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I SOTTOMARINI DEL TESORO

Di Stefania Maurizi

Pubblicato su L’Espresso, 6 maggio 2010

Rapidi ed invisibili, partono i sommergibili. E affondano una barcata di denaro pubblico, donato con magnificenza dal governo italiano a quello russo: la prova generale dell'asse atomico tra Silvio Berlusconi e Vladimir Putin, affidata alla gestione di Claudio Scajola.

Dal 2005 il governo regala 360 milioni di euro per aiutare il Cremlino a ripulire la flotta di sottomarini nucleari sovietici. Ma i fondi destinati agli arsenali artici seguono una rotta speciale: gran parte si ferma in Liguria, mentre un'altra quota si incaglia a Mosca. Una circumnavigazione che rende difficili gli inseguimenti, protetta dalla sorveglianza del Fsb, l'erede del Kgb, che autorizza ogni mossa di questa operazione nata per scopi nobili e proseguita con interessi diversi.

Soccorso rosso
Gli incubi della guerra fredda si sono trasformati in angosce contemporanee: macchine potentissime, come il leggendario "Ottobre rosso" del film interpretato da Sean Connery, da anni arruginiscono nei porti della Penisola di Kola, seminando radioattività negli Oceani. Un decennio fa, quando la Russia di Eltsin era ancora in piena crisi economica, i paesi del G8 si mobilitarono per dare una mano nella bonifica del cimitero di battelli all'uranio. Anche l'Italia si è lanciata nella missione e ha varato un programma milionario per sostenere i compagni in difficoltà. I finanziamenti hanno preso il largo nel 2005: uno dei primi fascicoli sulla scrivania di Scajola quando venne nominato ministro delle Attività produttive. Ma dopo cinque anni i risultati della spedizione artica suscitano più di qualche perplessità. E mostrano una dominanza ligure nella destinazione dei fondi, finiti in larga maggioranza all'Ansaldo e a Fincantieri. Mentre un'altra manciata di milioni è stata bruciata dalle strutture moscovite della Sogin, la società pubblica creata per chiudere la storia del nucleare italiano e diventata il referente tecnico del soccorso rosso berlusconiano.

Più consulenze che plutonio
Il bilancio della campagna di Russia finora è scarso: sono stati disarmati tre sottomarini, mentre un quarto battello è in corso di smantellamento. Ma per quest'attività è stato stanziato pochissimo. Disinnescare un sommergibile costa circa 5 milioni di euro, soldi che vengono consegnati a Mosca: si tratta di armamenti strategici e nessuno straniero può mettere il naso nelle demolizioni. Quindi finora abbiamo speso meno di 20 milioni. E il resto del denaro? In teoria serve per la seconda fase: rendere sicuro il materiale radioattivo. Molti quattrini però si perdono. Anzitutto perché l'Italia ha deciso di creare un comitato per sorvegliare l'operazione: una struttura che ha costi faraonici, poco meno di 3 milioni l'anno. Solo con gli stanziamenti per il suo mantenimento si sarebbero potuti togliere di mezzo altri tre vascelli nucleari. Gli esperti internazionali interpellati da "L'espresso", come quelli della fondazione norvegese Bellona che per prima ha lanciato l'allarme mondiale sulla contaminazione provocata dalla flotta sovietica, giudicano singolare questa scelta: nessun altro paese ha creato un comitato del genere. Invece Sogin ha ideato una Unità gestione progetti composta da 12 persone. Ci sono due contabili, cinque ingegneri italiani e cinque russi. L'Unità speciale ha costi di rappresentanza significativi. Solo per l'affitto della sede partono 9 mila euro al mese: un appartamento di 200 metri quadrati, in una zona centrale della capitale russa.

