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NELLA TANA DI WIKILEAKS

Di Stefania Maurizi

Pubblicato su l'Espresso, 18 febbraio 2011

(http://espresso.repubblica.it/dettaglio/nella-tana-di-wikileaks/2144932)

Lui è in trappola. Confinato in una prigione dorata nel Norfolk, a tre ore da Londra, in attesa dell'udienza per l'estradizione in Svezia, dove è accusato di stupro. Ma i suoi pirati non si fermano. Continuano a far filtrare i cablogrammi che hanno buttato all'aria la diplomazia mondiale. E preparano nuovi colpi. All'ultimo appuntamento con "L'espresso", nella centrale di WikiLeaks la tensione per la sicurezza era palpabile.

Collaboriamo con loro da oltre due anni, da quando erano ancora un esperimento poco noto, ma le regole per il rendez-vous sono severe: niente telefono o mail per fissare l'incontro. Un'auto ci ha accompagnato in un'anonima casa di campagna, popolata più da computer che da esseri umani. Un posto fuori dal mondo, dove è impossibile collegarsi a Internet. Paradossale: nel regno di WikiLeaks non si può andare in Rete. "E' voluto", ci spiegano: i computer che custodiscono i documenti segreti non devono mai essere on line, è l'unico modo per impedire a hacker e servizi di intelligence di penetrare nei database.

Ora che Julian Assange non può più viaggiare in incognito per i continenti, dormire negli alberghi senza registrarsi e incontrare fonti e giornalisti di nascosto, tutto è ancora più complicato. Sanno che i militari americani del Cybercomando vogliono stanarli. Sanno che l'inchiesta statunitense su Bradley Manning, la presunta fonte che avrebbe passato i 250 mila cable, punta a trovare prove per incriminare Assange. Ma, sicurezza a parte, nel casale l'atmosfera è rilassata, quasi studentesca. Ricercatori universitari, attivisti, giornalisti: il collante è l'antimilitarismo e la volontà di scardinare ogni segreto di Stato. L'attenzione è a capire quando si scatenerà la prossima ondata, quella che - come annunciato - "tirerà giù una o due banche di dimensioni mondiali". "Bisogna dare il tempo all'opinione pubblica di assimilare questo diluvio di dati", replicano riferendosi ai cable della diplomazia americana.

La spaccatura del nucleo originario, che ha portato alla fuoriuscita del portavoce Daniel Domscheit Berg (nome in codice Daniel Schmitt), sembra ormai un trauma superato. "Daniel non aveva il carisma del leader", racconta uno di loro. Oggi il numero due di WL è l'islandese Kristinn Hrafnsson. E Julian Assange resta l'autorità indiscussa: l'autobiografia che sta scrivendo è già un caso mondiale.

E nel gruppo si scherza sull'idea di farne un film: chi interpreterà il tenebroso più cool del momento? La frivolezza è una parentesi. Nel mondo invisibile del cyberspazio è in corso una guerra. Loro ne sono al centro. Dieci giorni fa il gruppo hacker Anonymous - che nei mesi scorsi ha attaccato i siti delle carte di credito che avevano boicottato le donazioni a WikiLeaks - è penetrato nella rete di HBGary, una grande azienda Usa di consulenza, che sarebbe stata assoldata dalla Bank of America per neutralizzare Assange. Lì Anonymous ha scoperto e divulgato un piano anti-WikiLeaks messo a punto da HBGary.

Obiettivo? Diffondere voci sulle falle dell'organizzazione, inviare documenti falsi al sito per distruggerne la credibilità e colpire i giornalisti amici. Ma lì dentro tutti si sentono parte di una missione e ripetono il loro motto: "Il coraggio è contagioso". "Contagioso un cavolo!", ha ribattuto il danese Rop Gonggrijp, lasciando il gruppo. Gonggrijp è uno dei più importanti hacker europei, ha collaborato alle prime iniziative ma ora si è arreso: "Il mio amico Julian rischia di finire in prigione o ammazzato. Gli auguro ogni bene, ma io non posso vivere sempre con lo zaino in spalla". Chi è rimasto invece ha scelto proprio quella vita.