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OBIETTIVO: ARRUOLARE WOJTYLA

Di Gianluca Di Feo e Stefania Maurizi

Pubblicato su l'Espresso, 22 aprile 2011

(http://espresso.repubblica.it/dettaglio/obiettivo-arruolare-wojtyla/2149795)

Date a Cesare quel che è di Cesare. Ma quando il Cesare della Casa Bianca deve impugnare le armi si rivolge al Papa, cercando una benedizione per la "guerra giusta" o quantomeno "una neutralità positiva" che non comprometta i piani di battaglia americani. I dossier segreti ottenuti da WikiLeaks, che "l'Espresso" pubblica in esclusiva, rivelano le manovre della diplomazia statunitense negli ultimi anni di Karol Wojtyla, che verrà proclamato beato il primo maggio.

Descrivono la collaborazione del Vaticano durante il conflitto in Kosovo, quando Giovanni Paolo II viene convinto a non denunciare i raid contro la Serbia. Ma anche sull'Iraq cardinali e alti prelati erano pronti ad aprire le porte di San Pietro alle ragioni di George W. Bush, sostituendo le "valutazioni morali al pragmatismo su cosa sarebbe successo dopo la rimozione di Saddam Hussein". E quando i marines entrano a Baghdad, Camillo Ruini sembra pronto a perdonare l'invasione e i bombardamenti: "Nei prossimi giorni le immagini degli iracheni che danno calorosamente il benvenuto alle truppe statunitensi avranno un enorme impatto sull'opinione pubblica europea. Se il futuro andrà bene, il passato perderà la sua importanza".

Più stato che chiesa
Il governo statunitense ha una visione molto laica del Vaticano: "La Santa Sede dichiara che il fondamento della sua politica estera è la difesa della persona umana ma in realtà spesso agisce come uno Stato-nazione nella difesa di quelli che percepisce come i suoi interessi". Washington invece vuole sfruttare il Vaticano, che ha una rete diplomatica ramificata e potente, per dare più forza alla sua strategia. Il modello è l'intesa con Wojtyla contro il comunismo costruita durante la Guerra fredda: "Un dialogo con vantaggi reciproci". Che dopo la caduta del Muro si sarebbe riproposto nei Balcani. Lì, stando ai documenti rivelati da WikiLeaks, il Vaticano aveva tre priorità: "Difendere la pace e la riconciliazione per ragioni umanitarie, proteggere le popolazioni cattoliche e i loro interessi, rinforzare la sua influenza sul mondo ortodosso. Uno degli obiettivi chiave di Giovanni Paolo II è superare lo scisma secolare tra cattolici e ortodossi...". E in un rapporto inedito dell'11 giugno 2001 si elencano al presidente Bush i successi ottenuti nella ex Jugoslavia: "Il governo statunitense ha coinvolto (engaged) la Santa Sede per promuovere la soluzione dei conflitti nei Balcani.

Durante la campagna aerea della Nato in Kosovo abbiamo lavorato a stretto contatto con il Vaticano per eliminare le sue critiche all'azione militare (una denuncia del Papa della campagna come una "guerra ingiusta" avrebbe reso la coesione dell'Alleanza molto più difficile da mantenere). Più di recente abbiamo cercato di spingere il Vaticano a esercitare un'influenza moderatrice sul clero nazionalista croato in Bosnia-Erzegovina. Abbiamo anche promosso la riconciliazione avviando e potenziando progetti in Kosovo e Bosnia insieme con la Comunità di Sant'Egidio, col sostegno e l'incoraggiamento dell'ambasciata vaticana. Sant'Egidio ha ospitato una riuscita conferenza inter-confessionale con i leader religiosi chiave della Bosnia, l'8 giugno 2001.Questi progetti sono stati finanziati dal Dipartimento di Stato".

