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IL PATTO SEGRETO ITALIA-IRAN

Di Gianluca Di Feo e Stefania Maurizi

Pubblicato su l'Espresso, 15 settembre 2011

Una guerra segreta condotta da almeno sei anni in cui l'Italia è diventata la linea del fronte dello scontro tra Stati Uniti e Iran. Con spie e diplomazie che si sfidano cercando di mettere a segno o affondare contratti e forniture. Perché agli occhi di Washington il nostro Paese è una sorta di supermarket dove il regime di Teheran fa shopping di tecnologie proibite e mette in circolazione capitali. Ma a causa della forza delle concessioni petrolifere, gli americani faticano a convincere Roma delle loro ragioni. E spesso devono impegnarsi in trattative levantine dove molti cercano un tornaconto, economico o politico, per accontentare gli Usa.

l file di WikiLeaks raccontano episodi degni di una spy story, rimasti finora top secret. Si va dai mezzi speciali « verosimilmente destinati agli hezbollah libanesi» bloccati nel porto di Gioia Tauro ai tentativi di mettere le mani su apparecchiature per produrre armi chimiche e batteriologiche. Documenti che riguardano anche grandi nomi dell'economia, come le minacce ai vertici di Eni ed Edison per spingerli a troncare i rapporti con gli ayatollah o le inutili pressioni per far applicare l'embargo Onu alla compagnia di navigazione Fratelli Cosulich.

LA ROTTA GENOVA-TEHERAN

L'ultima grana tra il Dipartimento di Stato e la Farnesina nasce proprio intorno allo storico armatore ligure: la Cosulich ha creato con la societa statale iraniana di spedizioni navali una joint venture chiamata Irital e basata a Genova. Ma la compagnia iraniana è stata coinvolta in molti traffici legati al programma missilistico e nucleare di Ahmadinejad, tanto che nel marzo 2008 il Consiglio di sicurezza dell'Onu l'ha inserita nell'elenco di ditte da colpire con le sanzioni. Tempo due mesi e il govemo statunitense congela tutti i beni dell'azienda iraniana e delle sue controllate, vietando ogni attività negli Usa. Nel mirino finisce anche Irital ma l'operazione americana provoca una dura reazione della Farnesina. Nel novembre 2OO8 una nota di Claudio Spinedi, alto funzionario del ministero degli Esteri, definisce il provvedimento «un grave fastidio che mina le relazioni dell'Italia con gli Stati Uniti», parlando di iniziativa unilaterale di Washington. Secondo la nostra diplomazia le sanzioni delle Nazioni Unite riguardavano solo la casa madre iraniana mentre erano stati gli americani a estenderle alla Irital e, potenzialmente, a tutte le ditte italiane in affari con questa sigla. L'ambasciatore Ronald Spogli segnala la vicenda con sorpresa. Nel suo rapporto fa un'analisi più estesa: «La reazione negativa alle sanzioni può essere dovuta alle azioni della Irital in mano ai Fratelli Cosulich, un importante gruppo di spedizioni con i contatti giusti». Quali? La spiegazione arriva nel gennaio 2010 mentre la disputa è ancora aperta e l'Unione europea si prepara a varare sanzioni anche contro Irital. Il nuovo ambasciatore David Thorne scrive a Hillary Clinton: «L'azione su questo caso, sospesa da tempo, sembra sia stata complicata dalla connection tra l'azienda con funzionari di alto livello del governo italiano. Cosulich ci ha detto che suo cognato è Antonio Bettanini, consigliere per gli affari istituzionali, politici e per la comunicazione del ministro Frattini. Secondo noi questo legame di alto livello con il ministero degli Esteri può avere condizionato la risposta al governo americano». Affari di Stato e di famiglia che si confondono, come spesso accade nel nostro Paese considerato ormai la patria dei conflitti di interessi.


