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PILLOLA: LA RIVOLUZIONE INTERROTTA - INTERVISTA A CARL DJERASSI

Di Stefania Maurizi

Pubblicato su Tuttoscienze de LA STAMPA, 12 giugno 2003

Esercizi ginnici post coitum, preservativi di lino e beveroni tossici, se non fatali : la storia della contraccezione è millenaria e caratterizzata da un armamentario di misture e trovate quantomeno singolari. Ma la rivoluzione nel controllo della fertilità umana è recente, identificata con l’invenzione della pillola anticoncezionale ed incarnata da Carl Djerassi, chimico emerito dell’università di Stanford. Lo abbiamo intervistato per una conversazione sulle tecnologie contraccettive e riproduttive di un mondo che, ogni 24 ore, registra circa 100 milioni di rapporti sessuali, 1 milione di concepimenti, 250.000 gravidanze indesiderate, 150.000 aborti, di cui 50.000 illegali che portano alla morte di 500 donne al giorno.

Professor Djerassi, può illustrare brevemente come creò la prima pillola?

Il nostro gruppo ha fatto da madre alla pillola, perché ha messo al mondo il composto che ne costituisce il principio attivo e che non esiste in natura. Il padre, invece, è considerato il biologo Gregory Pincus. Era ben noto fin dagli anni ’20 che il progesterone, l’ormone sessuale naturale femminile, svolge un’azione contraccettiva perché inibisce l’ovulazione durante la gravidanza; è per questo che una donna non può rimanere incinta durante la gestazione. Ma utilizzarlo era problematico perché è poco attivo per via orale. Nel ’51 noi della Syntex, una piccola compagnia farmaceutica di Città del Messico in cui io lavoravo, riuscimmo a sintetizzare il “noretindrone” un composto analogo al progesterone naturale, ma attivo per via orale. Per testarne l’attività ne inviammo un campione a molti biologi, incluso Pincus, molto impegnato nella ricerca sulla contraccezione in anni in cui essa non era una priorità. Nel ’57 la Food and Drug Administration autorizzò l’uso del noretindrone per trattare i disordini mestruali e nei primi anni ’60 estese il suo uso alla contraccezione.

Margaret Mead disse che la pillola fu un’invenzione completamente maschile e messa a punto da uomini disposti a fare esperimenti sul corpo delle donne, ma non sul proprio!

In effetti, quasi tutte le persone che ci lavorarono erano uomini e purtroppo questo fatto era dovuto alla discriminazione delle donne nella scienza. Comunque, se avessimo lavorato ad una pillola maschile, la decisione se e quando avere un figlio sarebbe rimasta in mano agli uomini, poi per le donne avevamo un “indizio biologico” a cui ispirarci: hanno un contraccettivo naturale, il progesterone. Gli uomini contribuiscono alla riproduzione solo attraverso lo sperma. Tutto ciò che si può fare è o impedire che arrivi a destinazione attraverso il coito interrotto, la sterilizzazione maschile, il preservativo o il diaframma, oppure bloccarne la produzione con una pillola per uomini, ma sebbene ci stiano lavorando fin dalla fine degli anni ’60, non è ancora sul mercato. Io sono molto pessimista al riguardo.

Perché?

Per i problemi che pone. Gli uomini producono sperma in continuazione e sono fertili molto più a lungo che le donne. Capire cosa succede alla potenza sessuale e alla fertilità di un uomo dopo 20-30 anni di “pillolo” richiederebbe una costosissima sperimentazione clinica molto più lunga di quella della pillola, ma se le aziende farmaceutiche impiegassero la maggior parte della durata del brevetto per i test, non coprirebbero le spese. Eppure sarebbe giusto avere una migliore contraccezione maschile: la donna sostiene tutto il peso della riproduzione, è giusto che l’uomo sostenga quello della contraccezione. Ma le industrie farmaceutiche sono società private: realizzano profitti, non risolvono problemi sociali.

La pillola ha 52 anni eppure rimane la svolta più recente in tema di tecnologia contraccettiva. Perché la ricerca in questo settore è essenzialmente ferma?

