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ATOMICHE: ECCO QUELLE DEL 2005 - INTERVISTA A FRANK VON HIPPEL

Di Stefania Maurizi

Pubblicato su Tuttoscienze de LA STAMPA, 6 luglio 2005

La sera del 6 agosto 1945, la BBC annunciò al mondo che una bomba atomica era stata appena lanciata su “una base militare giapponese”. Quella base era, in realtà, Hiroshima: una città. Tre giorni dopo, anche un’altra città, Nagasaki, fu colpita da un’atomica. Nei due bombardamenti morirono circa 300.000 civili. E quelle due bombe cambiarono per sempre la storia: l’umanità acquisì per la prima volta la capacità di sterminare l’intera specie umana in un istante, con un conflitto nucleare catastrofico. Sessant’anni dopo Hiroshima e Nagasaki, la prima potenza nucleare della storia, gli Stati Uniti, “tornano a pensare” alle armi nucleari. Abbiamo parlato di questo tema con Frank von Hippel, fisico eminente dell’università di Princeton (USA).

Professore, può illustrarci il dibattito in corso negli USA su nuova generazione di armi nucleari?

Ruota essenzialmente intorno a due tipi di armi: i bunker busters e le mini bombe. Le prime sono armi antibunker, perché si parla ormai da anni di queste strutture sotterranee estremamente resistenti in cui i leader dei cosiddetti “stati canaglia” potrebbero costruire o stoccare armi di distruzione di massa. Secondo alcuni, dovremmo “riconfezionare” armi nucleari già esistenti - o, se questo non è possibile, costruirne delle nuove - in modo da avere i cosiddetti bunker busters, ordigni capaci di penetrare in pochissimi minuti nel sottosuolo roccioso per alcuni metri, cosicché lo shock sismico e l’esplosione nucleare possano distruggere il bunker e le eventuali armi in esso stoccate.

Quanto sono potenti?

Sono nell’ordine del megaton, cioè rilasciano un’energia equivalente a 1 milione di tonnellate di tritolo.

Come si può pensare di usare un’arma da 1 megaton? L’atomica di Hiroshima era di 12,5 kiloton, cioè 12.500 tonnellate di tritolo, e ammazzò 200.000 persone.

Il dibattito, infatti, è proprio sull’usabilità: un’arma da un 1 megaton contaminerebbe 200 km quadrati di territorio, ma i fautori dei bunker busters sostengono che, esplodendo sotto terra, verrebbero ridotti in modo significativo i “danni collaterali”, cioè morti e contaminazione radioattiva.

E’ vero?

E’ un’autoillusione. I fisici che hanno fatto due conti hanno dimostrato che, per quanto possano penetrare nel sottosuolo roccioso, non possono raggiungere profondità tali che l’esplosione nucleare sia completamente contenuta nel sottosuolo.

E quanto alle mini bombe?

Sarebbero armi nucleari della potenza inferiore a 5 kiloton.

Perché costruirle?

E’ un mind game. Per tutta la guerra fredda abbiamo portato avanti un gioco psicologico per cercare di convincere i russi e anche noi stessi che le nostre armi nucleari fossero usabili e che fossero dunque una minaccia credibile per il nemico, ma in realtà avevamo dei dubbi, perché sapevamo bene che una guerra in cui fossero state usate avrebbe portato alla fine della civiltà. Ora, ci risiamo: i fautori di queste armi sono convinti che nessuno si assumerebbe la responsabilità di usare ordigni tanto distruttivi come quelli nei nostri arsenali nucleari, perciò ne vanno costruiti di più piccoli e “usabili”, affinché la nostra minaccia sia credibile.

Secondo lei, saranno costruiti?

Per ora, sembrerebbe di no: un comitato chiave, peraltro guidato da un repubblicano, ha tagliato i fondi per la ricerca scientifica su queste armi. Ma rimane da vedere come andrà a finire. E se si deciderà di costruirle, sarà quasi certamente necessario testarle, dunque gli USA riprenderebbero i test nucleari, sospesi da oltre 10 anni, e ciò permetterà ad altri stati di riprenderli, con tutto quello che ne consegue per la proliferazione nucleare.

Chi si oppone a queste “armi usabili” sostiene che il rischio più grosso è che possano sdoganare le armi nucleari, che da 60 anni a questa parte vengono viste come l’ “ultima risorsa”.

