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I SEGRETI BOMBA DEGLI ISPETTORI CHE INDAGANO IN IRAN

Di Stefania Maurizi

Pubblicato su Il Venerdì de La Repubblica, 4 maggio 2007

VIENNA. «Siamo tenuti a rispettare una non-disclosure policy, che non permette di rivelare i dettagli del nostro lavoro», dice un ispettore che non possiamo identificare. Esiste da cinquant'anni e da sempre i suoi membri maneggiano faccende esplosive. L'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea) compie quest'anno il suo primo mezzo secolo. Mezzo secolo di successi e riconoscimenti internazionali, come il Nobel per la Pace 2005, ma anche di prove difficili: l'Iran, che continua il suo programma nucleare nonostante le sanzioni; l'Iraq, sprofondato in una guerra feroce scatenata dall'atomica di Saddam mai esistita; la Corea del Nord che la bomba se l'è costruita eccome, e infine i cinque big del club nucleare: Stati Uniti, Russia, Cina, Inghilterra e Francia, che predicano bene la non proliferazione, ma razzolano male, tenendosi stretti gli ordigni. L'impresa dell'Agenzia, non solo per questo, è complessa: il Department of Safeguards ha un budget di 130 milioni di dollari all'anno, un bilancio dell'ordine di quello dei pompieri della città di Helsinki. Con questo budget deve garantire ispezioni a 925 impianti nucleari in 72 Paesi del mondo.

Da sempre la missione dell'Agenzia è garantire l'uso pacifico dell'energia nucleare, una missione che svolge a tutto campo, applicando le tecnologie nucleari a programmi di ogni tipo: dalle terapie anticancro per il Nicaragua, alla protezione delle fonti idriche del Bangladesh dall'arsenico. E tuttavia, la sezione dell'Aiea che svolge il lavoro più delicato è appunto il Department of Safeguards, quello da cui dipendono gli ispettori che vigilano sul programma nucleare dell'Iran e, più in generale, sui programmi di tutti i paesi membri dell'Agenzia. Ma come funzionano le ispezioni? E che strumenti hanno a disposizione gli ispettori per verificare se effettivamente un Paese punti alla produzione di energia e non di armi nucleari?

«L'Agenzia non ha una propria intelligence» racconta l'ispettore, spiegando che a volte Aiea accetta intelligence dagli Stati membri, ma ovviamente tenendo conto del fatto che ciascun Paese ha una precisa agenda. «Aiea acquisisce informazioni in molti modi» continua «per esempio attraverso le open sources: giornali, riviste, ma soprattutto le pubblicazioni scientifiche, che permettono di capire che tipo di ricerca si fa in un Paese. Abbiamo dei software speciali che filtrano tutti i documenti che contengono certe parole». I satelliti, poi, sono insostituibili. «L'Agenzia ha contratti con dieci società commerciali che forniscono immagini satellitari» racconta un altro ispettore «e le immagini acquistate vengono passate al setaccio dai nostri analisti».

Siti nucleari, reattori, scavi sospetti che tradiscono la presenza di tunnel scavati nelle viscere della terra, per nascondere chissà quali impianti: niente sembrerebbe poter sfuggire all'occhio implacabile dei satelliti. E invece no: le centrifughe per l'arricchimento dell'uranio riescono a ingannarlo. Piccole, delicate da maneggiare, possono essere nascoste in edifici ordinari e apparentemente innocui. Anche per questo piacciono al regimi che puntano alla bomba.

Non c'è nessun indizio che possa tradire un impianto nascosto di centrifughe? «Ci sono emissioni elettriche che possono indicarne la presenza, ma per rilevarle bisogna avere la fortuna di trovarsi vicino agli edifìci in cui si trovano le centrifughe». Un problema non da poco, perché gli ispettori non possono girare liberamente per il Paese ispezionato e controllare tutti gli edifici alla ricerca di impianti nascosti: devono operare secondo protocolli rigidi, codificati dalle leggi internazionali e concordati con lo Stato in questione. Lo sanno bene i team Aiea che si sono occupati dell'Iraq: i protocolli che avevano regolato le ispezioni per tutti gli anni 80 erano così blandi che Saddam Hussein riuscì a mettere in piedi un enorme programma nucleare clandestino facendola sotto il naso a tutti, dichiarando all'Agenzia solo gli impianti innocui e nascondendo abilmente tutti quelli militari. È vero, il programma del Raìs non arrivò mai alla bomba, ma ci era andato vicino e fu solo dopo la prima guerra del Golfo, quando le ispezioni si fecero estremamente invasive, che lo «scherzetto» di Saddam emerse in tutta la sua gravita e la debolezza del regime ispettivo pure.

