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IO, TELLER, FERMI E LA BOMBA H - INTERVISTA A RICHARD GARWIN

Di Stefania Maurizi

Pubblicato su Tuttoscienze de LA STAMPA, 24 Novembre 2004

Lei è il famoso Edward Teller?”, chiese qualche anno fa un’infermiera ad un vecchio signore ricoverato in ospedale e di cui voleva accertare la lucidità. “No, sono l’infame Edward Teller”, rispose prontamente lui. Il 9 settembre 2003, il fisico americano Edward Teller è morto all’età di 95 anni. Amatissimo dai circoli conservatori, è stato un’icona della Guerra Fredda, padre delle “guerre stellari” e della bomba all’idrogeno, o bomba H, un’arma nucleare che, testata su un’isola del Pacifico nel novembre del ’52, rilasciò un’energia pari a 11 milioni di tonnellate di tritolo _circa 800 volte quella dell’atomica di Hiroshima_ e vaporizzò l’isola. Furono creature come quella che fecero dire al Nobel per la fisica Isidor Rabi che “il mondo sarebbe stato migliore senza Edward Teller”; tuttavia, la paternità della bomba H ha fatto discutere a lungo e solo recentemente è apparso sulla stampa il commento di Teller: “il primo progetto fu di Dick Garwin”. Abbiamo chiesto a Richard Garwin di parlarci della bomba e del Dottor Stranamore.

Professor Garwin, come si ritrovò a costruire la bomba?

Ero un collega di Fermi all’università di Chicago, lavoravo con l’idrogeno liquido e durante l’estate del ‘50 dovevo trovare un’occupazione per i 3 mesi in cui l’università non mi pagava, Fermi disse che avrei potuto trovare interessante lavorare al laboratorio di Los Alamos. Nel ’49, l’Unione Sovietica aveva fatto esplodere la sua prima atomica. L’opinione pubblica non si aspettava che i russi l’avrebbero avuta solo quattro anni dopo quella di Hiroshima e così, quelli che come Teller sostenevano la necessità di una bomba all’idrogeno, la “Super”, ebbero un argomento a loro favore. Le armi nucleari erano sotto la responsabilità della Commissione per l’Energia Atomica, che aveva un comitato di consulenza: il General Advisory Committee (GAC), guidato da Oppenheimer, che aveva diretto la costruzione della prima atomica alleata, e di cui facevano parte Fermi e I.I. Rabi, ma non Teller. Il GAC si pronunciò contro la costruzione della bomba H e Rabi e Fermi la sconsigliarono non solo per i problemi tecnici, ma anche perché la consideravano “intrinsecamente maligna”, in quanto di distruttività potenzialmente illimitata. Il presidente degli Stati Uniti Truman, però, decise di procedere con la Super e a quel punto Fermi decise di aiutare a costruirla, perché questa era la politica della nostra nazione e sentiva di dover fare la propria parte. Ma posso immaginare che dentro di sé sperava non fosse fattibile. E’a Los Alamos che fu costruita e lì arrivai nell’estate del ‘50.

Sapeva cosa l’aspettava?

No, Fermi non mi anticipò nulla, perché tutto era coperto da segreto e occorreva una clearance, cioè un’autorizzazione per accedere a materiale e ricerche segretate. Una volta arrivato, cominciai ad avere informazioni. Dividevo lo studio con Fermi, che con il matematico Ulam faceva i conti, li consegnava alla signora Miriam Caldwell, che era il “computer”, ovvero usava un calcolatore da scrivania per macinare calcoli durante la notte, con risultati veramente scoraggianti: nessuno sapeva come costruire quella bomba. Tornai l’estate del ‘51, Ulam aveva individuato una strada promettente e Teller mi chiese di mettere a punto un esperimento per verificarne il funzionamento. Sostanzialmente feci da architetto, mettendo insieme cose già note e, dopo due settimane, andai da Teller con il progetto della prima bomba all’idrogeno.

Accennava al fatto che l’atomica russa catalizzò la costruzione della prima bomba H americana. Ci lavorò per ragioni politiche?

Assolutamente no, sono apolitico, né allora potevo avere alcuna influenza politica: avevo 22 anni! Mi interessava la fisica e a quel punto me la cavavo bene con le questioni in ballo nella costruzione della bomba H, tutte questioni fisiche intriganti. E non provavo repulsione nel lavorarci, perché sentivo che la politica era a Washington. Io ero un tecnico. Ritenevo che, come fisici, dovevamo informare i politici se la bomba fosse fattibile e quale potesse essere il suo impatto, poi, se a Washington decidevano di costruirla, era nostro compito farlo.

E lei non aveva paura della sua distruttività?

