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ARMI: QUESTO È IL PIÙ GRANDE TRAFFICANTE DEL MONDO. È STATO ARRESTATO, MA PRESTO SARÀ LIBERO

Di Stefania Maurizi

Pubblicato su Il Venerdì di Repubblica, 13 giugno 2008

Charles Taylor lo pagava con diamanti e puttane dalla bellezza mozzafiato. Le Farc con la coca. Il nemico giurato dei Talibani, Ahmad Shah Massoud, con smeraldi e battute di caccia sulle maestose montagne del Pamir. Ma ora la festa è finita per Viktor Bout. Il signore della guerra, il più grande trafficante di armi al mondo, che ha ispirato il bel film con Nicolas Cage, Lord of War, è stato arrestato nel marzo scorso in Tailandia. Ha le mani lorde di sangue. Liberia, Angola, Somalia, Ruanda, Sierra Leone, Congo, Afghanistan, America Latina. Viktor Bout ha armato ribelli e sanguinari di ogni razza. E’ con le sue armi che dittatori feroci, come il liberiano Charles Taylor, hanno massacrato, mutilato e stuprato. E’ con i suoi kalashnikov che i bambini soldato del RUF, imbottiti di coca e anfetamine, hanno compiuto atrocità indicibili. Ma Bout non marcirà nell’inferno delle carceri della Tailandia. Probabilmente, qualche ‘manina’ troverà il modo di aprire la porta di quella cella e un vero processo non si farà mai. Non conviene a nessuno che il signore della guerra parli.

Russo, 41 anni e 5 passaporti, Viktor Bout è un uomo dal passato completamente oscuro. I primi ritratti nitidi e accessibili al grande pubblico risalgono solo al 2001: scorrazzava per il mondo già da dieci anni, Ong e spie documentavano da tempo i suoi traffici di morte, ma Bout fuggiva i fotografi come il diavolo in persona. Nelle acque torbide del suo passato pare ci sia l’intelligence russa. E’ in quel mondo che avrebbe mosso i primi passi, complice un talento innato per le lingue: ne parlerebbe una decina, tra cui xhosa e zulu. Il crollo dell’impero sovietico fu la sua fortuna. “Si mosse subito”, racconta al Venerdì Douglas Farah, autore con Stephen Braun, del libro dal titolo “Merchant of Death” (“Mercante di morte”, John Wiley & Sons, 2007), “mentre gli altri se ne stavano seduti a cercare di capire cosa sarebbe successo, Bout agiva”. Mise le mani su dei vecchi Antonov e Ilyushin, aerei decrepiti, ma perfetti per i suoi affari: potevano atterrare sui terreni più scassati del pianeta. Entrature giuste e fiumi di denaro gli aprirono le porte degli enormi arsenali russi, in balia di ufficiali abbandonati a se stessi da un paese al collasso. Vendeva a tutti, Viktor Bout. “Mi sono imbattuto nei suoi traffici per la prima volta in Angola nel ’96”, ci conferma Alex Vines, che guida il programma sull’Africa della prestigiosa Chatham House di Londra, “in Angola, Bout vendeva a entrambe le fazioni in guerra. Quello che contava per lui erano i soldi”. Ha fatto affari con i talibani e con i loro nemici giurati dell’Alleanza del Nord. I suoi aerei hanno trasportato le armi per gli Hutu, che scatenarono il genocidio in Ruanda, ma anche le truppe francesi inviate nel paese per fermare il massacro. In Afghanistan, in Medio Oriente, ovunque, Bout si è regolato così: senza preclusioni o appartenenze ideologiche. Rischiava, certo. Solo per la sicurezza della sua villa in Sud Africa, negli anni ’90, spendeva 12mila dollari al giorno! Eppure ha ancora la testa attaccata al collo. Perché? “Quando il mio collega e io lavoravamo al libro”, racconta Douglas Farah, “abbiamo intervistato tanti in Angola, Congo: sapevano benissimo che Bout aveva armato anche i loro nemici, ma volevano le sue armi e ci hanno sempre detto che nessuno spara al postino”. Niente fermava il mercante di morte, niente potevano embarghi e sanzioni: da sempre hanno maglie così larghe che basta corrompere, procurarsi certificati falsi, creare aziende di copertura, vendere attraverso triangolazioni e prestanome dalla reputazione immacolata e il gioco è fatto. Bout ci sapeva fare. “Piaceva molto per la sua efficienza e la determinazione nel rispettare gli impegni presi”, continua Farah. Ma basta l’efficienza per spiegare 15 anni di successi e impunità assoluta? Farah è convinto di no: senza il supporto dell’intelligence russa, il signore della guerra non avrebbe potuto fare quello che ha fatto. “Per tante ragioni”, ci spiega, elencando i fatti che dimostrerebbero questo legame: la Russia sta facendo il diavolo a quattro per ottenerne l’estradizione dalla Tailandia, non ha mai collaborato, ha rifiutato di farlo interrogare dai belgi, infine, c’è un collegamento tra Bout e l’azienda russa Isotrex, legata a uomini di altissimo livello dell’establishment militare russo. “Credo che ormai la Isotrex abbia fatto sparire certe informazioni dal suo sito”, dice, “a suo tempo, però, c’erano”.

