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COSSIGA TOP SECRET

Le operazioni coperte dell’intelligence. E l'intervento Usa per uscire dallo scandalo Eni-Petromin. Tra summit e un dossier segreto

Di Gianluca Di Feo e Stefania Maurizi

Pubblicato su L’espresso, 2 ottobre 2008


Punto primo: le operazioni coperte della Cia e il rischio che ci siano fughe di notizie. Punto secondo: l’aiuto americano al governo italiano per uscire dalla bufera dello scandalo Eni-Petromin. Due argomenti sorprendenti che segnano solo l’inizio di un summit chiave per la storia d’Italia. E aprono uno spiraglio sul mistero della grande tangente petrolifera che alla fine degli anni Settanta rischiò di far saltare i fragili equilibri politici nati all’indomani della morte di Aldo Moro. “L’espresso” è riuscito a ottenere copia di alcuni files provenienti dagli archivi del Dipartimento di Stato di Washington, protetti finora dal segreto. Si tratta del carteggio sul vertice tenuto il 24 gennaio 1980 tra l’allora premier Francesco Cossiga e il numero uno della diplomazia statunitense Cyrus Vance. Siamo in un momento critico: la rivoluzione islamica a Teheran ha aperto la crisi degli ostaggi, i sovietici hanno invaso l’Afghanistan, Nato e Patto di Varsavia sono ai ferri corri sui missili nucleari in Europa. La posizione italiana è determinante, scrivono gli americani, e soprattutto il ruolo che può giocare Cossiga, che guida però una coalizione molto fragile. “Nonostante una larga maggioranza politica, uno scandalo di tangenti petrolifere ha aperto una battaglia nella leadership del Psi”, scrive l’ambasciatore a Roma Richard Gardner nel dicembre 1979. Gardner teme che il Pci intenda sfruttare la maximazzetta tra per logorare il governo “con una serie di sconfitte umilianti in Parlamento che possono portare la situazione fuori controllo”. E’ una vicenda ormai leggendaria. L’Eni firma un contratto con l'ente saudita per circa 100 milioni di barili di greggio. Ma questa intesa fa piovere anche bustarelle: decine di miliardi di lire,che si ritiene furono divise tra i partiti della maggioranza e i referenti arabi. Agli occhi degli Usa la questione è doppiamente destabilizzante. Oltre al danno politico, c’è un problema concreto. Riferisce sempre l’ambasciatore: “Sulla scia dello scandalo dei pagamenti illeciti che sarebbero andati ai politici italiani, i sauditi la scorsa settimana hanno cancellato il contratto che doveva coprire quasi il 5 per cento del fabbisogno energetico italiano. Il governo di Roma ci potrebbe chiedere di usare la nostra influenza su Riyad per ripristinare le forniture e potrebbe legarlo al sostegno sull’Iran”. Lo scenario è chiaro: esiste il rischio che la bufera permetta al Pci di creare un governo di solidarietà nazionale. E Gardner ricorda la linea decisa alla vigilia dell’intesa raggiunta da Moro con Enrico Berlinguer. nelle settimane precedenti il sequestro: “Noi non attenuiamo la posizione del 12 gennaio 1978 che ci oppone all’ingresso dei comunisti nell'esecutivo di un paese della Nato”.

