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L’UOMO DELLE TRE BOMBE - INTERVISTA SAM COHEN

Di Stefania Maurizi

Pubblicata su Tuttoscienze de LA STAMPA, 16 giugno 2004
 
Lo trovi in California, ma cerca di non telefonargli né troppo presto né troppo tardi: ha più di ottant’anni. E se non lo trovi in casa, non aspettarti che sia lui a richiamarti...”. Non dovrebbe avere una fama da gentleman Sam Cohen, visto quello che mi dice il collega che mi aiuta a rintracciarlo.
E nel telefonargli per intervistarlo, mi preparo al peggio...invece mi ritrovo subito a fare una piacevole chiacchierata con lui, che pure ha dei modi sui generis e una franchezza a tratti brutale. In questa intervista, Sam Cohen racconta la sua storia.
 
Come cominciò ad occuparsi di armi nucleari?
Mi ero laureato in fisica all’Università della California, Los Angeles, ed ero nell’esercito durante la guerra. Mi fu detto di fare le valigie e fui spedito a Los Alamos.
 
Come e quando ci arrivò?
All’inizio del ’44, avevo 23 anni e non avevo mai sentito parlare di quel laboratorio. Arrivato alla stazione ferroviaria nei pressi di Santa Fè, nel New Mexico, io ed altri militari fummo caricati su un camion. Avevamo già ricevuto istruzioni di non fare domande a nessuno e arrivati ad un cancello pieno di guardie, ci portarono in un casermone, da cui non potevamo andarcene. Potevamo però visitare la biblioteca, che era aperta anche a chi, come noi, non aveva un permesso speciale. Già prima di andarci, avevo notato qualcosa di insolito: in quel centro sconosciuto, avevo visto ben tre premi Nobel della fisica nucleare, così cominciai a sospettare che fosse in corso qualcosa che riguardasse l’uso militare dell’atomo, ma non potevo immaginare cosa. Poi, in biblioteca, trovai molti articoli sulla fissione nucleare, mi affiorò allora un sospetto preciso e quando fui convocato per un colloquio e il dottor Weisskopf mi chiese: “lei cosa pensa che stiamo facendo qui?”, gli risposi: “penso che state costruendo una bomba atomica”.
 
Suppongo che lo scioccò, perché era top secret.
Sì, Weisskopf sbiancò. Gli parlai degli articoli della biblioteca e, una settimana dopo, furono quasi tutti portati nella parte a cui potevano accedere solo le persone autorizzate. Una volta capito dove ero finito, mi prese una forte eccitazione, perché mi resi conto che era un’impresa storica.
 
Cosa faceva esattamente?
Fui assegnato alla divisione teorica di Hans Bethe. Studiavo come i neutroni si diffondevano, venivano assorbiti e provocavano la fissione nucleare e la reazione a catena. Sviluppai una relazione particolare con loro e molti anni dopo inventai la bomba al neutrone.
 
Nel suo libro di memorie, racconta in dettaglio cosa successe a Los Alamos appena si seppe del bombardamento di Hiroshima.
Ne ho parlato io ai giornalisti per la prima volta. Contrariamente alla famosa e citatissima frase di Oppenheimer: “i fisici hanno conosciuto il peccato”, anni ed anni dopo quei fatti, quell’episodio non era ancora venuto fuori sui libri e sui giornali. Era il pomeriggio del 6 agosto 1945, nel laboratorio, fu annunciato che una delle nostre “unità” era stata lanciata sul Giappone e che in serata Oppenheimer avrebbe parlato allo staff scientifico. Oppenheimer organizzava normalmente degli incontri in una sala conferenze ed entrava sempre con calma, dall’ingresso laterale. Ma quella sera, fece un’entrata trionfale e tutti_ ad eccezione forse di una o due persone_ si alzarono in piedi, applaudendo e battendo i piedi, veramente orgogliosi che ciò che avevano costruito avesse funzionato, orgogliosi di se stessi e di Oppenheimer, che gongolava. Oppenheimer placò la sala e disse che si sapeva ancora poco, si sapeva solo che ai giapponesi la bomba non era piaciuta, ma gli dispiaceva tanto di non averla finita in tempo per usarla contro i nazisti. Di nuovo, scoppiò l’euforia generale. E non passò per la testa alla maggior parte di quella gente che quel laboratorio aveva appena ammazzato 100.000 civili innocenti.
 
E lei come reagì?
Come gli altri. Non avevo dimenticato Pearl Harbor e mai, durante la guerra, mi ero preoccupato delle bombe incendiarie lanciate sui giapponesi, non avevo scrupoli di coscienza. Ma guardando indietro, credo che avrei dovuto averne e ora sono una persona diversa. Credo nel principio cristiano di “guerra giusta”.
 
E’ cristiano?
No, sono ateo e, per appartenenza etnica, ebreo.
 
Lavorò all’atomica per via dei nazisti?
Ci lavorai perché era una delle più grandi rivoluzioni in corso ed era assolutamente eccitante.
 
Subito dopo la guerra, andò a lavorare alla RAND Corporation, uno dei più famosi think tanks del mondo, che faceva?
Lavoravo a vari tipi di armi nucleari e da questo lavoro, nel ‘58, inventai la bomba N.
 
Poi, però, fu fatto fuori dalla RAND, nel ‘69…
Io sono stato fatto fuori da tutto!
 
Come successe?
Ero contro la politica nucleare del governo: lo dicevo e lo scrivevo, ma il governo pagava la RAND che pagava me: mi tagliarono lo stipendio. Fui costretto alla pensione anticipata e il reddito della mia famiglia calò drasticamente. Ma mia moglie ed io siamo riusciti a pagare il mutuo di una bellissima casa e a crescere una famiglia.
 