IL BAZAR DELLE ARMI

Molte volte gli americani sono costretti a mercanteggiare per fermare le iniziative di Teheran. Nel caso dei battelli superveloci venduti ai Guardiani della Rivoluzione, i pretoriani del regime, dal 2002 per tre anni gli Usa fanno pressioni sul vecchio governo Berlusconi. Sono mezzi prodotti dalla Fb Design di Lecco, con motori Isotta Fraschini: nell'ottobre 2007 “l'Espresso" ha rivelato la storia di questi scafi, rapidi e invisibili ai radar, considerati dal Pentagono uno degli strumenti più pericolosi per aggredire la navigazione nel Golfo Persico. Nel 2006 il viceministro Adolfo Urso informa di avere fermato la partenza di uno dei battelli «ultimo di una serie di 14-15
acquistati dagli iraniani» ma chiede aiuto per trovare nuovi clienti che compensino la Fb per la perdita di un committente così ricco. Una richiesta che gli Usa definiscono «inusuale» che però viene accolta come segnale di collaborazione. Ma nel 2007 si scopre che i motori speciali Isotta Fraschini - del gruppo pubblico Fincantieri - continuano a essere spediti in Iran.
Mentre la Farnesina - dove era arrivato Massimo D'Alema - parla di contratti con «la guardia costiera iraniana», un funzionario del ministero dello Sviluppo economico descrive una «fornitura di propulsori navali ai Guardiani della Rivoluzione che è stata gradualmente fermata». Chi sta mentendo: la Famesina che parla di vendite alla Guardia costiera, ossia per scopi civili, o la segnalazione che indica come acquirenti il corpo armato integralista? L'ambasciatore Ronald Spogli è chiaro: «Non abbiamo ragioni di dubitare del dirigente dello Sviluppo economico. Resta da capire da quando il govemo di Roma disponeva di queste informazioni. E a che livello è stato deciso di non condividerle con noi».


DOPPIO GIOCO

ll sospetto di un doppio gioco italiano è frequente. ll caso più importante riguarda la Banca Sepah di Roma,indicata come una delle istituzioni che hanno permesso lo shopping missilistico degli ayatollah. Nel 2006 il sottosegretario Stuart Levey, capo dell'intelligence finanziaria, arriva in Italia per chiederne la chiusura ma Vittorio Grilli, il direttore generale del Tesoro, gli risponde picche.
Grilli sostiene che le irregolarità non sono così serie: «Se le norme venissero applicate così rigorosamente, l'Italia sarebbe senza banche». Al che Levey si irrita e spiega che la filiale romana della Sepah «esiste sostanzialmente per un solo cliente, l'Aerospace industries organization di Teheran», azienda colpita dalle sanzioni Onu perché pilastro del programma missilistico di Ahmadinejad. Solo nella primavera 2007 è scesa in campo la Banca d'Italia e dopo un'ispezione Mario Draghi ha ordinato il commissariamento della sede romana di Sepah.


