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IL SIGNORE DELLE STAMINALI - INTERVISTA A ROGER PEDERSEN

Di Stefania Maurizi

Pubblicato su “Tuttoscienze” de La Stampa, 20 aprile 2005

Diabete, ictus, Alzheimer, Parkinson, sclerosi multipla. Ogni anno, queste malattie condannano a una vita difficile milioni di persone nel mondo, nonché i loro cari. Oggi c’è una speranza, seppure ancora tutta teorica, di curarle, o addirittura guarirle definitivamente, grazie alle cellule staminali embrionali, che si ricavano dagli embrioni umani. Ma poiché per ricavarle occorre distruggere gli embrioni nei primissimi giorni di sviluppo, da anni queste cellule sono al centro di una controversia che di fatto ruota intorno ad un grave problema etico: è giusto farlo? Oppure l’embrione, indipendentemente dal suo stadio di sviluppo, è sempre e comunque un bambino e quindi distruggerlo significa distruggere una vita umana? Roger Pedersen è uno dei più grandi esperti di staminali embrionali del mondo. Ha fatto ricerca per 30 anni in America, ma quando nel 2001 l’amministrazione Bush ha bandito la ricerca pubblica sulle staminali embrionali, Pedersen ha piantato il suo paese, i suoi amici e tutto quello che aveva costruito in 56 anni di vita, ed è andato in Inghilterra, a Cambridge. Oggi guida il più grande centro di ricerca sulle staminali del mondo: lo Stem Cell Institute di Cambridge, costato 24 milioni di euro e nato per coniugare ricerca e applicazioni mediche.

Professore è soddisfatto della sua scelta di lasciare gli USA?

E’ stata la scelta più giusta di tutta la mia vita professionale. Qui posso lavorare ai massimi livelli sulle embrionali, la ricerca gode di ottimi finanziamenti e di un ampio supporto da parte di tutti.

Comunque, se dopo la decisione di Bush avesse deciso di lasciar perdere le embrionali, non credo che uno del suo calibro avrebbe avuto problemi a riciclarsi con successo in altre aree di ricerca. E invece ha veramente piantato tutto. Suppongo che avesse una grossa motivazione a studiarle…

Personalmente credo che offrano grosse opportunità all’umanità. E di fatto abbiamo già avuto una dimostrazione dei benefici della ricerca sugli embrioni umani: grazie ad essa, siamo arrivati a curare l’infertilità, persone che fino a 30 anni fa non avevano alcuna speranza di avere bambini, oggi possono averli. E non ci dimentichiamo che la rivoluzione riproduttiva è cominciata proprio qui in Inghilterra: la prima bambina in provetta è nata grazie al professor Robert Edward, dell’università di Cambridge.

Chi finanzia la sua ricerca?

Non ricevo neppure un centesimo dalle aziende farmaceutiche: tutti i miei fondi vengono dal governo, più precisamente dal Medical Research Council, da un’organizzazione noprofit che è la Wellcome Trust e da una studentship.

Entriamo nel merito della controversia. In un’intervista ad un noto settimanale italiano, uno dei grandi esperti di staminali del mondo, lo scienziato italiano Angelo Vescovi, ha dichiarato che, per la biologia, un embrione di una settimana è un essere umano, perché la vita nasce con la fecondazione. Come commenta quest’affermazione?

Dicendo che è molto arbitraria e fuorviante. La fecondazione è semplicemente la fusione di due genomi, quello della madre e del padre, ma con essa non siamo in presenza di un essere umano fisicamente individuabile e infatti qualunque biologo sa bene che nelle prime due settimane che seguono la fecondazione si possono, per esempio, formare i gemelli. Le regole inglesi sono state fissate proprio con questa logica: limitandoci a fare ricerca su embrioni di non più di due settimane, abbiamo un ampio margine di sicurezza che non abbiano raggiunto il punto in cui siamo in presenza di un essere umano fisicamente individuabile. Questo è quanto ci dice la scienza, il resto è religione, o comunque metafisica. Tutti hanno diritto ad averne una, ma non a spacciarla per scienza.

C’è un aspetto della ricerca sugli embrioni umani che inquieta particolarmente il pubblico: è l’idea che per soldi, curiosità scientifica o follia, nei laboratori prima o poi si possa arrivare a esperimenti e manipolazioni disumane, di tipo nazista. Lei non ha paura?

Credo che paure del genere vadano affrontate con maggiore razionalità, perché quello che è successo sotto il nazismo è successo in un regime del terrore; la pratica della scienza in una democrazia è qualcosa di molto diverso: c’è spazio per il dissenso, la denuncia e il dibattito pubblico, ci sono leggi e organismi di controllo. Qui in Inghilterra, per esempio, chiunque voglia fare ricerca sugli embrioni umani deve fare una richiesta alla HFEA, l’agenzia governativa che disciplina e sorveglia tutta la medicina riproduttiva e la ricerca sugli embrioni. La HFEA esamina il progetto di ricerca e decide se rilasciare o meno l’autorizzazione: niente autorizzazione significa niente ricerca e niente soldi. Le regole sono chiare e ferree e la HFEA può mandare ispezioni. Le assicuro che nessuno vuole rischiare, perché la pena per chi sbaglia non è una multa: è la prigione.

