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L’ATOMICA DI ALLAH

Di Stefania Maurizi

Pubblicato sul settimanale DIARIO, n.34,  9 settembre 2005

"Il Vietnan, secondo me, rappresenta l'unico modello efficace di resistenza. Ho Chi Minh non ordinò di dirottare aerei o far saltare in aria autobus. Invitando celebrità mediatiche come Jane Fonda, attirò un'enorme ondata di simpatia e partecipazione alla tragedia del Vietnam. E invece ve le immaginate un Vietnam in mano a Bin Laden piuttosto che a Ho Chi Minh? L'avrebbe trasformato in una spianata radioattiva, anziché nell'unico esempio di paese che ha vinto contro l'imperialismo".

E’ una delle grandi intelligenze del Pakistan, Pervez Hoodbhoy. Fisico nucleare eminente all’università Quaid-e-Azam di Islamabad, Pakistan, Hoodbhoy va dritto al nocciolo della conversazione: “Nei paesi musulmani la rabbia non è mai stata mai così forte: la tortura e gli abusi sui prigionieri di Abu Ghraib e Guantanamo e i casi di profanazione del Corano si sono aggiunti al risentimento già esistente, alimentato soprattutto dall’occupazione israeliana delle terre arabe e dal supporto incondizionato che riceve da parte degli USA. Per quanto completamente folle o suicida possa essere, il desiderio di un’arma nucleare per cercare vendetta non è sentito solo dagli estremisti: l’idea della bomba islamica è un concetto popolare e lo è ancora di più dopo l’11 settembre”.

Il nucleare con la mezzaluna. La ‘bomba islamica’- un’arma nucleare che, acquisita per ragioni ideologiche, si suppone appartenga all’intera comunità islamica, l’ummah - evoca immagini terrorizzanti di jihadisti pronti a trasformare New York in una spianata radioattiva. Ma è realistico pensare che l’ummah arriverà a costruirla?

Il Pakistan è stata la prima potenza nucleare islamica. Ed è a tutt’oggi l’unica. “Ma contrariamente a quanto si crede in occidente, il Pakistan ha voluto la bomba non per ragioni di solidarietà islamica, quanto piuttosto per l’India, che nel ’74 ha fatto esplodere la sua prima atomica”, ci spiega Hoodbhoy, raccontandoci che i pakistani vedevano la bomba come una panacea per tutti i mali che tormentano i musulmani dalla fine età d’oro - tra il IX e il XIII secolo - quando l’Islam era ricco, stabile, in rapida espansione, ma soprattutto tollerante. “Poi, però, quel passato glorioso è svanito”, continua, “e oggi i musulmani sono 1 miliardo sparsi su 48 paesi musulmani, nessuno di questi è ancora riuscito ad evolversi in un sistema politico democratico e stabile. La distribuzione profondamente iniqua delle ricchezze, la soppressione delle libertà umane fondamentali, il maltrattamento delle donne e delle minoranze hanno prodotto un incubo”. Le ragioni della bomba pakistana vanno sicuramente ricercate nel perenne conflitto con l’India, ma di tanto in tanto nei media internazionali si riaffaccia l’ipotesi che in caso di crisi il Pakistan potrebbe offrire un’ ‘ombrella nucleare’ agli altri paesi musulmani, proprio in nome della solidarietà islamica. Hoodbhoy, però, è scettico: “Non ritengo plausibile che il Pakistan sia disposto a rischiare una devastante rappresaglia da parte degli USA o di Israele. E la collaborazione clandestina con l’Iran – ufficialmente attribuita alle pagliacciate dell’ingegnere nucleare pakistano Abdul Qadeer Khan e della sua rete – è lettera morta ormai da dieci anni”. Ma quello che lo lascia soprattutto perplesso è la possibilità di una ‘bomba collettiva’: “L’unità non è mai stato il punto forte del mondo islamico”, argomenta Hoodbhoy, addentrandosi in un groviglio di sette e gruppi e ricordando la frattura più violenta che mai tra la setta sciita e quella sunnita. “Né di fronte a massacri efferati, come il genocidio dei musulmani della Bosnia da parte delle forze serbe, c’è stata una qualche significativa risposta collettiva da parte dell’ummah”, ci dice, tirando in ballo anche la questione palestinese. “Il conflitto tra israeliani e palestinesi - con quelle immagini di palestinesi che soffrono, trasmesse ogni giorno dalla TV - è di gran lunga il problema che chiama i musulmani a raccolta contro gli USA. Eppure tutti i paesi arabi ricchi di petrolio aderiscono a parole alla causa palestinese, ma poi vanno ad investire i loro soldi negli Stati Uniti”. Poi continua con la bomba islamica: “Il pericolo, secondo me, non viene dagli stati musulmani, quanto piuttosto da gruppi radicali”. Il che è comprensibile: prima di usare un’atomica, qualunque potenza deve valutare seriamente il fatto che andrà certamente incontro a rappresaglia nucleare, ma contro i gruppi come Al Qaeda la deterrenza nucleare può fare poco, visto che non hanno un territorio o una popolazione da difendere. Tuttavia un programma nucleare richiede soldi, competenze scientifiche e infrastrutture industriali che, almeno fino a qualche decennio fa, solo le grandi potenze potevano permettersi. Guardando le immagini dei due principali protagonisti del “Secolo del Terrore”, Bush e Bin Laden, quello che stupisce è il contrasto tra il primo, che scende da elicotteri high-tech e il secondo, che scende dalle montagne con un bastone: sembra un pastore di 2000 anni fa. Il gap tecnico-scientifico tra il mondo di Bush e quello dei mujahideen sembra irrecuperabile, così irrecuperabile che viene da chiedersi se sia sensato credere che Bin Laden e i suoi possano essere in grado di costruire l’atomica. 