Dittatori ma filo-cattolici
La realpolitik vaticana descritta nei file statunitensi comprende anche il sostegno della Santa Sede nei confronti dei due dittatori più discussi del Medio Oriente: Saddam Hussein e Basher Assad. I leader di due Stati canaglia, che hanno finanziato terroristi e invocato la distruzione di Israele, ma che allo stesso tempo proteggevano le comunità cattoliche. "Il Vaticano ritiene che ogni regime che sostituisca l'attuale non sarebbe così vantaggioso per la larga popolazione cattolica irachena... Dobbiamo aspettarci che l'embargo prolungato venga condannato come dannoso per la popolazione irachena. Per la Santa Sede, l'unica alternativa a Saddam Hussein sarà un governo islamico fondamentalista. Per questo nell'intento di proteggere i cattolici e di creare le premesse per i negoziati con la comunità cristiana assira in Oriente, il Vaticano sarà tra gli Stati meno critici dell'attuale regime di Baghdad".

Nonostante diversi contrasti anche con Damasco, sede anche di un importante patriarcato ortodosso, i rapporti sono buoni. Nel 2002 gli Usa sottolineano: "La frustrazione vaticana rispetto al discorso antisemita del presidente Assad durante la visita papale dell'aprile 2001 si è già attenuata. Wojtyla ha recentemente sospeso il suo ritiro quaresimale (cosa veramente molto rara) per incontrare Assad durante la sua visita a Roma".

Scontro di civiltà
Neanche l'attacco alle Torri Gemelle modifica la linea del Vaticano su Saddam e Assad. Inoltre in quei mesi del 2001 la salute di Wojtyla sembra precipitare per l'esplosione del morbo di Parkinson. Il 26 aprile 2001 l'ambasciata "nonostante non ci siano nuove informazioni su un'imminente scomparsa del Papa" ritiene che la "salute del Pontefice prosegua nel suo declino" e pianifica tutto il necessario per il soggiorno della delegazione americana destinata a partecipare ai funerali: da dove dormirà Bush agli alberghi per ospitare i funzionari.

Quando il 23 maggio Henry Kissinger va a trovare Wojtyla, con cui aveva una frequentazione intensa, riferisce "che il Papa non sembrava averlo riconosciuto". E' in questo contesto che si cerca l'appoggio del Vaticano alla "ritorsione militare dopo l'11 settembre". "Mentre Giovanni Paolo II continua a lanciare appelli per il dialogo e la soluzione pacifica dei conflitti, alcuni dei suoi più importanti consiglieri hanno preso una posizione più decisa". E ancora: "Secondo il cardinale Walter Kasper, responsabile del dialogo ecumenico, "è necessario bloccare i terroristi per impedirgli di proseguire nei loro crimini". Il cardinale ha aggiunto che l'intervento "è necessario altrimenti diventeremo tutti ostaggi"".

E poi parlano dell'arcivescovo Sandro Leonardi, "numero tre nella gerarchia della Curia che ha descritto il terrorismo come una minaccia per tutti i popoli, non solo per gli Usa". C'è una questione fondamentale: ottenere il sigillo pontificio sulla dottrina della "guerra giusta" evocata dalla Casa Bianca. Ma non è facile: "Nessuno in Vaticano sembra disposto a perdonare pubblicamente le azioni militari. L'enfasi, soprattutto del Papa, sarà sempre sugli strumenti pacifici senza dare peso a quanto sia disperata la situazione. Comunque, alla luce della gravità degli attacchi contro gli Stati Uniti alcune forme di risposta militare limitate e precise che non mettano a rischio innocenti sarebbero "comprese" dal Vaticano senza però condividerle apertamente".

Nei documenti si riportano le dichiarazioni di Navarro Valls, il portavoce di Wojtyla, che sembrano accreditare "azioni aggressive come un'autodifesa giustificabile". Ma a San Pietro c'è grande confusione: l'ambasciata Usa viene informata che "il viceministro degli Esteri vaticano (noto per le sue posizioni filoamericane) ha detto in privato che Navarro Valls è andato "troppo oltre" nella sua dichiarazione". Fondamentale la linea del cardinale Jean-Louis Tauran, il ministro degli Esteri: "In una conversazione privata con l'ambasciatore ha mostrato un'implicita rassegnazione al fatto che lui crede che gli Usa cominceranno presto un'operazione militare".

