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L’ALTRA THYSSEN

Di Stefania Maurizi

Pubblicato su L’espresso, 15 giugno 2009

È una patina grigia, chiarissima, che si deposita ovunque: la noti accumulata ai margini della strada, ma soprattutto sulla chioma degli alberi, sui tetti delle case, sui cartelli stradali, nei giardini. Ovunque. In passato, raccontano, ne pioveva molta di più: in un giorno del 2002 tutto si ricoprì di bianco, come se all'improvviso fosse caduta la neve. Tutti sanno da dove viene quella polvere. Vola via dai recinti della Thyssen Krupp di Terni, il polmone d'acciaio del cuore verde d'Italia: nasce dalle montagne di scorie sfornate dalla fabbrica metallurgica più importante d'Italia. L'impianto di Torino, quello dove sette operai hanno trovato la morte tra le fiamme, è solo una filiale del colosso umbro. Qui la Thyssen è l'industria: dà lavoro a 5 mila persone, ne mantiene complessivamente 20 mila in una città che ne conta 112 mila, consuma da sola un quarto di tutta l'energia elettrica della regione. Inevitabile che tutta la vita del capoluogo ne sia condizionata, nel pubblico e nel privato.

Ma da due anni anche Terni si interroga sul suo rapporto con la 'fabbrica dei tedeschi'. Perché sul tavolo del procuratore capo Fausto Cardella, protagonista in passato delle indagini su Giulio Andreotti e sulle toghe sporche romane, si accumulano fascicoli di inchiesta sui pericoli ambientali che il gigante d'acciaio avrebbe provocato. Indagini sulle polveri che si disperdono sulle case del quartiere di Prisciano; sui rifiuti liquidi che finiscono nel fiume Nera, un affluente del Tevere che fino alla cittadina umbra appare aulico; sulla gestione della misteriosa discarica di Vocabolo Valle dove sono stati sepolti anche veleni che non dovevano trovarsi lì e dove il percolato sarebbe stato smaltito in impianti della Thyssen privi delle autorizzazioni. E sull'ultimo inquietante episodio: la scoperta di un laghetto sotterraneo denso di cromo esavalente, agente cancerogeno pericolosissimo in concentrazioni cento volte superiori al limite. Il tutto a pochi chilometri dalla cascata delle Marmore e dai suoi paesaggi incantevoli, incastonato nella regione delle colline verdi che generano ogni anno un miliardo di litri di acqua minerale.

Offensiva giudiziaria Al centro di queste indagini c'è sempre lo stesso personaggio: Daniele Moroni, il plenipotenziario italiano della Thyssen Krupp. È il top manager sotto processo a Torino per la strage degli operai: imputato di omicidio colposo, incendio colposo e di non avere preso le cautele contro gli infortuni sul lavoro. Secondo la procura piemontese, la casa madre tedesca dopo un rogo gravissimo che nel 2006 aveva colpito un impianto in Germania, aveva consigliato una serie di investimenti antincendio. Sarebbe stato Moroni, però, a omettere la pianificazione di quelle misure, che avrebbero potuto salvare gli operai torinesi. A Terni, Moroni, 61 anni, è considerato una potenza. Il processo di Torino e l'orrore per il rogo non hanno minato il suo prestigio. Tanto meno è accaduto con le indagini della Procura di Terni, che cercano di fare luce sulla situazione ambientale di una città dove, secondo la denuncia dell'ex presidente umbro del Wwf Sauro Presenzini davanti alla Commissione parlamentare dei rifiuti, si registrava un quinto di tumori e leucemie in più della media nazionale, dovuta proprio "all'altissima concentrazione di industrie inquinanti". Adesso i carabinieri del Nucleo tutela ecologica, la squadra specializzata della polizia provinciale, il nucleo investigativo della Forestale cercano di capire fino a che punto il territorio sia stato contaminato. Un'offensiva giudiziaria che non preoccupa l'azienda tedesca: "Ci risulta che solo alcune delle vicende sono confluite in fascicoli di indagine", replicano a 'L'espresso', "e pertanto doverosamente coperte dal relativo segreto. Rimane costume della nostra società non commentare le attività dell'autorità giudiziaria, vista la fiducia che la società stessa ha sempre riposto e ripone nella serenità di giudizio della magistratura".