La bomba per tutti. I media confondono spesso le armi radiologiche come la ‘bomba sporca’ con quelle nucleari, come l’atomica. La bomba sporca è un ordigno terribile, ma la sua potenza non è paragonabile con quella di un’arma nucleare, capace di annientare in un istante centinaia di migliaia di vite. Costruire un’atomica all’uranio arricchito e con metodo di detonazione Gun, ovvero del tipo di quella di Hiroshima - magari un pò più rudimentale, ma poco meno distruttiva - è ormai alla portata dei gruppi terroristici: potrebbero assemblarla nel garage della città scelta come obiettivo e farla esplodere con un comando a distanza, senza bisogno di kamikaze. “L’informazione di base è tranquillamente disponibile nelle biblioteche tecniche di tutto il mondo”, spiega Hoodbhoy, “e la fisica delle esplosioni nucleari può essere appresa da un normale laureato in fisica”. Il problema delle competenze scientifiche richieste dalla bomba, dunque, non è insuperabile, anche perché il fondamentalismo non fa proseliti solo tra le persone povere e poco istruite, ma anche nelle élite tecniche. E subito dopo l’11 settembre, un noto ingegnere nucleare pakistano, di nome Sultan Mahmood, è stato arrestato con l’accusa di aver incontrato Bin Laden e il Mullah Omar.

La “scienza islamica”. E’ un personaggio a dir poco singolare, Mahmood. E dalle mille risorse...Convinto fautore della ‘scienza islamica’, che punta a mettere insieme scienza e Corano, una quindicina di anni fa Mahmood propose di risolvere i problemi energetici del Pakistan estraendo l’energia dai geni, quelli della lampada, per capirci, non quelli della genetica! L’idea gli era venuta direttamente dal Corano, secondo cui Allah ha creato angeli e geni dal fuoco, dunque questi esseri hanno in sé un’energia primigenia. “Ho avuto un duro scontro pubblico con lui, 15 anni fa”, racconta Hoodbhoy, “ha preso male le mie critiche alla sua idea folle dei geni. Comunque non è affatto un pazzo: è un ingegnere capace, il che la dice lunga su quello che il fanatismo religioso può fare al cervello di una persona”. Mahmood è un’eccezione? “Forse è un caso estremo, ma tra i musulmani il risentimento verso l’America è forte ed io incontro spesso fanatici molto capaci. Anche molti dei miei studenti di fisica hanno il paraocchi e credono a ogni genere di cospirazione contro l’Islam. Ma in ogni caso il problema principale per un gruppo terroristico non è l’expertise scientifico, è ottenere il materiale fissile per costruire la bomba, ovvero uranio arricchito o plutonio”. Indubbiamente un problema serio. Ma forse non disperato. E’ noto infatti che, in seguito ai vari accordi tra Stati Uniti e Unione Sovietica per la riduzione degli arsenali nucleari, in Russia sono state accumulate enormi quantità di materiale fissile e purtroppo parte di esso è stoccato in siti russi affatto sicuri. E’ veramente incredibile che in anni come questi si continui a sottovalutare questo problema. Ci sono accordi tra le due potenze per la messa in sicurezza di quel materiale, ma le operazioni vanno veramente a rilento per problemi organizzativi e mancanza di fondi. “Nel frattempo, però, programmi militari come la National Missile Defence continuano a succhiare miliardi di dollari”, dice Hoodbhoy, aggiungendo: “in privato, alcuni esperti di armi nucleari dicono che non si tratta di capire ‘se’, ma ‘quando’ una città sarà fatta saltare in aria”.

Hoodbhoy chiude il nostro colloquio parlando degli ‘orchi gemelli’: l’imperialismo americano e il fondamentalismo islamico. “Gli americani devono capire che, per il loro disprezzo delle leggi internazionali, si stanno facendo nemici ovunque. In quanti paesi ormai un americano può camminare tranquillo? Finché non ci sarà la percezione che c’è una qualche misura di giustizia nelle faccende del mondo, i terroristi continueranno ad arruolare militanti: probabilmente è un trend irreversibile. Anche i musulmani, però, devono affrontare verità amare: non sono le vittime impotenti delle cospirazioni dell’occidente. Le cause del declino islamico sono essenzialmente interne e i musulmani devono rifletterci sopra, capirle e capire che hanno bisogno di stati democratici e secolari, che rispettino la dignità umana. La risposta non è Bin Laden. Oggi, ci troviamo tutti a un bivio: credere nel mondo brutale del ‘cane mangia cane’ oppure provare a immaginare un futuro fondato su valori laici, universali, di compassione e umanità. Perché questo futuro si materializzi, il mondo civile deve vincere i due orchi”.