Neutralità positiva
Queste valutazioni sono frutto dell'analisi dell'ambasciatore Jim Nicholson, appena arrivato in Vaticano. Si tratta di un ex colonnello dei Berretti verdi, formato a West Point, pluridecorato in Vietnam, che poi ha fatto carriera nel Partito repubblicano. Amico di George Bush, sembra molto più a suo agio tra gli ordini secchi dei commandos che tra le sfumature del linguaggio curiale. I suoi resoconti a Washington sottolineano sempre le aperture belliche dei prelati, che invece pubblicamente condannano il conflitto. La missione di Nicholson è ripetere quanto accaduto in Kosovo e conquistare la "neutralità positiva" del Vaticano: una non denuncia che andrebbe a vantaggio degli Usa. Gli americani però hanno chiaro un punto: una cosa sono i raid contro talebani e Al Qaeda, altro è convincere la Santa Sede ad appoggiare una campagna contro l'Iraq.
E' una questione che viene affrontata in un cablo del 28 settembre 2001: due settimane dopo le Torri Gemelle, Saddam era già nel mirino dell'amministrazione Bush. "Per quanto gran parte dei membri del ministero degli Esteri vaticano potrebbero essere personalmente in favore di una risposta aggressiva, la posizione ufficiale della Santa Sede sarà basata sulle preoccupazioni geopolitiche del Vaticano. In questo specifico conflitto, l'Iraq è prevalente nelle loro preoccupazioni. Ogni rappresaglia che dovesse includere l'Iraq minerebbe la positiva neutralità del Vaticano". Le considerazioni finali sono chiare: "Bisogna che il Vaticano venga informato delle nostre iniziative per evitare sorprese e di conseguenza dichiarazioni dannose da parte di autorità vaticane. Una telefonata del segretario di Stato Powell al cardinale Tauran prima di intraprendere qualunque azione militare aiuterebbe nel consolidare il sostegno del Vaticano".

Assedio alle mura leonine
Dal settembre 2002 la diplomazia americana si schiera per far penetrare nelle mura leonine il concetto di "guerra giusta" in vista dell'assalto all'Iraq. Il cardinale Tauran pubblicamente replica che "ogni risposta militare al male non può portare a un male più grande". Il che viene tradotto a Bush come: "La Santa Sede non accetterà e non sosterrà una campagna aerea che comporti massicce perdite di civili iracheni... Contrariamente alla sua tradizionale opposizione all'uso della forza, il ministro degli Esteri vaticano ha lasciato aperta la possibilità di azioni militari, ma solo dopo avere preso in considerazione le implicazioni per la popolazione irachena, per la stabilità della regione e soltanto in un dispositivo delle Nazioni Unite". Ed ecco che per abbattere Saddam gli Usa vogliono riproporre lo schema che ha funzionato contro il blocco comunista: "Nello stesso modo in cui il governo americano ha sviluppato con Giovanni Paolo II un dialogo con vantaggi reciproci durante la Guerra fredda, l'ambasciata ritiene che un simile dialogo sulla risposta internazionale al terrorismo potrebbe offrire simili benefici reciproci".

Ormai il conto alla rovescia per l'invasione è cominciato e l'ambasciata teme che il Vaticano "stia per tirare fuori le sue frecce dalla faretra", contestando la politica di Bush. Per fermare Giovanni Paolo II scende in campo il giovane Ian Brzezinski, figlio del leggendario Zbigniew che viene spesso indicato come uno dei grandi sponsor dell'elezione papale di Wojtyla. Il padre, amico personale del Pontefice, dalla fine degli anni Settanta è stato il regista della strategia antisovietica della Casa Bianca ma ha criticato la guerra in Iraq. Il figlio invece era al fianco di Donald Rumsfeld nell'ideare l'operazione per sconfiggere Saddam.