La montagna delle scorie L'ultima inchiesta è un inno ai paradossi italiani. Il tracciato della Terni-Rieti, un'autostrada strategica per lo sviluppo dell'Italia centrale, viene fatto passare dentro la discarica di Vocabolo Valle che da trent'anni inghiotte ogni risma di rifiuti, urbani e industriali. Si progetta di attraversarla con un tunnel, scavato in mezzo alla montagna delle scorie che da dieci anni si è deciso di bonificare, invano. Quella che l'ex dirigente dell'Agenzia regionale per l'ambiente Filippo Emiliani ha descritto come "una situazione macroscopica", parlando di "questione delicata per la genesi della discarica inizialmente realizzata a norma di legge ma poi cresciuta un po' alla giornata e in verticale anche in virtù del fatto che operava in sinergia con la discarica delle acciaierie". E allora, perché non è stata fermata e ripulita? La risposta è nella stessa equazione che domina tutta la vita di Terni: la Thyssen è il lavoro. "Se la discarica di Terni dovesse chiudere, le acciaierie subirebbero un duro colpo sul piano economico". In questa discarica "alla giornata" si va a infilare la grande opera che deve creare un'alternativa all'autostrada del Sole, unendo Civitavecchia a Mestre via Orte. La Terni-Rieti viene proposta, come recita il sito dell'Anas, "da un raggruppamento di società composto dalla Gefip Holding": è la holding belga della famiglia di Vito Bonsignore, europarlamentare del Pdl, candidato in un collegio sicuro nelle elezioni della scorsa settimana e più volte coinvolto nelle inchieste giudiziarie sugli appalti più ricchi, da Mani pulite ai furbetti delle scalate bancarie. Il piano della nuova strada è di grande effetto scenico: uscendo dalle cascate delle Marmore ci si immetterà in un ponte in stile Calatrava, tra i boschi e le acque dell'Umbria. Il tutto però infilandosi in un'area dichiarata zona da bonificare. Come è stato possibile? L'ingegner Raffaele Spota dell'Anas spiega che tutte le autorizzazioni sono state concesse, mentre il ministero dell'Ambiente non ha risposto alle domande de 'L'espresso'. È proprio scavando l'imbocco sud della galleria che nello scorso aprile è spuntato 'il drago': una piscina colma di liquido verde brillante, quasi fantascientifico, lunga 30 metri, larga 15 e profonda più di tre. Millequattrocento metri cubi di veleno, come hanno dimostrato le analisi: acque dense di cromo esavalente, agente cancerogeno ad altissima pericolosità.
La concentrazione, dichiara Adriano Rossi dell'Arpa, arrivava "anche a 500 microgrammi al litro", mentre il limite massimo tollerato per le acque di falda è di soli 5 microgrammi: cento volte più alta del tetto imposto dalla legge. Immediato il blocco dell'opera e la necessità di una costosa variante per aggirare la collina avvelenata. La scoperta infatti ha spiazzato tutti: nessuno pensava che ci fossero veleni a quella profondità, perché i calcoli sulla struttura geologica erano sbagliati: "Noi ritenevamo che ci fossero le scorie e l'argilla che è notoriamente un grande isolante", spiega Rossi , "e solo sotto, a cento metri, l'acqua della falda. Invece non era vero". Dunque le perizie idrogeologiche erano sbagliate o, addirittura, false? Ci sono altre falde d'acqua meno profonde che non si conoscevano prima e che potrebbero essere state contaminate? Su questa vicenda stanno indagando i carabinieri del Noe di Perugia e i magistrati ternani, che stanno valutando gli esiti della perizia di Alessandro Iacucci, il consulente che ha indagato sullo scandalo di rifiuti in Campania.

Tempesta di polveri Delle conclusioni del perito non filtra nulla e tutti conoscono la posta in gioco: quella discarica è vitale per le operazioni della Thyssen Krupp. L'unica cosa certa è che, se prima il cromo esavalente era stato trovato all'imbocco sud della galleria Tescino, ora è spuntato in quello nord, nella zona di Prisciano, un quartiere di poco meno di mille abitanti, schiacciato tra l'acciaieria e la nuova superstrada. Da 15 anni a Prisciano si lotta contro le polveri che si liberano dalle lavorazioni dell'acciaio, moltiplicando esposti sui problemi respiratori dei residenti. Dopo un decennio di proteste, l'azienda ha provveduto a coprire il deposito delle scorie per limitare la tempesta di sabbia chimica. Il problema è ridimensionato, ma tutt'altro che risolto. La centralina di rilevamento del polveri sottili (PM10) di Prisciano supera sistematicamente i limiti fissati dalla legge: nel 2007 si sono registrati ben 123 sforamenti e lo scorso anno 93. "Un dato allarmante, indicatore del fatto che c'è un grosso problema", conferma a 'L'espresso' Valerio Gennaro, epidemiologo dell'Istituto per la ricerca sul cancro di Genova e consulente in inchieste di primo piano, dal caso delle acciaierie di Cornigliano all'uranio impoverito. La neve grigia di Prisciano adesso è oggetto di un processo contro Bruno Franco, responsabile della Ilserv, la società partecipata dalla Thyssen che tratta polveri e fanghi risultanti dalla produzione metallurgica. Agli atti c'è la perizia dell'università di Ancona, che definisce quelle polveri "potenzialmente patogene per la salute dell'uomo". Ma per Gennaro, se dopo tanti anni siamo ancora al "potenzialmente patogene" e non ci sono certezze sugli effetti, è perché si deve fare di più: "Bisogna incoraggiare questa gente a fare studi approfonditi, confrontando sistematicamente la popolazione esposta alle polveri con quella non esposta e, soprattutto, studiando tutte le malattie".

Investimenti ambientali Anche in questo caso la Thyssen spiega la sua posizione: "Dal marzo 2008 opera il 'tavolo ambientale', che coinvolge la Regione, la Provincia e il Comune, nonché l'Arpa e la stessa nostra società; ha come obiettivi il controllo, il monitoraggio e conseguentemente l'adozione, se necessaria, di azioni per il miglioramento dell'ambiente. Sottolineiamo che la Thyssen Krupp Acciai Speciali Terni soltanto nell'ultimo triennio ha investito sull'ambiente oltre 35 milioni di euro, sostenendo comunque su base annua, in tutti i siti italiani, costi pari a 30 milioni per la gestione degli impianti ecologici e di tutela ambientale". Ma a Terni il drago verde e cancerogeno spuntato dal cantiere dimostra che mancano informazioni attendibili. Dove finisce quel fiotto verde trovato nelle falde ? "La falda può andare al massimo giù al fiume, lì c'è il Nera", ha dichiarato a 'L'espresso' l'ingegnere Rossi dell'Arpa. Dunque entra nel Nera e di lì dritto nel Tevere, verso Roma? Tutti gli atti delle inchieste sono sul tavolo del procuratore Cardella. Prima di formalizzare le contestazioni, il pm attende le perizie. Lunghe e spesso controverse, come accade sempre in questi casi. Intanto però la polvere grigia continua a cadere e la collina dei veleni continua a covare altri draghi, in attesa che si decida di trovare i fondi per bonificarla.