Dalle verifiche de "L'espresso" risulta che l'immobile è registrato a nome di Antonio Fallico, presidente di Banca Intesa Russia e uomo chiave di molte delle relazioni energetiche sull'asse Roma-Mosca. Particolari anche i nomi dei tecnici russi ingaggiati da Sogin per il comitato. Tra loro Alexey V. Kovalenko, figlio di un ex capo dipartimento di Rosatom, l'azienda di Stato russa controparte degli accordi con l'Italia. Cinque anni fa la Corte dei Conti contestò la gestione russa di Sogin, ma anche nel 2009 l'ente statale ha distribuito ai cinque consulenti russi 262 mila euro, pagati dai contribuenti italiani. Di cosa si occupano? Di sicuro, non possono mettere il naso nella parte operativa per supervisionare il rispetto dei protocolli sullo smantellamento. I sommergibili vengono fatti a pezzi in cantieri vietati ai civili. Né i nostri ingegneri hanno la possibilità di andare a visitare il luogo in cui viene portato quello che è il materiale più delicato: il combustibile nucleare dei sottomarini dismessi, che finisce a migliaia di chilometri dai porti top secret. Viene infatti trasportato in una delle vecchie città segrete dell'ex Unione Sovietica: Cheliabinsk-65, che oggi si chiama Mayak ed è uno dei più importanti centri di riprocessamento della Russia. È un luogo inaccessibile e con grandi problemi di contaminazione radioattiva che preoccupano la stessa Iaea, l'Agenzia Internazionale per l'energia atomica dell'Onu.

Pattumiera del mare
In realtà, la parte più consistente dei fondi gestiti da Scajola dovrà servire proprio per la fase due della pulizia. Anzitutto ci sarà un mercantile speciale, costruito proprio per il trasporto delle scorie: pagato da noi e regalato ai russi. La sta realizzando la Fincantieri di Muggiano, golfo spezzino dove nascono le navi da guerra. Questa pattumiera del mare costerà 71,5 milioni di euro e prenderà il largo tra un anno. Il contratto è stato assegnato senza gara, con una dichiarazione di congruità del prezzo sottoscritta dalla Marina militare, principale cliente della stessa Fincantieri. Non solo: il ministero dello Sviluppo economico sta sovvenzionando con 800 milioni le nuove fregate classe Orizzonte sempre di Fincantieri. Ancora più caro sarà l'impianto di trattamento e di stoccaggio temporaneo per i rifiuti nucleari che sorgerà ad Andreeva Bay: 110 milioni di euro. Una questione che sta molto a cuore al governo Berlusconi.

Nel 2005 come può rivelare "L'espresso", in una lettera ufficiale l'allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta informava Scajola di avere sollecitato il dibattito parlamentare sui fondi pro-Russia proprio per garantire all'Italia l'impianto di Andreeva Bay. «Vi sono fondate speranze di potervi stoccare temporaneamente (almeno 50 anni) i contenitori delle scorie ad alta attività risultanti dal riprocessamento in Gran Bretagna del combustibile irraggiato delle nostre centrali elettronucleari. In mancanza di un deposito nazionale in Italia non sapremmo dove sistemarli».

Torta all'uranio
Per l'impianto di Andreeva Bay c'è stata una gara per lo studio di fattibilità, «secondo le regole russe», come precisa l'ingegner Narbone, il dirigente del ministero che fino al mese scorso ha diretto il programma russo «e che dal 2005 lotta ogni giorno con le autorità di Mosca per portare a casa contratti per le aziende italiane». L'unico a farsi avanti è stato il consorzio Actec, Ansaldo-Camozzi-Techint ma due ditte si sono ritirate: resta solo l'Ansaldo Nucleare di Genova. Lo stesso Narbone spiega a "L'espresso" che la successiva commessa per la progettazione è andata sempre all'Ansaldo Nucleare. L'azienda ha presentato un preventivo estremamente sintetico: una pagina con le voci essenziali per un totale di 13 milioni e mezzo. Tra le spese preventivate, ben 585 mila euro per le traduzioni: al prezzo corrente, con questa somma si possono tradurre 39 mila pagine. E si tratta soltanto del progetto. Per la costruzione, poi, in pole position c'è la solita Ansaldo Nucleare. È un'azienda genovese del gruppo Finmeccanica che dopo il referendum atomico del 1986 in Italia ha avuto molto poco da fare. Il sito Web è scarno e offre dati risalenti al 2005: 175 dipendenti e ordini per soli 42 milioni di euro. In pratica, gli affari russi diventerebbero una delle entrate più ricche. Eppure questa è la società su cui si incardinano i piani di ritorno al nucleare per l'Italia proclamati da Scajola: il grande programma per costruire centrali pulite e futuristiche, subito benedetto da Silvio Berlusconi. E la nuova vita di Ansaldo doveva essere nobilitata con la visita del presidente Giorgio Napolitano, che martedì 4 maggio doveva essere accompagnato dal ministro ligure nel quartier generale. Uno scherzo del destino ha fatto coincidere l'appuntamento con le dimissioni di Scajola.

