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IL MIO NO ALL’ATOMICA - INTERVISTA A JOSEPH ROTBLAT

Di Stefania Maurizi

Pubblicata su “Tuttoscienze” di “La Stampa”, 2 OTTOBRE 2002

LONDRA. Nell’impresa che, secondo il suo stesso direttore Robert Oppenheimer, trasformò gli scienziati in “distruttori di mondi”, “uno che si prese una pausa fu Joseph Rotblat”, che abbandonò il Progetto Manhattan per la costruzione dell’atomica. Dopo quella “pausa”, comunque, il fisico nucleare Roblat non si è preso un giorno di riposo. Lucidissimo e vivace, a 93 anni, lavora ancora nel movimento che fondò nel ‘57 insieme ad altri eminenti scienziati: il Pugwash, con cui, nel 1995, ha condiviso il Nobel per la Pace per i loro sforzi nel promuovere il disarmo nucleare.

Ci concede questa intervista nella sede del Pugwash a Londra. E mentre ci racconta, col suo modo affabulatorio, dei primi esperimenti di fissione nucleare, un secolo di fisica e di storia si materializzano nel suo studio pieno di fotografie in bianco e nero.

Come fu arruolato nel Progetto Manhattan?

L’idea della bomba mi venne agli inizi del ‘39, in Polonia, la mia terra d’origine. Sapevo della scoperta della fissione e, poiché avevo pronto un mio esperimento, verificai ben presto che, quando l’atomo dell’uranio si divide in due parti, nel processo di fissione, vengono emessi anche alcuni neutroni. E questo apriva la possibilità di una reazione a catena, in cui hanno luogo molte fissioni ed una grossa quantità di energia viene rilasciata in un brevissimo lasso di tempo, il che significa una potente esplosione. Decisi, però, di non pensare a questa possibilità: aborrivo l’idea. E anche quando andai a lavorare a Liverpool con Chadwick, il fisico che aveva scoperto il neutrone, continuavo a rigettarla, sebbene fossi preoccupato perché le pubblicazioni tedesche menzionavano la possibilità di un’atomica. Ma quando la guerra scoppiò, dovetti accantonare i miei scrupoli morali: andai da Chadwick e gli suggerii di iniziare a lavorare alla bomba. Ragionai secondo il principio di deterrenza: se Hitler avesse ottenuto l’atomica, l’unico modo per impedirgli di usarla contro di noi era che anche noi l’avessimo e potessimo minacciare una rappresaglia.Cominciammo nel novembre del ’39 e quando nel ’43 gli americani dettero il via al Progetto, alcuni di noi furono“arruolati”.

Qual’era il suo ruolo?

Dovevo stabilire l’energia dei neutroni emessi dal nucleo dell’uranio nel processo di fissione. Nei reattori nucleari per la produzione di energia, i neutroni vengono rallentati proprio per controllare la reazione a catena ed evitare l’esplosione, per la bomba invece servono neutroni veloci e bisogna conoscere, prima di tutto, la loro energia.

Cosa successe quando gli scienziati scoprirono che Hitler non aveva la bomba?

In realtà, a quel punto io non ero più a Los Alamos.Me ne andai appena seppi che i tedeschi avevano rinunciato alla bomba. Chadwick, che era il capo del progetto inglese, aveva contatti con i servizi segreti, erano amici, e lui sapeva dei miei scrupoli morali; nel novembre del ‘44, mi disse di aver appena ricevuto la notizia. In realtà, i tedeschi avevano abbandonato tutto già nel ’42, ma noi non lo sapevamo. L’informazione, inoltre, era riservata, gli altri scienziati non l’avevano ed io fui l’unico a lasciare il Progetto.

Era un progetto top secret supervisionato dal Generale Groves, il responsabile della costruzione del Pentagono, come riuscì ad andarsene?

Ebbi grossi problemi.Sospettarono addirittura che fossi una spia russa, ed una della condizioni per lasciarmi andare fu che non dovevo dire a nessuno perché me ne andavo.

E Groves era davvero terribile?

Era un militare. Comunque fui scioccato dalle sue opinioni. Era piuttosto amico con Chadwick e, durante una cena privata, disse: “voi vi rendete conto, ovviamente, che il principale scopo del Progetto è quello di soggiogare i Russi”. Era il marzo del 1944: i Russi erano nostri alleati e lavoravamo contro Hitler. Immagini il mio shock! E quando lo dissi ai miei colleghi, loro non mi credettero!

Chi aveva chiaro quello che succedeva nel Progetto? Chadwick? Bohr?

In primo luogo Chadwick; Bohr si rese conto, quasi profeticamente, che se americani e inglesi avessero costruito l’atomica da soli, escludendo i russi, quest’ultimi avrebbero cercato di costruire una loro bomba, innescando una pericolosa corsa agli armamenti nucleari, che, secondo lui, poteva essere evitata, solo con un approccio comune all’utilizzazione dell’energia nucleare, sia a scopi pacifici che militari. Parlavamo molto a Los Alamos ed io ho appreso da lui del problema. Ma quando Bohr parlò con Churchill, tutto quello che Churchill capì fu che Bohr voleva dar via i segreti ai russi, e dunque era pericoloso; così il progetto di Bohr fallì. La storia avrebbe potuto essere cambiata.

Lasciato il Progetto, lei ha cofondato il Pugwash, il cui principale obiettivo è l’eliminazione delle armi nucleari. Qual’ è la vostra strategia?

Lavoriamo a trattati di eliminazione efficaci, cioè vincolanti per i governi che li firmano; trattati del genere esistono già per le altre armi di distruzione di massa, quelle chimiche e batteriologiche.

Il principio di deterrenza ha dominato 60 anni di politica strategica mondiale. Con cosa sostituirlo?

Con la negoziazione. Prenda l’Europa, per secoli le dispute sono state risolte con guerre terribili. Oggi, l’idea che Francia e Italia possano entrare in guerra è inconcepibile. L’impossibile è diventato possibile. E se ciò è successo in Europa, può succedere anche altrove.

Dopo l’11 settembre, lei ha scritto al The Times, paventando la possibilità che i terroristi acquisiscano armi nucleari. Dato il livello di expertise, tecnologia e risorse economiche richieste da queste armi, crede che sia una possibilità reale?

Si, non è un’esagerazione. Il metodo di detonazione Gun, usato nella bomba di Hiroshima, è molto semplice. Per un gruppo di terroristi che abbiano risorse, che probabilmente includono scienziati, la tecnologia non è un problema. Né lo è il materiale: per il Gun, serve uranio 235. Se si hanno i soldi, è veramente semplice procurarselo: ne bastano 40 chili, ed in Russia ce ne sono mille tonnellate. Si può trasportare in un altro stato, metterlo in un garage e detonarlo a distanza.

Bush e Putin hanno concordato una consistente riduzione delle armi nucleari. Lei è fiducioso?

Io do il benvenuto ad ogni taglio, ma questo non è reale. Non distruggono le armi, le mettono semplicemente nei magazzini e, se servono, le ritirano fuori. E’un’illusione.