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CHI È IL CAPO DEGLI ISPETTORI ATOMICI E PERCHÉ TUTTI VOGLIONO LIBERARSI DI LUI

Di Stefania Maurizi

Pubblicato su Il Venerdì della Repubblica, 14 Dicembre 2007

Un irresponsabile. Il niente trasformato in dirigente. Una minaccia alla pace mondiale. Queste sono solo poche gocce del fiume di veleno riversato nelle ultime settimane su Mohamed ElBaradei, il capo dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica dell’ONU (AIEA), che da quattro anni lotta con le unghie e con i denti per una soluzione diplomatica della gravissima crisi internazionale innescata dal nucleare iraniano. Baradei ha vinto. E i falchi americani, per ora, sono al tappeto. Non ci sarà il tanto temuto attacco contro l’Iran, capace di sprofondarci in una nuova guerra atroce. O perlomeno non ci sarà a breve. In un rapporto appena rilasciato e che ha fatto il giro del mondo, infatti, l’intelligence americana ha concluso che il programma nucleare di Teheran non costituisce una minaccia immediata: l’Iran ha sì un importante programma, ma ha sospeso nel 2003 tutte le attività militari che avrebbero potuto portarlo all’atomica e, ammesso che voglia dotarsi di armi nucleari, non riuscirà a farlo prima del 2010-2015. Dunque, Baradei aveva ragione: c’è tutto il tempo per la diplomazia. Ed è lui il protagonista di questa crisi esplosiva: Baradei, la sua volontà testarda, i suoi fantasmi e il suo Ego. Gli americani lo odiano da sempre. Israele ne ha chiesto la testa pochi giorni fa. Ma lui non si piega. Esterna, bolla come ‘matto’ chi invoca l’uso della forza, usa in modo accorto i grandi media internazionali e infine porta gli ayatollah a ingoiare il rospo della collaborazione con l’odiata Agenzia. Ma chi è ElBaradei? Il Venerdì ha cercato risposte in quegli ambienti diplomatici che lo conoscono da vicino e che hanno accettato di tracciarne un profilo a condizione dell’anonimato.

“Baradei è molto intelligente”, racconta un analista internazionale che ha collaborato con lui, “E’ gentile, molto rigoroso e onesto. Con l’Iran sta facendo un buon lavoro, ma gli americani gliela stanno facendo pagare. In Corea del Nord, per esempio, sono gli americani che smantellano il programma nucleare, non gli ispettori AIEA, ridotti a guardare. Fanno così perché vogliono umiliarlo”. Mai e poi mai Bush e i suoi avrebbero voluto ritrovarselo tra i piedi, nel 2005, per il terzo mandato consecutivo all’Agenzia. Gliela avevano giurata dopo che, nel 2003, l’AIEA non aveva avallato la bufala delle armi di distruzione di massa, usata per giustificare la guerra contro l’Iraq. L’ordine di scuderia era di troncare le gambe a ElBaradei. “E invece”, racconta la fonte, “furono così inetti da non riuscire a trovare neppure un’alternativa”. Se a Washington l’Agenzia non è amata, anche a Teheran non si registrano fans, perché comunque il ruolo degli ispettori è quello di controllare, denunciare e, quando necessario, come nel caso dell’Iran, aprire la strada alle sanzioni ONU. E così, per gli iraniani l’AIEA è “un covo di spie”, per i coreani è meglio trattare direttamente con gli americani, piuttosto che con gli ispettori e anche per gli iracheni l’Agenzia è stata una vera e propria bestia nera. Chi scrive ha avuto l’occasione di incontrare l’enigmatico Jafar Dhia Jafar: il capo del programma nucleare di Saddam, scappato in modo rocambolesco da Bagdad nell’aprile del 2003, proprio il giorno prima che arrivassero in città gli americani. Era il novembre del 2005, quando abbiamo incontrato Jafar per la prima volta: Baradei e l’AIEA avevano appena vinto il Nobel per la Pace, un premio che gli oppositori della guerra contro l’Iraq avevano salutato come “un calcio sugli stinchi a Bush”, proprio perché l’Agenzia non si era piegata ai falchi americani. Jafar, però, non la pensava così. “Sono molto sorpreso del Nobel per la pace all’AIEA”, ci disse prima di salire su un taxi che lo avrebbe riportato chissà dove, “Sono morte così tante persone innocenti in Iraq: hanno le mani lorde di sangue”. Se Baradei ha vinto il Nobel per la pace, è evidente che chi lo assegna ha un’opinione completamente diversa da quella di Jafar sul lavoro dell’AIEA. Una cosa, però, è certa: Baradei sta gestendo il caso Iran in modo molto diverso da come gestì l’Iraq. E il suo attivismo diplomatico in questa crisi iraniana non ha precedenti. “E’ uscito dal suo ruolo tecnico”, racconta chi lo conosce bene, spiegando che, con l’Iraq, Baradei aveva sì mantenuto la schiena dritta, ma si era limitato al suo ruolo di tecnico: niente di più, niente di meno. Con l’Iran, invece, “si è messo a cercare in tutti i modi una soluzione diplomatica”. Perché? Il fantasma dell’Iraq lo turba? “Ovviamente”, raccontano. “Ogni mattina mi sveglio e vedo morire 100 iracheni, civili innocenti”, ha dichiarato Baradei alla BBC. C’è qualcosa che ElBaradei poteva fare per l’Iraq e che non ha fatto?

L’unica certezza è che, qualunque cosa faccia, il veleno scorre a fiumi. Si limita al ruolo tecnico? Ha le mani insanguinate. Sconfina nel ruolo diplomatico per scongiurare una nuova guerra? E’ nemico di Israele, è il migliore amico di Ahmadinejad, ergo è un pericolo per la pace nel mondo. Anche il Nobel non gli ha attirato simpatie. Sicuramente gli ha dato una nuova consapevolezza: “Io ho delle responsabilità che possono fare la differenza tra la guerra e la pace”, ha dichiarato recentemente all’International Herald Tribune in un’accorata intervista, in cui parla della disperazione di milioni di poveracci, che guardano ai tagliatori di teste o all’atomica come la panacea a tutti i propri mali. Ma con la visibilità e il prestigio del premio, sono arrivate puntuali anche le invidie. “Ormai”, raccontano, “Baradei incontra i potenti della Terra, viene intervistato dai più grandi network dell’informazione: è tutto profondamente cambiato rispetto a quando l’AIEA era una delle tante agenzie ONU, sconosciuta al mondo. Oggi, ElBaradei è molto di più del Segretario Generale dell’ONU e questo crea mugugni perfino dentro all’AIEA, dove tra l’altro lui non si occupa più di questioni spicciole”. Ma almeno nell’Agenzia, la sua posizione sull’Iran è condivisa?”, chiediamo. “Sì, nessuno dei tecnici che lavorano materialmente sul campo pensa che la soluzione alla crisi iraniana sia la guerra”. Comunque, le preoccupazioni per il programma di Teheran ci sono eccome. Né Baradei le ha mai negate. Adesso che gli iraniani hanno acquisito la piena capacità di costruire centrifughe, potrebbero nascondere un impianto di arricchimento dell’uranio in un unico capannone industriale: basta piazzarlo in un’area servita da una rete elettrica abbastanza potente. “E stanare un impianto del genere non è uno scherzo”, racconta l’analista. Ce la farà ElBaradei a risolvere una volta per tutte la crisi iraniana? Oppure il bagno di sangue è solo rinviato? Lui è a fine corsa: nel 2009 anche il terzo mandato scadrà. Non ce ne sarà un quarto. E difficilmente ci sarà un altro ElBaradei.