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I SEGRETI DI TED HALL, LA SPIA CHE AIUTO’ L’URSS

Di Stefania Maurizi

Pubblicato sul mensile LE SCIENZE, Febbraio 2003

Alle 4 del pomeriggio del 10 dicembre scorso, a Stoccolma si è ripetuto un rituale ormai ultrasecolare: la premiazione da parte del re di Svezia degli scienziati insigniti del Nobel. Tutto avviene secondo una cerimonia suggestiva, del genere a cui uno scienziato non è affatto abituato. E con il Nobel, la vita di uno studioso può cambiare radicalmente: il laureato finisce sulla CNN, che lo filma durante il banchetto regale; colleghi e istituzioni che fino ad allora l’avevano, nel migliore dei casi, ignorato, improvvisamente rivendicano rapporti di stima e collaborazione; il premiato può essere interpellato su tutto, raramente su ciò che gli compete; i giornali spifferano ciò che l’Accademia di Svezia decorosamente tace. Si viene così a conoscere l’importo delle tasse sul premio, la débacle della banca del seme dei Nobel ed il fatto che alcuni laureati abbiano pagato gli alimenti del divorzio grazie alla grana dell’Accademia. Se il premiato è una donna, i giornali se ne escono con trovate quantomeno singolari: nel ’62, il premio per la chimica a Dorothy Hodgkin fu annunciato col titolo: “Nobel ad una moglie inglese”; nel ’77, quello per la medicina a Rosalyn Yalow col superbo: “Cucina, rassetta e vince il Nobel”. Ma l’aneddotica e il gossip mal si addicono a un premio che occupa una posizione unica nella nostra cultura e che ha giocato un ruolo vitale nella scienza moderna. Tuttavia, nella storia di questo ultracentenario non sono mancate sorprese, sviste e vere e proprie cantonate.

Assegnati per la prima volta nel 1901, i Nobel per la scienza hanno reso illustri 497 studiosi, tra cui 10 donne. C’è chi è stato premiato per scoperte diverse da quelle per cui rimarrà immortale: è il caso di Einstein e di Pavlov, i cui nomi rimarranno legati rispettivamente alla teoria della relatività e al riflesso condizionato, ma che vinsero il Nobel per l’effetto fotoelettrico, il primo, e per lo studio della digestione, il secondo. C’è chi è stato premiato per scoperte forse non proprio immortali: nel 1912, l’ingegnere Nils Dalén vinse il Nobel per la fisica per aver migliorato l’illuminazione dei fari, e sbaragliò il padre della meccanica quantistica Max Planck, candidato in quella stessa edizione. C’è infine chi, come Lise Meitner, rimarrà un’eredità imbarazzante perché non fu premiata e chi perché lo fu. E’ questo il caso del neurologo portoghese Egas Moniz, che nel ’49 ricevette il Nobel forse più “chiacchierato”: quello per la scoperta della lobotomia.

Nel 1935, Moniz venne a conoscenza dei risultati di un singolare esperimento: rimuovendo chirurgicamente i lobi frontali del cervello di uno scimpanzè, l’animale diventava improvvisamente docile e apatico. Il neurologo si chiese se pratiche simili potessero essere usate su psicotici ansiosi e talvolta violenti; non indagò a lungo, e praticò agli schizofrenici la lobotomia, un intervento di distruzione delle connessioni tra la regione prefrontale ed altre parti del cervello. La pratica, seppur con alcune varianti, contagiò gli Stati Uniti, assediati dalla malattia mentale e sprovvisti, come l’Europa, di qualsivoglia terapia. L’apostolo della lobotomia Walter Freeman, spregiudicato e mediatico, condusse una campagna disinvolta sulle pagine del New York Times; bombardò la comunità civile e quella scientifica; strizzò l’occhio ai sempre miseri bilanci della salute mentale: un intervento di lobotomia costava solo 250 dollari contro i 35.000 necessari ad ospedalizzare per un anno uno psicotico. Vinse; e ridusse in zombie un numero enorme di persone. Ma il Nobel per la medicina andò a Moniz e con hybris debordante il New York Times decretò: “Oggi i chirurghi operano al cervello con la stessa disinvoltura con cui asportano un’appendice. [Moniz e i suoi] ci hanno insegnato a guardare al cervello con meno riverenza…è solo un grosso organo che deve assolvere funzioni molto difficili…non è più sacro del fegato”.

Resa celebre da film come “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, la lobotomia è oggi considerata una “terapia” eticamente inaccettabile e, visitando il sito ufficiale della Fondazione Nobel (www.nobel.se/medicine/articles/moniz), è possibile constatare l’imbarazzo creato dal premio a Moniz.