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SULL’ONDA DELLA FAME CHI INGRASSA DI PIÙ ADESSO SONO GLI SPECULATORI - INTERVISTA A RAJ PATEL

Di Stefania Maurizi

Pubblicato su Il Venerdì di Repubblica, 9 maggio 2008

La fame che dilaga. I conflitti sociali che esplodono dall’Egitto fino a Haiti. Per il segretario dell’ONU, Ban Ki-Moon, è una crisi senza precedenti. Una crisi che sta colpendo 100milioni di persone e che ha costretto le Nazioni Unite a mettere in piedi una task force per affrontare l’emergenza mondiale. Raj Patel conosce bene il problema ed è uno che non si fa problemi a definire idiota chi, di fronte alla catastrofe, invoca il libero mercato o le piante geneticamente modificate. Ricercatore all’università KwaZulu-Natal in Sud Africa e a Berkeley, California, Patel è l’autore di Stuffed and Starved (“Obesi e affamati”), un libro acclamato dal Time fino all’Independent di Londra (uscirà prossimamente in Italia per Feltrinelli) e che è un strumento indispensabile per chiunque voglia capire chi sono i padroni del cibo che mangiamo, come ne hanno ottenuto il controllo, a che prezzo e perché milioni di persone crepano di fame. Patel ha accettato di parlare con Il Venerdì della gravissima crisi in corso.

Che cosa ha scatenato la catastrofe?
Il problema sono i prezzi, non la mancanza di cibo. C’è n’è per tutti nel mondo, ma è al di là della portata dei poveri. I più vulnerabili sono i rifugiati e le persone che non hanno accesso a un lavoro: è un problema che si sente anche nella ricca America: c’è gente che salta un pasto, perché il cibo costa troppo.

Perché? E’ veramente colpa dei biocarburanti?
E’ un insieme di fattori: biocarburanti, alcuni cattivi raccolti, speculazioni finanziarie e anche un aumento del consumo della carne nei paesi in via di sviluppo. Per produrre un chilo di carne servono 6 chili di grano, che vengono sottratti all’alimentazione umana per nutrire gli animali.

La disgrazia di molti è la fortuna di pochi: chi si sta arricchendo con questa crisi?Le multinazionali che commerciano cibo se la passano sicuramente bene. E sono sicuro che chi specula sui prezzi futuri farà un sacco di soldi. Così anche le grandi imprese agricole, che producono su larga scala.

Se volessimo fare dei nomi…

E’ troppo presto per farne, ma direi che uno dei posti in cui guardare potrebbe essere la divisione che si occupa del commercio di cereali della Cargill e della Archer Daniels Midland, gli hedge fund e la grande distribuzione.

Quale potrebbe essere una soluzione ragionevole a questa crisi?
La domanda importante è: perché siamo così vulnerabili all’impennata del prezzo del cibo? Per varie ragioni, tra cui la mancanza di programmi sociali di assistenza per i poveri. E così credo che nell’immediato sia assolutamente necessario sostenerli e ricorrere agli aiuti alimentari, soprattutto per i più colpiti, tipo i rifugiati. Ma gli aiuti devono essere gestiti in modo sensato, ricorrendo alle risorse locali. La cosa peggiore che si possa fare è spedire grano dall’America in Africa, quando gli agricoltori africani lottano per sopravvivere, vendendo i loro prodotti. Quanto alla misure di medio termine, invece, dobbiamo cominciare a sostenere l’agricoltura sostenibile, che non dipende così tanto dal petrolio e dai combustibili fossili, anche per questo i prezzi sono alle stelle: il petrolio è a 120 dollari al barile.

Dal suo libro emerge chiaramente che, comunque, il problema rimane: anche nelle annate buone, quando i prezzi sono bassi, 850milioni di persone nel mondo soffrono la fame. Quale potrebbe una soluzione a un problema vecchio quanto il mondo?
Se parliamo di soluzioni a lungo termine, credo che prima o poi dovremmo mettere le mani sul vero problema: la distribuzione del cibo. Il problema è la democrazia: sarai mai possibile arrivare a un dibattito democratico sulla distribuzione delle risorse alimentari, senza subire la potenza della politica e delle multinazionali?

I dati che lei mette nero su bianco nel libro dipingono un mondo in cui il cibo è completamente sottratto al controllo democratico delle comunità locali che lo producono e tutto è concentrato nelle mani di pochi padreterni: dieci grandissime corporations controllano il 50% della fornitura mondiale di semi, dieci multinazionali controllano l’intero mercato (da 30 miliardi di dollari!) dei pesticidi in America. Questa enorme concentrazione di potere non è un paradosso per un mondo che invoca ogni giorno competizione e libero mercato?
La cosa interessante è che anche la Banca Mondiale nel suo ultimo rapporto sull’agricoltura ammette l’esistenza di questa grande concentrazione, ma non esprime giudizi…Credo che i burocrati più dogmatici della Banca sarebbero pronti a dichiarare che questa è la ‘configurazione’ più efficiente che ha prodotto il mercato: tutto è nelle mani di pochi perché quei pochi sono stati i più adatti nella competizione.

Ci sono scienziati decenti, che non sono certamente sul libro paga di multinazionali come la Monsanto e che vedono negli OGM una speranza per far uscire dalla fame i paesi poveri. Lei invece sembra scettico…
Non diffido della scienza, diffido della scienza in mano al settore privato. Troppo spesso chi è a favore degli OGM s’imbatte in gente che vorrebbe tornare indietro, a una forma di agricoltura primitiva: non è il mio caso. Sono per l’agricoltura sostenibile, che è una forma evoluta, non primitiva, fa ricorso alla scienza e alla tecnologia, ma riconosce che la terra e il cibo hanno un’importanza fondamentale per sostenere le comunità locali. Il cibo non è un prodotto qualsiasi da dare in pasto alle leggi del mercato internazionale.