Ma non è solo Mosca a temere le rivelazioni del signore della guerra. Viktor Bout ha fatto affari con tanti, troppi. Anche con l’America di Bush. Subito dopo l’11 settembre, uomini della sua rete si sarebbero offerti di fornire informazioni su Al Qaeda all’intelligence americana, dopo che per anni i suoi aerei erano stati usati come taxi dagli uomini di Bin Laden. E Bout era di casa in Afghanistan, aveva volato nelle aree più sperdute del paese, aveva mappe aggiornate e una flotta capace di operazioni a rischio nelle aree del mondo più difficili. Era prezioso in Afghanistan, come a Baghdad: per 4 anni, dal 2003 al gennaio del 2007, Bout ha rifornito le truppe USA in Iraq, anche se gli americani sapevano benissimo chi era e lo stesso Bush aveva approvato sanzioni contro di lui. “Sapeva fare il suo lavoro”, racconta Farah, “forniva servizi a prezzi bassi. Probabilmente, però, c’era anche qualcuno che proteggeva dall’interno [i suoi affari in Iraq, ndr]. Ma non sapremo mai chi è”.

Se il signore della guerra si fosse accontentato di insanguinare solo l’Africa, probabilmente, l’avrebbe fatta franca. Da sempre, tragedie di ogni tipo devastano il continente nero nell’indifferenza assoluta del mondo. Ma Bout ha armato le Farc, Hezbollah e le corti islamiche della Somalia nel 2006. Questi clienti, secondo Douglas Farah e Alex Vines, hanno fatto la differenza. Il 6 marzo scorso, gli agenti americani della DEA hanno arrestato Viktor Bout in Tailandia, nel corso di un’operazione sotto copertura di cui si sa veramente poco. Contro di lui ci sono registrazioni video e audio, intercettazioni e testimoni che vivono sotto protezione. Serve solo la volontà di processarlo e ingabbiarlo per sempre. “Farebbe la differenza?”, chiediamo a Farah, “oppure Bout è stato rimpiazzato da un altro mercante di morte il giorno stesso del suo arresto?” “Le condizioni che hanno favorito i suoi successi sono molto difficili da replicare”, risponde, “oggi non si può camminare per gli arsenali sovietici e portar via quello che si vuole, le guerre in Africa sono diverse e Bout era veramente veloce. Ci sono altri mercanti, ma il suo arresto renderà certi traffici decisamente meno efficienti”. “Si arriverà mai a un processo?”, chiediamo infine a Douglas Farah. “Credo sia molto più probabile che finisca in Russia”, conclude, “i russi ci stanno lavorando con tutte le proprie forze, offrendo alla Tailandia ogni sorta di affare in cambio di Bout. Lo porterebbero a Mosca e lo processerebbero per evasione fiscale. Un gravissimo crimine, eh?”