Sapevo che era potentissima e che anziché, uccidere 200.000 persone, come aveva fatto l’atomica, ne poteva uccidere 20 milioni, se lanciata su una città sufficientemente grande, ma allora non c’erano città così grandi. Comunque, l’idea era che sarebbe stata costruita, ma non usata.

Quindi la pensò come un deterrente?

Sì, ma, come ho già detto, allora ero preso dalle questioni tecniche.

Parlò con Fermi della scelta di lavorarci?

No, era un fisico straordinario ed una persona amabile e modesta, ma io ero un giovane fisico e lui era un top dog. Come leader_a Los Alamos era chiamato il Papa_ e membro del GAC, Fermi aveva accesso ad informazioni che io non ero autorizzato a conoscere, perché le faccende di politica delle armi nucleari venivano tenute separate da quelle tecniche.

Che esperienza ha avuto con Teller?

Era molto creativo, energico, volubile e, come il matematico von Neumann, un anticomunista di ferro, ma di questo non abbiamo mai parlato, probabilmente per il mio disinteresse verso la politica. Era politicamente motivato e guidato da un imperativo tecnologico: tutto ciò che si poteva creare con l’aiuto della scienza e della tecnologia, andava creato senza preoccuparsi delle conseguenze, un punto di vista questo che ha mantenuto per tutta la vita. Usò il proprio intelletto e la propria energia sul fronte politico, facendo pressioni a Washington per ottenere quello che riteneva giusto e se qualcuno si metteva sulla sua strada, come Oppenheimer fece, beh, allora peggio per lui.

Si riferisce al famoso processo del ‘54 in cui Teller testimoniò contro Oppenheimer?

Sì, fu una brutta storia. Teller non fu onesto: disse di non aver preso alcuna iniziativa contro Oppenheimer, mentre le informazioni emerse dimostrano il contrario. Non gli era andata giù l’opposizione di Oppenheimer alla Super e credo non gli andasse giù la sua grossa influenza politica. Così lavorò con Lewis Strauss, capo della Commissione per l’Energia Atomica, per scavalcare Oppenheimer. Parlò con l’FBI e gente di quel tipo e riferì loro dei sospetti che nutriva sui familiari e su alcuni amici di Oppenheimer, che erano membri del Partito Comunista. La macchina burocratica si mise in moto e si arrivò al processo. Ma credo che la cosa gli sfuggì di mano, non penso che Teller volesse arrivare a portare Oppenheimer in tribunale o a fargli togliere la clearance. Comunque, Oppenheimer fu così arrogante! Si sentiva intoccabile.

Che atmosfera c’era a Los Alamos?

Non era imbevuta di politica, c’era piuttosto un grosso coinvolgimento nella fisica, cioè negli aspetti tecnici delle armi nucleari. C’erano intelletti così affascinanti e diversi tra loro! Anche questa diversità era affascinante. Ad esempio, Fermi era intelligentissimo e sicuro, ma non veloce. Un giorno, mentre risolveva un problema alla lavagna, passò von Neumann, dette uno sguardo e tirò fuori immediatamente la soluzione. Fermi mi disse: “quello mi fa sentire uno che non sa niente di matematica”.

In questo colloquio, ha ribadito più volte la sua estraneità alla politica, negli anni in cui lavorò alla bomba. Ma nel corso del tempo ha acquisito interesse per essa, visto che, in tema di sicurezza nazionale, è stato consigliere scientifico di moltissime amministrazioni da Kennedy a Clinton. Oggi lei è considerato un insider dei circoli di Washington.

Cominciai ad interessarmi alla politica delle armi nucleari nel ‘53, oltre a passare l’estate a Los Alamos, fui coinvolto in progetti in cui non seguivo il singolo problema tecnico, bensì i sistemi e le strategie difensive. Facevamo riunioni in cui analizzavamo i dati che le agenzie di Washington ci portavano sulle possibili conseguenze degli attacchi nucleari e vedevo le cose “dall’alto”: venivano fuori cifre e scenari. Capii cosa potesse significare un enorme numero di bombe, ciascuna un migliaio di volte più potente di quella di Hiroshima. Mentre lavoravo alla Super, non mi rendevo conto né che saremmo arrivati ad averne così tante né che la bomba H stessa avrebbe incoraggiato la proliferazione nucleare, perché è molto meno costosa di quella atomica e più sicura da maneggiare. Inoltre, nel ’54 Fermi mi disse, in punto di morte, che avrebbe voluto essere stato più attento al problema degli armamenti; anche questo mi spinse verso un ruolo più pubblico. Ho iniziato a lavorare per il controllo delle armi nel ’53 e da allora non ho più smesso.

Concludendo, oggi nel mondo ci sono 30.000 bombe H, lei ha dichiarato che, se avesse una bacchetta magica, farebbe sparire la sua creatura…

Non mi sono mai pentito di averci lavorato: con o senza me l’avrebbero costruita. Ma se potessi, la farei sparire.