Ristagna fin dagli anni ’70 e le cause principali sono due: i contenziosi legali dovuti agli effetti collaterali di alcuni contraccettivi e le priorità dell’industria farmaceutica, che è interessata ai mercati dei paesi ricchi, i quali sono “paesi geriatrici” e con malattie geriatriche: Alzheimer, cancro, malattie cardiovascolari. Queste patologie richiedono farmaci costosi, da assumere per lunghi periodi e con effetti collaterali che i pazienti sono disposti a tollerare, perché un malato di cancro si trova in una condizione molto diversa rispetto ad una donna relativamente giovane e sana che prende la pillola. Perciò, le aziende farmaceutiche non sono più interessate alla contraccezione: dei 20 giganti del settore, solo 2 commercializzano ancora contraccettivi; e negli Stati Uniti, l’intero mercato degli anticoncezionali è probabilmente più piccolo del mercato di uno solo dei tranquillanti più venduti.

Dagli anni ’50 ad oggi, siamo passati da una legislazione punitiva nei confronti della contraccezione ad una che tutela i diritti sessuali e riproduttivi della persona. Che ruolo ha avuto la pillola?

Oltre ad aver aumentato enormemente la qualità della sessualità, ha dato un grosso contributo nel separare il sesso dalla riproduzione, che sono due cose completamente disgiunte. C’è ovviamente chi critica la pillola perché pare che, eliminata la paura della gravidanza, abbia incoraggiato comportamenti che alcuni ritengono immorali, ma la morale non può essere fondata sulla paura.

Permettendo il sesso senza la riproduzione, la pillola ha prodotto la rivoluzione sessuale. Le tecniche futuristiche di riproduzione assistita, come l’iniezione intracitoplasmatica di spermatozoo (ICSI), porteranno alla rivoluzione riproduttiva, permettendo la riproduzione senza il sesso?

Attualmente l’ICSI è un potente strumento per trattare l’infertilità maschile. Ma io credo che in futuro non lontano nelle fasce ricche delle nazioni più sviluppate saranno le persone fertili, e non solo quelle sterili, ad usare delle costose tecniche di riproduzione assistita come l’ICSI. Più le donne ricevono un’istruzione di livello avanzato, più aspirano ad avere opportunità e rimandano la gravidanza in età avanzata. Ma le donne nascono con la loro “scorta” di cellule uovo, non le producono in continuazione come l’uomo produce sperma. A 35 anni, una donna ha già perso il 90-95% di esse e quelle rimanenti possono avere sia problemi di fertilità che di più frequenti malformazioni trasmissibili al feto. Se una donna potesse congelare le sue cellule uovo da giovane, come gli uomini congelano lo sperma, potrebbe ancora avere la possibilità di utilizzarle successivamente e fecondarle con tecniche avanzate come l’ICSI. Oltre a ciò si potrebbe anche fare lo screening genetico sull’embrione prima di impiantarlo nell’utero, in modo da accertare eventuali malformazioni.

Ma, a parte i problemi etici, la riproduzione meccanizzata sarebbe completamente innaturale.

Cento anni fa una donna europea aveva un’aspettativa di vita di circa 40 anni. E’ naturale che nell’arco di 100 anni l’abbiamo raddoppiata? E non è raddoppiata naturalmente. Pratichiamo continuamente interventi medici che vanno completamente contro l’evoluzione: noi facciamo in modo che tutti vivano, mentre in natura quelli che vivono più a lungo sono i più forti. E permettiamo anche di avere figli a persone che fino a 30 anni fa non avevano alcuna possibilità di procreare naturalmente: nel mondo ci sono più di 1 milione di bambini nati in provetta e 100.000 nati con l’ICSI.

Concludendo, lei scrive testi teatrali e nel settembre del 2003, a Bologna, ci sarà la prima del suo “Oxygen”. Perché un chimico stacanovista si è messo a scrivere?

Mi interessa comunicare con il pubblico ed ho scelto il teatro perché permette di usare il dialogo, una forma di scrittura preclusa agli scienziati che nelle loro pubblicazioni devono usare sempre uno stile impersonale. Attraverso le mie opere esploro i comportamenti e le motivazioni degli scienziati. Non li riverisco, mi interessa descrivere la cultura tribale di una comunità interamente basata sul riconoscimento dei meriti di un membro della tribù da parte dei suoi pari, e che pratica un’attività brutalmente competitiva. Alcuni dei miei colleghi mi accusano di lavare i panni sporchi dei laboratori in pubblico ed io replico che non c’è nulla di male nel fare ciò.