Alcuni sostengono che, comunque, per sviluppare terapie non è necessario andare a impelagarsi in una controversia capace di dilaniare le coscienze: basterebbe usare le staminali adulte, che non pongono i problemi etici di quelle embrionali. Che ne pensa?

Credo che, poiché siamo all’inizio dei nostri studi, rinunciare alle embrionali sarebbe una stupidaggine. Prima di tutto, siamo nella fase in cui dobbiamo capire come funzionano tutte le staminali, sia embrionali che adulte, le loro proprietà e differenze. Se non capiamo, non arriviamo da nessuna parte. Perciò dobbiamo studiare entrambe, perché la conoscenza si ottiene anche per confronto. Ma oltre a ciò, proprio perché siamo all’inizio, nessuno può dire con certezza da dove verranno le applicazioni mediche. E quindi, rinunciando, rischiamo di precluderci un intero settore di applicazioni. E’ un po’ come se dopo aver scoperto il primo antibiotico, la penicillina, non avessimo voluto sapere nulla degli altri antibiotici, perché tanto avevamo già la penicillina. Oggi, sappiamo che i batteri possono diventare resistenti alla penicillina e che alcuni pazienti sono allergici. Se avessimo rinunciato in partenza agli altri, poi come avremmo trattato le infezioni resistenti o i pazienti allergici?

Chi si oppone allo studio e all’uso delle embrionali sostiene che tutte le cure oggi disponibili a base di staminali usano le adulte, mentre a tutt’oggi non è stato curato un solo paziente con le embrionali. E’ vero?

Sì. Però bisogna aggiungere che le terapie ottenute dalle adulte usano una classe particolare di staminali: quelle del sangue, che sono note e studiate ormai da 20 anni, quindi c’è stato il tempo di arrivare alle applicazioni mediche. Le embrionali, invece, sono state scoperte solo nel ‘98: è normale che non siano state ancora messe a punto delle cure, perché 6 anni sono troppo pochi. Comunque, anche se non abbiamo ancora terapie, usando i modelli animali come i topi, abbiamo già la prova che in linea di principio le embrionali hanno applicazioni terapeutiche.

Alcuni sostengono che il vero motore dietro la ricerca sulle embrionali siano gli enormi interessi commerciali delle aziende biotech sui brevetti, ecc.. Che ne pensa?

E’ vero che le applicazioni terapeutiche delle embrionali potranno avere valore commerciale, ma ritengo che ci sia una percezione distorta della cosa. Lavoro sugli embrioni da decenni e fino a 56 anni ho lavorato negli USA, dove spesso la scienza si traduce in tecnologie o terapie, quindi in affari. In tutti questi anni, sa quante aziende biotech che operano nel settore delle staminali ho conosciuto? Quattro. Due lavoravano sulle adulte e sono andate in bancarotta perché non c’era una richiesta sufficiente per le loro terapie; le altre due invece lavorano sulle embrionali, ma non sono riuscite ad attrarre gli investimenti di Big Pharma, il cartello delle grandi multinazionali farmaceutiche.

Possibile?

Big Pharma non è interessata a investire in un settore come le embrionali che probabilmente darà frutti tra dieci anni, ha settori in cui il profitto è più immediato e quindi preferisce investire lì. Per questo la ricerca sulle embrionali deve essere finanziata con soldi pubblici: il privato investe secondo la logica del profitto e non perché una scoperta promette di rivoluzionare la medicina.

Nei prossimi dieci anni cos’è ragionevole aspettarsi?

A quel punto avremo capito come funzionano le staminali embrionali e quali proprietà condividono con le adulte. E sono fiducioso che questo si tradurrà in applicazioni con conseguenze mediche e sociali così profonde che forse non possiamo neppure immaginare. Ma in ogni caso, anche mettendoci nella peggiore delle ipotesi _ quella per cui non tireremo fuori nessuna cura _ credo che studiarle ci porterà alla scoperta più eccitante del nostro tempo: capiremo come si forma un individuo.

Non lo sappiamo già?

Sappiamo veramente poco del primissimo stadio, perché in quella fase l’embrione che si sviluppa nel corpo di una donna s’attacca alle pareti dell’utero ed è “invisibile” agli studi. Ma ora, studiandolo in vitro, avremo accesso a quella fase. La scienza che ha indagato l’origine dell’universo e della nostra specie, ora potrà indagare il Big Bang dell’essere umano.

Concludendo, consiglierebbe ai ricercatori americani ed europei di fare come lei?

Ognuno deve decidere per sé; posso solo dire che i ricercatori eminenti che vogliono studiare le staminali embrionali da noi sono i benvenuti. E di fatto molti stanno venendo qui.