.

La guerra delle carte (di credito) Tutto è cominciato nel dicembre 2010, quando WikiLeaks iniziò a pubblicare i cablo della diplomazia Usa e annunciò di avere documenti su una grande banca, che non ha mai identificato, ma che tutti hanno ritenuto essere la Bank of America. Da quel momento in poi per WikiLeaks è iniziato un vero e proprio accerchiamento finanziario, innescato anche da falchi americani come Peter King, che siede per i repubblicani nella House of Representatives del Congresso Usa ed è membro della commissione per i servizi finanziari e di quella sull'intelligence. King chiese l'inclusione dell'organizzazione di Assange nella lista delle entità terroristiche straniere, con il conseguente congelamento dei fondi. Il Tesoro americano, però, rispose a King che non c'erano i requisiti legali per inserire nelle black list il gruppo di Assange, che ad oggi è una realtà perfettamente legale. Nonostante ciò, il cartello delle cinque istituzioni finanziarie dette il via a un blocco pressoché totale delle donazioni, che va avanti da allora.

Sette mesi fa, WikiLeaks è ricorsa alla Commissione Europea e la divisione antitrust della Commissione dovrebbe annunciare a breve se aprirà o meno un'inchiesta. «Di solito le istruttorie preliminari richiedono tre o quattro mesi», spiega a l'Espresso Kristinn Hrafnsson, portavoce di WikiLeaks, «ma in questo caso la Commisione sta impiegando un tempo insolitamente lungo». Hrafnsson ci tiene a sottolineare che WikiLeaks «è un'organizzazione che non riceve alcun fondo da governi o fondazioni. Le donazioni vengono in gran parte dai cittadini americani, europei, australiani e svizzeri e di norma si aggirano intorno ai venticinque euro».

Tagliare la possibilità di donare con le carte di credito Visa e Mastercard e con PayPal significa colpire in modo particolare le giovani generazioni cresciute a pane e internet, che ricorrono ai pagamenti online, donando piccole somme denaro, che sarebbe insensato inviare attraverso un bonifico bancario estero, visti i costi di riscossione. Tagliare poi anche la possibilità di donare attraverso la Bank of America e gli istituti di credito del suo circuito, significa praticamente azzerare il flusso di denaro dagli Usa. L'embargo è sicuramente uno dei problemi più seri e che hanno indiscutibilmente rallentato il flusso di scoop esplosivi maneggiati dal gruppo di Assange.

Ma quello economico non è l'unico fattore che ha minato la vitalità di WikiLeaks. Lo scontro con i grandi giornali come il Guardian e il New York Times, che hanno collaborato al rilascio dei cablo e dei file sull'Afghanistan e l'Iraq, è stato altrettanto dannoso.

Keller's War. Alcune delle pagine più dure su Assange sono state scritte dall'ex direttore del New York Times, Bill Keller che non lo ha mai incontrato di persona, ma nelle pagine di apertura del suo ebook 'Open Secrets' su WikiLeaks riferisce questa descrizione di Assange fattagli da uno dei suoi reporter di punta: «E' sveglio, ma trasandato come uno di quei mendicanti che girano con tutti i loro averi nei sacchetti di plastica, indossa una giacca sportiva sporca e pantaloni cargo, una camicia bianca sporca, sneakers malconce e calzini bianchi sporchi che gli collassano intorno alle caviglie. Puzza come se non avesse fatto il bagno da giorni».

Keller usa il suo libro per piazzarsi a distanze siderali da Assange, a cui non riconosce neppure il merito di avere inventato una piattaforma per l'invio di documenti segreti, che ha portato a «uno dei più grandi scoop giornalistici degli ultimi 30 anni», come ha scritto Vanity Fair a proposito dei cablo. Molti hanno tentato di inventare piattaforme simili per l'invio di documenti confidenziali, inclusi grandi media come Al-Jazeera e lo stesso New York Times, ma senza un risultato neppure paragonabile a quello ottenuto dall'organizzazione di Assange. Nel suo libro, Keller rivela, però, alcuni dettagli interessanti del suo lavoro sui documenti di WikiLeaks, come quando spiega che, sette giorni prima della pubblicazione dei cablo, il capo della redazione di Washington del New York Times, Dean Baquet, e altri due colleghi «furono invitati in una stanza senza finestre al Dipartimento di Stato, dove incontrarono un gruppo di persone che non ridevano affatto: rappresentanti della Casa Bianca, del Dipartimento di Stato, dell'ufficio del Direttorato nazionale dell'intelligence, della Cia, dell'Fbi, del Pentagono che sedevano intorno a un tavolo da riunioni. E altri individui, che non si sono mai identificati». L'incontro «si è svolto off the record».

