Home page Articles and reportage

L'HACKER CHE RISCHIA L'ERGASTOLO ( English translation not available)

Di Stefania Maurizi

Pubblicato su l'Espresso, 10 dicembre 2012

(http://espresso.repubblica.it/dettaglio/lhacker-che-rischia-lergastolo/2195954)

C'è un ragazzo di ventisette anni, capelli rasta e faccia da bambino, che da marzo scorso è in galera e rischia di passarci come minimo 39 anni o, nella peggiore delle ipotesi, l'intera vita. Si chiama Jeremy Hammond e a New York, dove si trova in carcere da nove mesi ancora senza processo, è accusato di 'cyberterrorismo'.

Jeremy non ha sparato o piazzato bombe. E nemmeno sabotato computer di centrali elettriche o nucleari. Ha semplicemente reso pubbliche informazioni aprendo per la prima volta uno squarcio nel mondo misterioso dell'agenzia di intelligence privata americana 'Stratfor'.

Quartier generale a Austin, in Texas, clienti ricchi e potenti in tutto il mondo (grandi banche, multinazionali, grandi giornali), nel dicembre 2011, Stratfor ha infatti subìto un attacco hacker da parte del collettivo Anonymous, che ha prelevato dai server della società 5,3 milioni di email aziendali.

Secondo gli atti di indagine dell'Fbi, Jeremy Hammond sarebbe stato uno degli attivisti di Anonymous che ha partecipato all'attacco. E' per questo che è finito in galera, per crimini informatici. I documenti prelevati dai server di Stratfor, però, non sono stati diffusi da Anonymous: in qualche modo sono stati fatti arrivare a WikiLeaks che a partire dal febbraio scorso le ha pubblicate (http://espresso.repubblica.it/dettaglio/wikileaks-la-nuova-ondata/2174805) insieme ai giornali di tutto il mondo con cui collabora, come 'l'Espresso'.

Dall'enorme giacimento di messaggi sono emersi documenti importanti, come la notizia 'da non rendere nota' (secondo Stratfor) che gli Stati Uniti avrebbero pronto un atto di incriminazione per Julian Assange, coperto da segreto. O i file che dimostrano il monitoraggio degli attivisti che contestavano la scelta di ammettere la multinazionale Dow Chemical come sponsor delle Olimpiadi di Londra 2012. Oppure un sistema di sorveglianza di nome 'Trapwire' mai emerso prima nelle cronache giornalistiche e che rievoca scenari da film 'Nemico pubblico': Trapwire integra i dati provenienti dalle telecamere presenti in una città e, rielaborando le informazioni con un software speciale, cerca di schedare gli individui che potrebbero rivelarsi una minaccia.

Esattamente una settimana dopo che WikiLeaks e i giornali partner hanno iniziato a rilasciare i file di Stratfor, arriva il colpo di scena: l'Fbi arresta Jeremy Hammond e un pugno di presunti attivisti di Anonymous, colpevoli, secondo il Bureau, dell'hackeraggio.

Dagli atti di indagine emergono i restroscena investigativi. L'Fbi è arrivata a Jeremy Hammond mettendo le mani su un personaggio del mondo underground, un hacker di alto livello dal nickname enigmatico: Sabu. Per anni, Sabu aveva scorrazzato in Rete, incitando attacchi, arruolando complici, sfidando critici e sbirri fino a diventare una celebrità. Ora gli atti giudiziari lasciavano cadere la maschera: Sabu è un collaboratore dell'Fbi. E' lui che ha incastrato Jeremy Hammond.

Ma perché l'Fbi ha permesso che Anonymous facesse razzia dei documenti interni di Stratfor, senza muovere un dito per proteggere l'agenzia e senza impedire che i file arrivassero a WikiLeaks e finissero sui giornali di mezzo mondo?

Tutta l'operazione puzza di trappola per Julian Assange. L'Fbi puntava a incastrare WikiLeaks, istigandola a partecipare all'hackeraggio oppure cercando di vedere se, sotto sotto, trafficava con i documenti, magari comprandoli dalle fonti o facendoli pagare ai giornali amici? «Qualunque cosa il governo abbia provato a fare, è fallita», spiega a 'l'Espresso' Michael Ratner del Center for Constitutional Rights di New York , che assiste legalmente WikiLeaks.