La lezione è servita: Aiea può contare ormai da dieci anni sul cosiddetto Additional Protocol, un protocollo molto efficace che le garantisce ampi poteri ispettivi, ma che purtroppo, ad oggi, è stato sottoscritto da appena 78 Paesi sui 189 che aderiscono al Trattato di non proliferazione. L'Iran inizialmente l'aveva accettato, poi, un anno fa ha detto addio all'Additional Protocol. Dunque, attualmente le ispezioni in Iran si svolgono con le stesse regole blande usate nell'Iraq di Saddam?. «No» risponde uno degli ispettori. «Non siamo di certo nella posizione in cui eravamo con l'Iraq per due buoni motivi: possiamo raccogliere campioni ambientali e contare sulle immagini satellitari».

È proprio grazie a un campione ambientale che, nel 2003, l'Aiea scoprì tracce di uranio altamente arricchito su alcune centrifughe iraniane, un materiale che non avrebbe dovuto esserci: come c'era finito? Ad oggi rimane un mistero. L'Agenzia stanò quelle tracce con una banale spugnetta di garza che, strofinata sulle centrifughe, raccoglie le particelle presenti sulla superficie. Se tra quelle particelle c'è il tipo di uranio che serve per la bomba, le analisi di laboratorio non se lo lasceranno sfuggire.

È così che anche la Cia incastrò i russi, come racconta uno dei grandi esperti di intelligence americana, Jeffrey Richelson. Nel suo libro Spying on the Bomb, Richelson rivela che negli anni ‘50 gli Stati Uniti sospettavano la Russia di avere un centro segreto di arricchimento dell'uranio vicino alla città di Tomsk. Brancolarono nel buio per un po', alla ricerca di dati oggettivi, finché la Cia non riuscì a mettere le mani sul cappello di pelliccia di un povero diavolo, recluso in un campo di lavoro a qualche miglio da Tomsk. Portarono il cappello in laboratorio e sulla pelliccia esterna trovarono le particelle di uranio arricchito che stavano cercando. Ne investigarono il tipo e stabilirono che quell'uranio non era riconducibile al fallout di qualche esperimento nucleare.

Satelliti e campioni ambientali, dunque, sono decisivi, ma purtroppo non bastano: «Se in Iran potessimo condurre le ispezioni secondo l'Additional Protocol» dice uno dei due ispettori «il nostro lavoro sarebbe molto più efficace». È quello che l'Aiea ha ribadito anche nel suo ultimo rapporto sull'Iran del 22 febbraio, In cui conclude: «L'Agenzia è In grado di appurare che non c'è stata alcuna diversione del materiale nucleare dichiarato. [... ] Tuttavia, non è in grado di verifìcare se esistono attività e materiali non dichiarati».

Una cooperazione totale con l'Aiea e la ripresa delle ispezioni con l'Additional Protocol fugherebbero ogni dubbio sul programma iraniano, ma Teheran non ne vuol sapere. Perché? «Evidentemente nasconde un programma parallelo che punta alla bomba», tagliano corto i falchi. «Nessun programma parallelo» replicano i più morbidi, «l'Iran teme che, garantendo un accesso praticamente illimitato agli ispettori, com'è quello dell'Additional Protocol, Bush ne approfitterebbe, ricavandone intelligence contro il regime che vuole rovesciare, com'è già successo con l'Iraq». Il braccio di ferro nucleare va avanti ormai da quattro anni e s'inasprisce sempre di più. Come finirà? Da Vienna nessun commento: il file Iran è semplicemente too sensitive.