Con queste premesse si arriva alla visita di Cossiga negli Usa. E al vertice con Vance riportato nel dossier finora segreto. Un incontro che si apre discutendo di spionaggio. “Il segretario di Stato ha detto che diverse leggi hanno limitato le operazioni di intelligence e le attività coperte. Stiamo rivedendo tutte le regole per prendere atto delle nostre necessità e il presidente Carter mi ha detto l’altra notte che le porterà al Congresso. Uno dei problemi è che l’attuale procedura... rende le fughe di notizie molto più probabili. Ma in molti anni abbiamo avuto un’unica fuga di notizie, quindi questo rischio potrebbe essere esagerato”. A cosa si riferiscono? Una discussione accademica con un appassionato di 007come Cossiga? O c’è il timore che possano trapelare informazioni su un’azione coperta che riguarda l’Italia? L’ipotesi Gladio, operazione decisa e gestita in ambito Nato e non americano, sembra da escludere. E diventa ovvio pensare a qualche vicenda legata alla lotta al terrorismo, italiano e internazionale. Ma il premier democristiano cambia argomento. “Cossiga ringrazia Vance per l’intervento sui sauditi La situazione era molto complicata e delicata. Un serio problema interno sia per l’Italia, sia per i sauditi. Gli italiani sono stati molto attenti nel trattarlo per non indebolire il governo saudita e far nascere sospetti su di loro in altre nazioni. Cossiga dice di non avere risposto né alle domande del Parlamento, né a quelle della magistratura non per proteggetegli italiani ma per prevenire speculazioni sui sauditi". E il presidente del Consiglio pone sul tavolo un episodio appena accaduto: la rivolta islamica alla Mecca con il tentativo di abbattere la dinastia di Riyad (vedi box). “Ci siamo preoccupati per le informazioni con cui alcuni paesi volevano danneggiare i sauditi. Prima dell’attacco alla Mecca, le radio di molti paesi arabi hanno criticato il governo Saudita per il contratto petrolifero italiano”. Cossiga quindi chiede il massimo sostegno non solo per aiutare l’Italia ma anche per evitare guai ai sauditi da potenze esterne. E Vance replica: “Abbiamo parlato con Yamani (il ministro saudita del petrolio): se il problema potrà essere eliminato, loro sono pronti a firmare un nuovo contratto”. Dalle parole degli americani, la tangente sembra più un affare italiano che saudita. Anche l’ambasciatore Gardner insiste: “I sauditi vogliono che prima venga messo a tacere lo scandalo, poi riprenderanno i rapporti con l’Italia”. Cossiga riferisce di poter chiudere la questione “entro un mese". Promessa mantenuta: Eni-Petromin è rimasto un mistero. Il summit prosegue con argomenti strategici. Dalle forniture nucleari italiane ai paesi arabi ai rapporti con la Libia. Ma a un certo punto Cossiga sottopone una questione che -sta a cuore al suo collegio elettorale: “il Pecchorino", come recita testualmente il documento. Sì, il pecorino |sardo: “Quello esportato negli Usa è sottoposto a un dazio del 9 per cento, mentre| ; il formaggio bulgaro e romeno pagano di meno. Che deve fare l'Italia: aderire al patto di Varsavia per ottenere un trattamento | migliore.sul formaggio?”. E poi tornano a discutere di trame planetarie.

La rivolta che creò Al Qaeda

E’ l’episodio meno noto nella storia dell’islamismo radicale. La rivolta che nel 1979 permise a un gruppo estremista di impossessarsi della Mecca e minacciare il regno saudita filo occidentale. Adesso Newton Compton pubblica in Italia il primo saggio che fa piena luce sulla vicenda, citata da Cossiga nel summit sullo scandalo Eni-Petromin. “L’assalto della Mecca” è stato scritto da Yaroslav Trofimov. reporter del “Wall Street Journal” specializzato in Medio Oriente. E cita un solo nome italiano: Cossiga appunto, primo a complimentarsi con i reali per la fine dell’insurrezione. “Quella fu la fiamma da cui è nata Al Qaeda”, spiega Trofimov, “Per la prima volta le due componenti ideologiche del movimento - quella dei Wahhabiti sauditi e quella dei Fratelli musulmani egiziani -si unirono per un’azione armata. Fu il primo atto che impressionò una nuova generazione di seguaci della Jihad come Osama Bin Laden e Ayman Zawahri che si ispirarono a quei ribelli e furono colpiti dalla violenza con cui lo stato saudita represse la rivolta nella città santa con l’aiuto degli infedeli”. Ma un raid simile potrebbe accadere anche oggi? “I santuari della Mecca sono protetti molto meglio: perdere il controllo della Grande Moschea sarebbe fatale per la famiglia reale. Quello che sta accadendo ora in Arabia Saudita è una fase di quiete nell’attività estremistica, in parte perché i proventi del petrolio permettono al regno di sedare il malcontento con il denaro, in parte perché l’attuale sovrano, Abdullari, è veramente popolare; viene considerato devoto e onesto. Ma ha 84 anni e i suoi possibili successori non godono della stessa fama”. La lezione della rivolta del 1979? “È una sola: in Arabia Saudita aspettatevi l’inatteso-.