Altri meeting, invece, furono routine e, sostanzialmente, «prima di ogni incontro, la nostra redazione di Washington inviava un plico di cablogrammi che intendevamo usare [per il giornale] nei giorni seguenti».

Dai cablo in poi, il rapporto con il Guardian e il New York Times è degenerato in uno scontro aperto, con accuse reciproche e vere e proprie scosse telluriche che sono state avvertite anche nelle redazioni più periferiche del mondo. Quasi tutti i giornalisti che lavorano con Assange, incluso chi scrive, hanno assistito a scontri, talvolta sotterranei, altre volte manifesti con qualche partner dei team internazionali che mette insieme WikiLeaks per i suoi scoop.

Non sempre gli scontri sono dovuti al carattere complesso di Julian Assange, ma anche a comportamenti apertamente scorretti o arroganti di alcune redazioni. Ribelle e insofferente dell'autorità fin nei geni del suo Dna, il fondatore di WikiLeaks non vuole sentirsi dare ordini da nessuno né si piega docilmente alle scelte editoriali dei giornali con cui collabora: chiede il rispetto di certe condizioni, difende le politiche di pubblicazione di WikiLeaks, che sono profondamente diverse da quelli di un media tradizionale, che, operando in precise giurisdizioni, ne deve necessariamente rispettare le leggi.

WikiLeaks, invece, è una creatura che usa le risorse della rete per bypassare qualsiasi censura: legale e illegale. E anche quando arriva il giudice e impone l'oscuramento totale del sito - come hanno cercato di fare nel 2008 i legali della banca svizzera Julius Baer, di cui WikiLeaks pubblicò documenti sul presunto coinvolgimento in attività di riciclaggio ed evasione fiscale - il gruppo di Assange riesce a far rimbalzare i suoi file proibiti in giro per il mondo grazie ai siti mirror: pagine web specchio di quelle oscurate, che riappaiono in rete a indirizzi diversi da quelli bloccati dall'autorità giudiziaria.

Dopo lo scontro al calor bianco con i giornali più potenti del mondo, come il New York Times, Assange è sicuramente più isolato. Ma chi lo dà per finito sottovaluta le sue risorse e quelle del suo team, misterioso e inabissato, con gente indubbiamente brillante.

La guerra del Pentagono Al pericolo della rovina finanziaria e delle frizioni con il Quarto Potere, si aggiunge quello che il fondatore di WikiLeaks finisca risucchiato nell'indagine contro Bradley Manning, la presunta fonte che avrebbe passato all'organizzazione i documenti più scottanti: dai cablo agli Afghan War Logs.

Oggi Manning deve affrontare la corte marziale e nelle udienze preliminari sono emersi fatti, che se fossero veri, sarebbero sicuramente preoccupanti per il futuro di Assange e di WikiLeaks. I procuratori che hanno indagato su Manning e sulla presunta fuga di documenti, avrebbero le prove che Assange ha aiutato il giovane soldato a forzare la password per accedere alla rete interna del Pentagono: la SIPRnet da cui Manning avrebbe prelevato i file. SIPRnet è il network di reti del Pentagono in cui sono conservati i documenti fino al livello segreto, ma non oltre. Non arriva al top secret. Le reti sono ovviamente protette da password, forzandola, però, sarebbe possibile accedere ai documenti senza lasciare l' 'impronta digitale'.

E' vero che la giustizia americana ha in mano questa prova capace di inchiodare Assange, oppure è solo disinformazione, una guerra psicologica per mettere il fondatore di WikiLeaks con le spalle al muro e convincerlo che è spacciato?

Il destino giudiziario di Bradley Manning è ancora tutto da decidere: una spada di Damocle in un futuro come quello di WikiLeaks pieno di interrogativi. Chi conosce l'organizzazione sa che in più di un'occasione è stata a un passo dall'estinzione. Come alla fine del 2009, quando chiuse completamente il sito per mancanza di fondi e il gruppo sembrava completamente allo sbando.

Quattro mesi dopo, nell'aprile del 2010, WikiLeaks pubblicò il video 'Collateral Murder' che fece il giro del mondo, ad esso seguirono gli Afghan e gli Iraq War Logs, i cablo e i documenti di Guantanamo. Allo stato comatoso seguì l'annus mirabilis di WikiLeaks. Tornerà ancora?