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LA RUSSA CONTRO TREMONTI

Di Gianluca Di Feo e Stefania Maurizi

Pubblicato su l'Espresso, 25 febbraio 2011

(http://espresso.repubblica.it/dettaglio/la-russa-contro-tremonti/2145499)

La politica estera diventa spesso strumento per le rivalse tra i ministri del centrodestra. Fanno un gioco di sponda con Washington, chiedendo il sostegno americano nelle partite interne: mosse che servono per accontentare l'alleato e anche per guadagnare peso nella maggioranza. L'obiettivo in genere è battere Giulio Tremonti, scavalcandolo grazie all'intercessione statunitense o mettendolo in un angolo. Nel 2009 l'ambasciatore Ronald Spogli scrive: "Noi abbiamo dei potenti alleati in Frattini e Ignazio La Russa ma si sono ripetutamente scontrati con il duro muro del budget eretto da Tremonti. Berlusconi ha promesso solo a parole ("lip-service") una potente partecipazione italiana nella nuova strategia americana per Afghanistan e Pakistan ma non si è ancora impegnato concretamente per sconfiggere Tremonti".

E Alessandro Ruben, il consigliere politico di La Russa oggi passato nel partito di Gianfranco Fini, spiega che il "ministro è pronto a dare battaglia per i fondi, ma fare arrivare queste richieste dal livello massimo dell'amministrazione Usa sarebbe fondamentale per sostenere La Russa negli stanziamenti che altrimenti finirebbero sotto la sega di Tremonti". Gli americani consegnano a Ruben e a Alain Economides, capo di gabinetto di Frattini, una lista di priorità e i due garantiscono che "tenteranno di ottenere il più largo sostegno dell'esecutivo".

Il prode Ignazio fa di tutto per accontentare il Pentagono: "Dà copertura politica alle azioni offensive della Folgore in Afghanistan rovesciando anni di abitudine ad evitare i combattimenti", "inventa metodi creativi per finanziare la spesa bellica" ma si trova "costretto a lottare per ogni euro". Lo stesso La Russa racconta la proposta di Berlusconi: "Mi aveva consigliato di ottenere i tagli al bilancio solo con la decurtazione del numero di militari in servizio. Ma gli ho detto che non ero d'accordo e non era possibile fare riduzioni così drastiche. Allora mi ha suggerito di impiegare sempre più carabinieri nelle spedizioni all'estero, ma avremmo irritato il resto delle forze armate". Su una questione fondamentale per la nostra politica estera - il contingente in Libano - anche Frattini invoca il soccorso dei marines. E chiede al segretario alla Difesa Robert Gates di "far capire al premier quanto ci tenete, in modo da spingerlo a passare sopra Giulio".

Il problema è l'asse di ferro tra il responsabile dell'Economia e Umberto Bossi, uniti dalla stessa visione "che reputa le missioni un pessimo affare per gli interessi chiave dell'Italia". Tremonti, spiega uno dei suoi collaboratori, non è disposto a fare concessioni: "Dice che nel bilancio metterà lo stretto necessario ad accontentare Washington". C'è una vicenda in cui gli americani temono che La Russa stia facendo il triplo gioco. E' una storia che i media hanno ignorato: l'acquisto di uno stormo di grandi e costosi aerei da trasporto C17 che servirà alla Nato per rifornire lo schieramento afghano. Velivoli made in Usa che inoltre permetteranno al Pentagono di non prestare i suoi agli alleati. L'Italia era stata uno dei primi partner dell'iniziativa, poi si è tirata indietro. Di fronte alla protesta dell'ambasciatore, sia Gianni Letta che La Russa danno la colpa a Tremonti. Entrambi suggeriscono al diplomatico una pressione sul premier per fargli cambiare idea. Ma Spogli è sospettoso: "E' possibile che lo staff di La Russa stia usando la questione degli aerei come un'arma nella partita per la Finanziaria. Sperano di sollecitare un intervento di alto livello in loro favore. Ma in Italia nulla è mai certo".

Il nemico numero uno
I cablo di WikiLeaks mostrano una profonda avversità statunitense verso Tremonti: "Se vince lui, non avremo rinforzi in Afghanistan". E il guaio è che "anche esponenti del Pdl ci confidano spesso che la principale ragione per cui l'Italia gioca un ruolo importante in Afghanistan è solo perché gli Usa lo vogliono, mentre la gente sarebbe felice di riportare i soldati a casa".