 

 

BOX 1:

Il nostro agente a Mosca
È a Mosca da oltre trent’anni: un punto di riferimento obbligato per chi vuole fare affari. Antonio Fallico, ex consulente Fininvest e ora numero uno della filiale di Banca Intesa, ha un ruolo centrale in molti degli accordi economici siglati da Berlusconi e Putin. A partire dal business più grande, quello del gasdotto South Stream. Per questa operazione Intesa nell’aprile 2008 ha annunciato la costituzione di una banca italo-russa insieme con Gazprombank, l’istituto finanziario del colosso Gazprom, “per finanziare le grandi opere nei due paesi”. Tra gli sponsor del professore siciliano a Mosca c’è Serghej Jastrzhembskij, ex consigliere di Putin, nonché uomo chiave delle relazioni Europa-Russia e del progetto della banca di investimenti italo-russa. Fallico nel 2008 ha pubblicato un libro sotto lo pseudonimo di Anton Antonov, dal titolo “Leninsky Prospekt”, ovvero “Prospettiva Lenin”. Il protagonista è un italiano arruolato dal Kgb. Alle domande dei giornalisti russi dopo l’uscita del volume, il manager ha risposto che la sua opera è ispirata a una storia vera: quella di un’ex spia, ridotta a fare il mendicante per strada. Ma lo stesso Fallico ha raccontato ai reporter moscoviti di aver conosciuto gente del calibro di Kim Philby e George Blake, due famosi agenti segreti doppiogiochisti al servizio del Kgb: «Li ho incontrati durante una visita a Bruno Pontecorvo», il celebre fisico nucleare che collaborava con Enrico Fermi e fuggì in Urss».

BOX 2:

Portascorie molto speciali
Contenitori doppiamente speciali. Perchè servono per trasportare combustibile nucleare. E perchè sono stati progettati su misura grazie ai soldi gestiti dal ministero di Scajola. Ed è quest’ultimo aspetto che incurisiosce, Tom Cochran, fisico che dirige la sezione nucleare del centro americano Natural Resources Defense Council (www.nrdc.org) ha dichiarato a L’espresso: «Suona strano che i russi abbiano bisogno di fondi per costruire nuovi contenitori. Il combustibile spento è stato trasportato in Russia come altrove per decenni, c’è una grande varietà di fornitori di contenitori sia per uso civile che militare».
Invece la progettazione sarà eseguita dalla russa Nikiet per 850mila euro, mentre a costruire i contenitori dovrebbe essere l’italiana Mangiarotti Nuclear di Udine (l’ex Camozzi) con una spesa di circa 10 milioni di euro.
Nikiet è uno dei più grandi centri di ingegneria nucleare della Russia: progettò i reattori di Chernobyl. Ed è finita in un’indagine americana per corruzione contro il ministro moscovita dell’Energia Adamov, lo stesso che firmò i primi accordi con l’Italia e con altre nazioni impegnate nel disinnescare l'arsenale sovietico. Adamov si servì di una serie di società per false fatturazioni a carico di Nikiet che gli permisero di dirottare gli aiuti internazionali sui suoi conti privati . Per questo i magistrati Usa ne hanno ordinato l'arresto con l’accusa di essersi impossessato di 9 milioni di dollari.