LA FURIA DI OBAMA

Gli americani si chiedono cosa spinga le autorità di Roma a essere così indulgenti verso l'lran. Elizabeth Dibble sottolinea come le importazioni - prodotti petroliferi per oltre 4 miliardi di euro - superino di gran lunga l'export - meno di due miliardi ossia l'1 per cento delle esportazioni italiane - e che comunque gli idrocarburi iraniani rappresentino una quota minima del fabbisogno energetico. Conclude che quella di Roma è -«una politica basata sugli affari ma senza affari»: «Crediamo che più spesso vengano attivati rapporti tra le singole aziende e i politici per assicurare valutazioni favorevoli a un determinato contratto». Insomma, nessuna ragione di Stato ma tanti interessi particolari. Nei cable si parla spesso dell'Eni e dell'Edison. Nel 2008 l'allora numero uno di Edison Umberto Quadrino parla degli investimenti per 5-6 miliardi che intende fare nei giacimenti iraniani e promette trasparenza, sostenendo che durante le trattative con Teheran è sempre stato in contatto con la Farnesina e con il ministro prodiano Enrico Letta.
Ma la questione fa letteralmente infuriare gli Usa. Nell'agosto 2009 - con Berlusconi tornato al potere - l'ambasciata italiana a Washington cita il contratto di Edison come «uno dei casi di moral suasion che viene esercitata per fermare gli investimenti in Iran». E' una delle promesse -sottolinea il file -fatta da Berlusconi al presidente Obama durante il loro primo incontro. Ma i manager Edison negano agli americani di avere ricevuto pressioni dal governo: «In Iran noi stiamo procedendo secondo i piani». Al che l'ambasciatore Thorne convoca Quadrino e dice senza mezze parole che «le sue operazioni in Iran stanno aiutando il regime e danneggiano gravemente l'immagine di Edison a Washington. Fa presente che gli Usa sostengono il vostro progetto del gasdotto in Caspio ma ora associano Edison soprattutto all'lran. Vi avevamo detto di rinunciare al contratto». ll documento descrive il numero uno di Edison «scosso e praticamente disperato». E dopo pochi mesi Quadrino obbedisce congelando fino al 2011 l'attività in Iran. Chiede però in cambio «un maggiore sostegno americano per altri contratti» ma l'ambasciatore è severo: «Non gli dobbiamo nulla, lo avevamo avvisato di non fare l'accordo con Teheran». Allo stesso tempo, Washington si convince che Berlusconi non stia facendo nulla di concreto per allontanare le aziende italiane dall'Iran.


TRA BATTERI E ROBOT

Ogni tanto ci sono situazioni che diventano scomode. Come la spedizione di mezzi terrestri intercettata a Gioia Tauro: vengono dall'Iran e vanno in Siria, ma gli Usa credono che il vero destinatario siano gli hezbollah, la milizia libanese sciita che sta cercando di riarmarsi dopo la guerra con Israele. La Cia è convinta che siano veicoli molto speciali, modificati per ospitare sistemi di guerra elettronica e disturbare i radar israeliani. Il carico resta bloccato dalla fine del 2006 ma tre anni dopo le proteste dell'Iran sembrano prossime a ottenerne il dissequestro. Il responsabile della Farnesina per il contrasto della proliferazione di armamenti informa gli americani e chiede di fomire prove sulla natura militare dei veicoli, altrimenti l'Italia dovrà farli partire. Nello stesso periodo grandi preoccupazioni vengono create da un'azienda friulana. La Alpi Aviation costruisce piccoli aerei a elica, usati per turismo e scuola di volo, venduti anche a Teheran. Ma progetta pure modernissimi velivoli teleguidati da ricognizione: robot-spia avanzati, con visori prodotti da Selex del gruppo Finmeccanica. L'Aeronautica ne ha comprati una pattuglia per le forze speciali che proteggono gli aeroporti. All'intelligence americana nel 2009 è arrivata una segnalazione dal Giappone: la ditta friulana starebbe facendo una triangolazione di componenti sofisticati per aerei teleguidati. Teheran da tempo tenta di mettere a punto piccoli droni che sfuggano ai radar. Le Dogane italiane, allertate dall'ambasciata Usa, tengono sotto stretta sorveglianza l'azienda per tre mesi senza trovare né i pezzi "incriminati" né altri elementi sospetti. Ma in ltalia gli ayatollah cercano anche le armi dell'apocalisse: gas e batteri. Lo racconta nel 2006 Carlo Tripepi, alto funzionario degli Esteri, e descrive gli interventi del governo per fermare la vendita di sostanze utilizzabili per distillare ordigni chimici. I cablo ricostruiscono anche i piani iraniani per ottenere l'appoggio alle ricerche sul botulino e la tossina Shiga, la stessa del batterio killer che questa estate ha fatto strage in Europa. Almeno in questi casi, però, le nostre autorità sono state inflessibili.