Home page Articoli e reportage

BOMBA: PER FABBRICARE QUELLA SPORCA BASTA ROVISTARE TRA I RIFIUTI

Di Stefania Maurizi

Pubblicato su Il Venerdì di Repubblica, 11 aprile 2008

Una recuperata a Ferrara a gennaio, un’altra fusa da un’acciaieria veneta nell’ottobre del 2007, due sequestrate a Catania a settembre. Sono le sorgenti radioattive usate per scopi industriali e sanitari, che ogni anno finiscono abbandonate per strada, rubate, dimenticate in cliniche ospedaliere in stato di degrado o buttate tra i rottami metallici destinati alle acciaierie e alle fonderie. Macchine per la cobaltoterapia contro il cancro, sterilizzatori per il sangue, strumenti per il monitoraggio delle falde acquifere, dei pozzi petroliferi e dei gasdotti. Funzionano tutti grazie a una sorgente radioattiva: un filamento, in alcuni casi, una “pasticca”, in altri, di metallo tipo il cobalto-60 o l’iridio-192 o anche di una polvere simile al talco, ma che è il famigerato cesio-137. Sono un pericolo per chi finisce esposto alle loro radiazioni, tipo gli operai delle acciaierie che fondono accidentalmente quelle buttate tra i rottami, contaminando se stessi, gli impianti e i metalli che lavorano - è di questi giorni la notizia del sequestro di un grosso carico di acciaio radioattivo di provenienza cinese - ma soprattutto sono una minaccia per la sicurezza di tutti: alcune di queste sorgenti sono il materiale ideale per costruire la bomba sporca.

Non si parlava d’altro, dopo l’11 settembre. Il mondo era sprofondato nella paranoia dell’antrace e della bomba sporca. La paranoia è passata, ma la preoccupazione rimane: a gennaio il Los Angeles Times ha rivelato che, negli USA, ogni 3 giorni un team d’élite “passa allo scanner” le strade delle grandi città americane alla ricerca di ordigni nucleari e di bombe sporche, muovendosi in modo da non dare nell’occhio. Sono superequipaggiati e addestrati, sono i tecnici del gruppo di emergenza della National Nuclear Security Administration (NNSA), che lavora nella riservatezza più assoluta. L’America, dunque, si è attrezzata. Ma quanto è complicato per un profano costruire una bomba sporca? Dopo l’attacco alle Torri gemelle, vari reporter hanno provato ad acquisire il materiale per costruirla, in modo da verificare di persona se fosse facile o meno ottenerlo. C’è chi ha pensato di rivolgersi alla mafia russa, chi di cercare nei siti di stoccaggio dei rifiuti radioattivi: tutte soluzioni veramente complicate. Purtroppo, le sorgenti radioattive sono decisamente più a portata di mano. L’Italia ha un gruppo di sbirri che lavorano per ridurre questo tipo di minaccia: sono i carabinieri per la tutela dell’ambiente. Il colonnello Roberto Masi, che ne guida il gruppo operativo, spiega: “L’Italia rappresenta una possibile retrovia per gruppi terroristici che in taluni casi, come dimostrato da molte indagini, nel nostro Paese svolgono attività di reclutamento e di supporto logistico. In tale quadro non è da escludere che queste attività possano prevedere anche la sottrazione di sorgenti radioattive per scopi terroristici da finalizzare in altri paesi tradizionalmente più esposti”. Certo, si tratta di capire quali sorgenti sono adatte allo scopo e quali no. E ovviamente non le elenchiamo, ma in rete si trovano informazioni ottime: serve solo molta determinazione e la capacità di capire documenti minimamente tecnici. Si trovano anche foto, così riconoscerle in una fonderia o su un cantiere non sarà impossibile. L’ipotesi di un furto, poi, non è fantascienza, visti i precedenti: “allo stato attuale”, racconta il tenente Alessia Mugnai Poggesi, a capo della sezione radioattivi dei carabinieri per la tutela dell’ambiente, “si sono verificati 8 furti di sorgenti (dal 2004 ad oggi, ndr)”. In alcuni casi sono contenute in attrezzi di piccole dimensioni, facili da trasportare e costosi (oltre 10mila euro): potrebbero far gola ai vari disperati che sul posto di lavoro rubano di tutto, dal rame al platino dei termostati degli altiforni.


L’Italia ha impiegato 4 anni per recepire la direttiva europea del 2003 sul controllo delle sorgenti radioattive: il decreto legislativo 52/2007, che la attua, stabilisce che chi le possiede deve disporre di locali idonei. Ma quali sono le misure di sicurezza minime, al di sotto delle quali un ospedale o un’azienda non possono detenerle, senza esporre la comunità a rischi molto seri? Inferriate alle finestre dei locali in cui sono custodite? Telecamere di sorveglianza? Non è chiaro, né il decreto lo specifica. E quante sono le sorgenti ‘sommerse’, dimenticate chissà dove o detenute illegittimamente dalle aziende? Dati non ce ne sono, ma si spera nel decreto 52, “un importante strumento per farle emergere”, ci dice l’ingegner Roberto Mezzanotte del Dipartimento Nucleare dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente (APAT). Né le cose vanno meglio con le sorgenti radioattive che arrivano in Italia attraverso i carichi di rottami metallici per le acciaierie. Siamo al secondo posto in Europa per l’importazione di questi carichi e spesso quelli provenienti dall’Europa dell’est “sono contaminati dalla presenza di sorgenti”, spiega il tenente Mugnai Poggesi. Una decina d’anni fa, il Ministero delle attività produttive acquistò e installò presso i varchi doganali italiani dei portali capaci di rilevarne la presenza. Peccato che non sono mai entrati in funzione. Perché? Manca un decreto attuativo. Una volta individuata la sorgente adatta per la bomba sporca, probabilmente, ottenere certe informazioni tecniche non sarà un problema insuperabile. Nel cercarle, a questo giornale è bastato fare una telefonata a una società che commercializza un certo tipo di prodotti industriali. “La sorgente radioattiva”, ci hanno spiegato accuratamente al telefono, “è incapsulata in uno strato di acciaio inossidabile saldato. Il tutto ha un diametro di 7 millimetri, poi l’apparecchio è schermato da uno strato di uranio depleto di circa 4 centimetri e mezzo”. Sono informazioni fondamentali per capire come far saltare in aria la sorgente in modo da liberarne la sua radioattività. Non è rassicurante che dettagli del genere si possano ottenere con una semplice telefonata, che chiunque può fare, spacciandosi per giornalista.