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IL MONDO CHE SOGNA ASSANGE

Di Stefania Maurizi

Pubblicato su l'Espresso (online), 31 marzo 2011

(http://espresso.repubblica.it/dettaglio/il-mondo-che-sogna-assange%3Cbr-%3E/2148106)

«Abbiamo informazioni su un certo numero di banche americane, ma c'è una serie di questioni su cui dobbiamo lavorare per rendere giustizia a questo materiale». E' Julian Assange nella sua essenza più pura quello che ieri ha risposto in chat alle domande dei lettori de l'Espresso.

Dai documenti sulle banche, che tutto il mondo aspetta, fino alla «very grim» (molto cupa) situazione della nostra televisione «di cui la maggior parte degli italiani è consapevole». Dalla guerra di Julian contro il 'New York Times' e il 'Guardian,' fino a Rupert Murdoch, proprietario delle corazzate Sky, Fox, il 'Times' di Londra e il 'Wall Street Journal', «che ci ha avversato», spiega Assange, «in parte perché l'abbiamo escluso dal nostro lavoro, in parte a causa dei suoi vari tentativi di ingraziarsi o fare pressione sui governi per ottenere condizioni migliori per le licenze tv».

Creata dal nulla, frutto della mente visionaria di Assange, che poco più che ventenne sguazzava in mailing list di livello stellare, dove 'complottardi' e maghi della crittografia combattevano la sorveglianza elettronica in stile 'Grande Fratello', WikiLeaks è cresciuta in modo esponenziale nell'ultimo anno. E Julian Assange, anima e meningi dell'organizzazione, è pienamente consapevole della forza acquisita dalla sua banda. «Si può vedere come il nostro lavoro stia facendo la differenza», racconta nella chat dell'Espresso, «la scorsa settimana il cancelliere del Paraguay si è dimesso».

Ma il leader del Paraguay è solo una delle vittime del tornado WikiLeaks: in India, i cablo sulla corruzione nel settore nucleare hanno innescato uno scandalo che ha imbarazzato enormemente il primo ministro.

Negli Usa, invece, il portavoce del Dipartimento di stato, P.J.Crowley, è stato costretto a dimettersi dopo le sue affermazioni su Bradley Manning, la presunta fonte dei cablo diplomatici finito in prigione negli Stati Uniti in condizioni inumane.

Nella chat con l'Espresso, Assange fornisce anche una ricostruzione del contributo di WikiLeaks alle rivoluzioni che stanno travolgendo i regimi del Maghreb, come quello della Tunisia. «Hacker che simpatizzano per noi», ha rivelato, «hanno dirottato i siti del governo tunisino su WikiLeaks e sui cablo che esponevano le malefatte di Ben Ali». Benzina sul fuoco della rivolta. «E la Libia?», gli chiede un lettore in chat. «La situazione libica è un problema, ma se l'intervento è davvero ispirato da ragioni umanitarie, perché nessuno interviene in Bahrain e in Yemen?», replica.

Poi un'osservazione che va al cuore delle operazioni militari contro il Raìs di Tripoli, dove non si capisce quali obiettivi voglia davvero raggiungere la missione internazionale: «La guerra è un affare serio», dice, «e la guerra in un paese lontano deve essere giustificata da piani e obiettivi precisi».

E' un uomo che ha una missione, il fondatore di WikiLeaks. E questo senso della missione viene fuori anche nella chat con l'Espresso. «Abbiamo fatto una promessa alle nostre fonti: pubblicare tutto e farlo in modo da avere il massimo impatto», spiega, «non abbiamo mai censurato il materiale ricevuto, sebbene gli attacchi contro di noi possano di tanto in tanto ritardarne il rilascio».

In questa missione, Julian Assange ha imbarcato i media più importanti del mondo, come appunto il 'Guardian' e il 'New York Times', collaboratori della prima ora, con cui però ormai è scontro aperto. «Hanno cospirato per rubare i cablo al Washington Post e alla catena di giornali McClatchy, violando gli accordi scritti che avevamo preso». Ma non solo. «La forte preoccupazione da parte dello staff del New York Times di essere perseguito legalmente per la pubblicazione dei nostri documenti», continua, «ha portato Keller [il direttore del New York Times, ndr] a spingersi in una serie di attacchi in stile tabloid contro di noi», insiste.

Alla fine della chat, per chi la sa cogliere, Assange offre la sua visione politica. «Dove sta andando la nostra società?», gli chiede un lettore. «Ci sono due vie alternative e non è chiaro che strada imboccherà la nostra civiltà», replica lui. Una via sarà quella degli stati nazionali in cui la sorveglianza elettronica potrà portare a una distopia stile '1984' di Orwell. L'altra, invece, vedrà il collasso delle grandi nazioni e la creazione di «potenze regionali, dove vige la libertà e la privacy digitale, i mercati dei piccoli produttori, un potere che è sotto controllo e la trasparenza dal basso».

Eccolo Julian Assange: il ragazzino che irrompeva nelle mailing list dei signori della crittografia è ormai un protagonista mondiale della guerra al Grande Fratello.