Il 7 febbraio 2003 Brzezinski junior arriva a Roma e corre in Vaticano. Il resoconto del colloquio con il cardinale Tauran evidenzia l'avvicinamento alle posizioni di Washington: "Tauran ha enfatizzato i punti in comune tra la percezione della crisi irachena: ha detto che "la distanza tra noi non è così grande" notando che la Santa Sede è d'accordo sul fatto che questa è "l'ultima chance " per Saddam e lui deve collaborare immediatamente. "Il punto di contrasto è la guerra" ma nel delineare la posizione vaticana il cardinale non ha sostenuto che la Santa sede è completamente contraria alla guerra in ogni caso. Piuttosto ha sottolineato che la questione cruciale è chi dirà "il gioco è finito" ("game is over")". In pratica, il Vaticano vuole che siano le Nazioni Unite a ordinare l'attacco, non Bush.
Anche in questo caso il colonnello diventato ambasciatore evidenzia gli aspetti positivi: "Tauran ha ripetuto il forte desiderio di evitare l'uso delle armi ma le sue dichiarazioni riflettono una comprensione del fatto che la guerra sia inevitabile ancora più grande di quanto abbiamo visto prima". E conclude: "Sia in privato che in pubblico, comunque, Tauran ha ripetuto che una guerra condotta col mandato dell'Onu potrebbe essere considerata legittima".

La breccia di San Pietro
Stando ai dossier segreti rivelati da WikiLeaks, la Casa Bianca è convinta di avere aperto delle crepe nelle mura vaticane. Il 6 febbraio 2003, all'indomani del celebre discorso all'Onu in cui vengono mostrate le presunte prove sulle armi di distruzioni di massa di Saddam - poi rivelatesi sostanzialmente false - l'ambasciatore incontra monsignor Franco Coppola, responsabile per il Medio Oriente. Il prelato dice che "il Vaticano "non è contrario" al fatto che Saddam sia una minaccia per il mondo e per il suo popolo e che dovrebbe essere rimosso". E' la prima apertura al cambiamento di regime: "Mentre la Santa Sede intensifica il suo impegno per evitare la guerra, ha cominciato a spostare la sua enfasi dagli argomenti morali sulla guerra preventiva a argomenti strategici più pragmatici. Coppola ha confermato questo cambiamento notando che i più recenti interventi del segretario di Stato Sodano sull'impatto pratico della guerra in Iraq riflettono il desiderio del Vaticano di passare dagli argomenti morali a quelli pratici contro la guerra".

La Casa Bianca affida il compito di allargare la breccia a due esponenti di punta di quel movimento neoconservatore che ha elaborato la strategia di Bush. Il primo è Michael Novak, teologo cattolico formato alla Gregoriana, spedito a Roma per convincere ministri e cardinali dei fondamenti filosofici della guerra giusta. Poi è la volta del sottosegretario John Bolton, che entra in Vaticano mentre i marines stanno conquistando Baghdad. La guerra sembra finita: gli Usa si preparano al trionfo. E tre cardinali chiave - oltre a Tauran, Camillo Ruini e James Stafford - paiono pronti a dimenticare e perdonare: "I tre cardinali hanno espresso il loro "rispetto" per la difficile decisione che il presidente Bush ha preso e il loro apprezzamento per gli sforzi americani per evitare perdite civili... Tauran e i suoi colleghi hanno reso chiaro che non intendono proseguire nel dibattito sulle motivazioni della guerra ma guardano oltre al futuro dell'Iraq e ai bisogni della popolazione".

Massima attenzione per le parole di Ruini, "uno dei più stretti collaboratori del Papa e un suo possibile successore", che dichiara: "Il presidente Bush ha meditato con attenzione ed è chiaro che gli americani hanno fatto tutto il possibile per prevenire vittime civili nella condotta della guerra".

Il leader della Conferenza episcopale sottolinea "di essere preoccupato perché l'Italia - che è solitamente filoamericana - sta perdendo questo orientamento". Secondo Ruini bisogna "rendere chiaro che gli Usa sono per la pace". E anticipa l'impatto mediatico delle immagini dei cittadini iracheni che accolgono i marines come liberatori. "Se il futuro andrà bene, il passato perderà la sua importanza". Il futuro invece è stato una strage. Le stime vanno da 105 mila morti - in gran parte civili - a un milione di vittime. L'ambasciatore Nicholson invece nel 2005 è stato promosso: Bush lo ha nominato ministro, con il prestigioso incarico di occuparsi proprio dei veterani delle spedizioni in Iraq e Afghanistan. Segno che la sua missione di berretto verde in Vaticano ha soddisfatto la Casa Bianca.