Per impedire al ministro dell'Economia di bloccare i parà, Thorne "consiglia di mettere Frattini, La Russa e Berlusconi in condizione di dimostrare che le loro controparti nell'amministrazione Obama si sono rivolte a loro personalmente". La diffidenza verso Tremonti nasce anche dall'analisi della sua impostazione economica. Soprattutto non li convince la strategia con cui ha affrontato la crisi finanziaria: "Non ci sono state misure per favorire lo sviluppo, alla fine l'Italia si ritroverà nella stessa condizione: resterà sempre il grande malato d'Europa, condannato dalle cattive strategie e dalla demografia a crescere molto meno degli altri Paesi". Sono critici verso i suoi bond, "veicolo per imporre la sua eclettica visione economica in favore dei soggetti che sono stati penalizzati dalla globalizzazione come le piccole imprese. Sfortunatamente molte di queste aziende non sembrano in grado o non hanno voglia di cambiare per affrontare le domande di un mercato più dinamico e della competizione globale". Il tutto mentre sono state aperte le porte ai "fondi sovrani senza trasparenza", come l'investimento libico in Unicredit.

Agli Usa invece piace molto il dinamismo di Renato Brunetta. E poi c'è il solito Mario Baldassarri, sempre pronto a fare il bastian contrario. Ma il "contrappeso" ideale è Mario Draghi, come incautamente suggerisce all'ambasciatore Francesco Galietti, "un leale collaboratore del ministro dell'Economia" senza rendersi conto dell'autogol. Galietti spiega: "I funzionari di Washington possono trovare in Mario Draghi un utile contrappeso ai piani di riforma del mercato di Tremonti. Gli Usa sono in grado di ottenere altri cambiamenti nella linea italiana poiché Berlusconi Draghi e Tremonti affrontano le trattative con posizioni apparentemente divise". Davanti ci sono appuntamenti importanti - il G20 e il G8 - e il ministro italiano vuole imporre "una severa riforma degli organismi di controllo del mercato finanziario: una riforma sgradita agli Usa. Il governatore di Bankitalia respinge le lusinghe statunitensi e rifiuta qualunque commento sul responsabile dell'Economia. Ma quella è la crepa da sfruttare: "All'amministrazione statunitense potrebbe convenire mettere in buona luce e promuovere la competenza di Draghi nei colloqui con la delegazione italiana in modo da stemperare gli impulsi draconiani di Tremonti". Questo perché "il coordinamento con Bankitalia è scarso e sulle questioni economiche Berlusconi viene tirato verso posizioni opposte dai suoi consiglieri". Silvio va alla deriva. E con lui l'intero governo.

Tutti contro tutti
Un rapporto analizza l'ultimo grande sussulto nella maggioranza, prima della scissione finiana. E' il 29 ottobre 2009 quando il premier e Tremonti vanno allo scontro. "Ormai i nostri contatti nel Pdl lo indicano come un uomo della Lega. E il suo veto a misure populiste, soprattutto in favore del Sud, gli ha creato molti nemici nell'esecutivo". Ma gli americani ritengono che adesso il ministro stia puntando soprattutto a costruirsi una base politica. "Il sostegno del premier è svanito velocemente quando Tremonti ha ospitato un convegno dell'Aspen che sembrava dedicato al futuro dell'Italia dopo Berlusconi. Subito sono spuntati i lunghi coltelli". L'ambasciata segue la crisi passo passo. Convoca i leader dei gruppi parlamentari del Pdl e incontra lo stesso Tremonti che "si mostra sicuro, pare abituato a considerare questi scontri come il suo lavoro". Bossi gli copre le spalle; questa è la sua forza e il suo limite: "In questa crisi Tremonti ha dimostrato di avere un profilo politico e non solo di tecnico. Allo stesso tempo è stata messa in luce la sua debolezza: ha una base politica piccola al di fuori della Lega Nord".

Le conclusioni dell'ambasciatore Thorne, mandato a Roma da Barack Obama, sono profetiche: "La situazione attuale mostra la tensione sotterranea nel governo Berlusconi: Lega contro Pdl, nordisti contro sudisti, gli spendaccioni populisti contro il ministro delle Finanze che li tiene a secco... e l'irrequietezza su chi prenderà il potere quando Berlusconi si ritirerà dalla scena". Sono passati sedici mesi, ma il quadro è lo stesso: un esecutivo diviso tra lotte di potere e conflitti di interessi, mentre il Mediterraneo è in fiamme. E tutti aspettano solo che il Cavaliere si faccia da parte.