E’ l’opinione pubblica che crede che gli strateghi considerino le armi nucleari come l’ultima carta, da giocare quando non c’è più niente da perdere. Ed ovviamente è un pensiero rassicurante. Ma verso la fine degli anni ’50, ho avuto modo di parlare con il comandante dell’artiglieria nucleare in Germania e lui mi disse chiaramente che, nel caso in cui fossero sbucati fuori i carri armati russi, aveva l’autorità per usare le armi nucleari. Quindi, almeno in quel periodo, erano considerate usabili.

Però è vero che dopo Nagasaki non sono state mai più usate in combattimento e che c’è un tabù nucleare.

Più che di tabù, parlerei di una lotta continua tra chi le considera usabili e chi si batte perché le conseguenze del loro uso rimangano impresse nelle menti di tutti. Anche in questo governo, sono in tanti ad essere convinti che le armi nucleari non vadano usate, ma c’è anche gente come Cheney che, quando era segretario alla difesa nel governo di Bush padre, chiese di preparare un piano per usarle in Iraq, nella prima guerra del Golfo. Finora, è andata bene: i fautori dell’uso di queste armi non hanno prevalso, ma la lotta va avanti. E sono preoccupato che, con il movimento antinucleare non più attivo in piazza ormai da 20 anni, l’opinione pubblica mondiale sta perdendo il contatto con la realtà.

Cosa pensa di queste nuove armi, la comunità dei fisici?

Non conosco un solo fisico nucleare indipendente a favore. Mentre la leadership dei tre grandi laboratori americani di armi, Los Alamos, Livermore e Sandia, è influenzata da questa Amministrazione e incoraggiata a pensare ad esse.

Che tipi sono i fisici che lavorano in quei laboratori?

Non hanno un approccio ideologico e politicamente sono persone incapaci di elaborazioni raffinate. Concepiscono la democrazia come una “dittatura elettiva”: abbiamo eletto un presidente - ragionano - e allora dobbiamo fare quello che dice il presidente. Se dice che dobbiamo lavorare a queste nuove armi, dobbiamo farlo, perché non spetta a noi decidere: siamo solo dei tecnici.

E invece se finora i “falchi”non hanno prevalso è anche grazie a quei fisici che non si sono limitati a fare i tecnici, ma si sono assunti la responsabilità di lavorare per il controllo degli armamenti. Lei lo fa da 30 anni ed è stato anche un insider...

Sì, nel ’93 ho preso un congedo di due anni da Princeton e per 16 mesi ho fatto l’ “insider” alla Casa Bianca sotto Clinton, come consigliere scientifico su questi temi.

E com’è andata?

Beh, il fatto stesso che abbia passato 16 mesi a lavorare per la Casa Bianca, pur avendone a disposizione 24, dovrebbe dire qualcosa...

Quindi, anche chi ha la competenza tecnica, la volontà di cambiare e l’opportunità di arrivare “nella stanza dei bottoni”, non riesce ad imporsi.

Dipende. In alcuni casi, lavorare all’interno del sistema è stata effettivamente un’esperienza produttiva, ma nel cercare di cambiare la direzione della politica nucleare, dall’interno, ho ottenuto risultati scarsi e addirittura in settori come il trattato per il bando totale dei test nucleari, sono riuscito a condizionare il dibattito più dall’esterno - lavorando a fianco degli attivisti semplicemente come un esperto - piuttosto che dall’interno, come consigliere della Casa Bianca.

Che tipo di resistenze ha incontrato esattamente?

Sostanzialmente, le decisioni di politica nucleare spettano al Consiglio per la Sicurezza Nazionale, ma visto che io lavoro da sempre per il controllo degli armamenti, il Consiglio mi vedeva come un tecnico con un obiettivo preciso. E poiché il mio obiettivo non era particolarmente apprezzato, il Consiglio mi teneva alla larga il più possibile.

Quell’obiettivo, in realtà, lei ce l’ha nel DNA, perché è il nipote del Nobel James Franck, che stilò il celebre “Rapporto Franck”. In esso, un gruppo di fisici che avevano costruito la prima atomica chiesero al presidente americano Truman di non usare la bomba sulle popolazioni civili del Giappone, ma di usarla solo a scopo dimostrativo, per esempio su un’isola deserta, in modo che i giapponesi si fossero arresi e allo stesso tempo si fosse evitata la carneficina. 60 anni dopo, qual’è l’eredità di Hiroshima e Nagasaki?

Credo che usare quelle due atomiche contro civili inermi fu un crimine di guerra, ma credo anche che se non abbiamo usato armi nucleari durante la guerra fredda è anche perché ne avevamo visto gli effetti su Hiroshima. Hiroshima, dunque, fu un crimine di guerra, ma è stata anche una lezione. Certo, non c’era affatto bisogno di una seconda lezione, Nagasaki.