Qual’era, secondo lei, l’errore più grosso del governo americano in tema di sicurezza nazionale?
Per il governo, si potevano usare solo armi convenzionali e mai quelle nucleari, neppure per salvare l’Europa occidentale da un attacco. Consideravo questo atteggiamento antinucleare completamente sbagliato, pericoloso e irrazionale, ma è andato avanti per anni, né vedo alcun segno di cambiamento.
 
Comunque, non c’è stato nessun attacco all’Europa e, per fortuna, nessuna guerra nucleare. Non pensa che forse il governo avesse ragione in questo suo “atteggiamento antinucleare”?
Il governo aveva torto! Andiamo indietro nella storia: se avessimo usato la mia bomba in Vietnam, avremmo vinto, si sarebbero salvati molti americani e vietnamiti e centinaia di miliardi di dollari, che potevano essere spesi per l’istruzione e la sanità. La decisione di non usarla fu immorale. E anche George Bush, nella prima guerra del Golfo, disse assolutamente no all’uso di armi nucleari, di qualunque tipo.
 
Parliamo della sua bomba.
E’ meno potente della bomba A di Hiroshima e ovviamente meno potente di quella H, o all’idrogeno. Emette neutroni ad alta energia, che uccidono esseri viventi e non distruggono edifici. E’ un’arma da usare sul campo di battaglia ed è per un uso discriminato contro le truppe del nemico, non per attacchi contro le città, come la bomba A o H, che devastano e contaminano porzioni enormi di territorio e uccidono centinaia di migliaia, se non milioni di persone.
 
Però, lei dette una mano anche per la bomba H…
Sì, ma quella bomba fu una trappola, perché, insomma, quanto danno si vuole mai procurare ad una nazione nemica? Teller, che era un convinto anticomunista, pensava che non ci fossero limiti: si poteva far saltare in aria l’intera Unione Sovietica. Io non sono d’accordo e per questo credo che la bomba al neutrone sia morale perché è molto discriminante. Questo fu apprezzato e riconosciuto dal Vaticano: nel ‘78, Paolo VI mi dette la medaglia per la Pace.
 
Lei perché la creò?
Per le “guerre circoscritte”, come quella di Corea o del Vietnam, non contro l’Unione Sovietica. E la inventai perché sono un convinto sostenitore della guerra giusta, che discrimina tra civili e soldati. Ma contro la mia bomba ci furono dimostrazioni in tutto il mondo.
 
Perfino Teller non l’amava!
Perché non l’aveva inventata lui! Era un megalomane.
 
E Breznev le dette del mostro.
Sì, e poi la bomba N divenne la priorità numero uno per l’Unione Sovietica! Ne potrebbero avere perfino migliaia. E noi americani abbiamo aiutato la Cina ad ottenere la loro bomba N.
 
Come?!
Fu realpolitik: lo abbiamo fatto per aiutare i cinesi a difendersi dai russi, nel caso fosse scoppiata una guerra tra loro.
 
Lei ha caldeggiato testardamente l’uso della sua bomba in guerre come quella di Corea e del Vietnam. Ma non aveva paura che l’uso di un’arma nucleare, per quanto piccola, potesse portare da una guerra circoscritta e convenzionale ad una nucleare?
Io ho caldeggiato l’uso di armi più discriminanti ed efficaci possibili per vincere quelle guerre nel modo più umano possibile. Il fatto poi che la Cina o la Russia potessero entrare in guerra anche loro, con le loro armi nucleari, è una congettura.
 
Oggi, il problema della costruzione di ordigni nucleari “piccoli” e che vengano usati in combattimento, anziché tenuti negli arsenali come deterrente, è molto attuale. George W. Bush vuole i cosiddetti  bunker busters, armi nucleari relativamente poco potenti da usare contro i bunker. Tuttavia, fautori autorevoli del disarmo temono che possano sdoganare le armi nucleari, che dopo Nagasaki non state mai più usate in combattimento.
L’idea che le armi nucleari piccole ed usabili possano portare alla legittimazione delle altre e alla guerra nucleare non è altro che una teorizzazione, che non ha basi legittime.
 
Perché allora, secondo lei, c’è questa pregiudiziale anti-nucleare così forte, anche nel governo americano?
Per interessi economici dell’establishment_ perché se adottassimo una politica nucleare sensata, il budget della Difesa, che oggi è nell’ordine di 400 miliardi di dollari all’anno, potrebbe essere ridotto di 100-200 miliardi di dollari all’anno, se non più_ e per irrazionalità: nel mondo ci sono i buoni, i cattivi e i fautori delle armi nucleari, che sono i peggiori.
 
Perfino Reagan disse: “una guerra nucleare non può essere vinta e non deve essere combattuta”.
L’ho incontrato nel ‘78 e gli parlai della mia bomba. Mi lasciò intendere che, se fosse stato eletto, ne avrebbe fatto riprendere la produzione, che Carter aveva bloccato. E lo fece. Tuttavia, non fu mai sviluppata una strategia coerente per usare la bomba N, che costò quasi 1 miliardo di dollari alla nazione, ma fu inutile. Il consigliere della campagna per la sicurezza nazionale di Reagan mi promise anche un premio per averla inventata; ancora l’aspetto!
 
In tema di armi nucleari, lei è considerato un ultrafalco…
E’ un’etichetta veramente ingiusta: all’inizio, la prendevo molto male, ma ora l’accetto con equanimità.
 
Ha avuto varie delusioni nella sua vita, si sente un perdente?
Ho avuto una vita molto lunga: dopo essere stato fatto fuori, ho cominciato a scrivere, perché era la sola cosa che potessi fare. Presto, compirò 83 anni: la vita mi ha offerto opportunità affascinanti e non ho rimpianti, ma a volte sono un po’ triste.