«Il nostro sospetto è che abbiano cercato di incastrare WikiLeaks, cercando di beccarla a fare qualcosa di più che non il semplice caricare i documenti sui propri server, una volta ricevuti. Forse speravano che [Assange] si mettesse ad aiutare Sabu o magari gli offrisse soldi. Ma non l'ha fatto: WikiLeaks ne esce completamente pulita. Ha ricevuto i documenti e li ha immagazzinati nei suoi computer».

E Jeremy Hammond? Ammesso che sia lui uno dei principali responsabili dell'hackeraggio di Stratfor, sembra paradossale che rischi una pena che va da 39 anni all'ergastolo, quando gli agenti Cia responsabili delle 'extraordinary rendition' e delle torture sono liberi come l'aria. © « A Jeremy va tutta la mia solidarietà», ci dice Ratner, spiegando che, per quanto giovane, Jeremy Hammond ha una lunga storia di attivismo politico: in passato ha organizzato una contestazione dello storico inglese David Irving, che nega l'Olocausto, e ha l'hackerato il sito di un'organizzazione di destra americana favorevole alla guerra in Iraq, iniziativa che gli è costata due anni di carcere.

Sul perché di tanto accanimento, Ratner ha le idee chiare: «Bisogna guardare ai tre casi di Julian Assange, Bradley Manning (http://espresso.repubblica.it/dettaglio/salvate-il-soldato-manning/2141084) e Jeremy Hammond insieme. Sopra a tutti c'è il sito WikiLeaks, che pubblica documenti scottanti. Poi ci sono queste due persone, che secondo il governo hanno passato documenti a WikiLeaks. Se si guarda il quadro nel suo insieme, viene fuori che Hammond è in prigione da otto mesi e gli è stata negata la cauzione, Bradley Manning rischia l'ergastolo e Julian Assange è intrappolato nell'ambasciata dell'Ecuador. Insomma, quello che il governo americano sta veramente cercando è fare a pezzi la gente che rivela documenti compromettenti e li pubblica. E' solo questione di politica: il governo cerca di tenere sotto chiave segreti che non riesce più a controllare. E con il termine 'segreti', io non intendo i segreti legittimi, ma i crimini nascosti, come quelli della guerra in Iraq, o quelli esposti dal video 'Collateral Murder' pubblicato da WikiLeaks. Vogliono che questa nazione sia ancora più blindata nella sua segretezza e lo fanno trattando queste tre persone in modo eccezionalmente duro, per mandare un messaggio: non vi azzardate più a farlo».

Ma quali sono le condizioni di Jeremy Hammond in carcere? A raccontarle a 'l'Espresso' è il fratello, Jason: «Sta relativamente bene, sta ricevendo una grande solidarietà, ma ovviamente è in prigione, che non è un bell'ambiente». Due settimane fa, il giudice federale Loretta Preska gli ha negato la possibilità di uscire di prigione su cauzione in attesa del processo. «Il giudice ha parlato di cyberterrorismo, credo che saranno durissimi», spiega ancora il fratello, secondo il quale la minaccia di una pena serve serve anche a far crollare Jeremy e a convincerlo a denunciare altri membri di Anonymous che hanno partecipato all'hackeraggio di Stratfor.

Tra l'altro il giudice che ha negato l'uscita su cauzione, Loretta Preska, è la moglie di un cliente dell'agenzia di intelligence americana danneggiata dall'attacco di Anonymous. E ora gli avvocati di Hammond stanno valutando se ricusarla.

I due legali che rappresentano Jeremy, Elizabeth Fink e Sarah e Emily Kunstler, sono ottimi avvocati che hanno una lunga esperienza nella cause per la difesa dei diritti civili. Ma coprire le spese non è facile, per questo Jason ha creato il sito www.freejeremy.net, dove è possibile inviare donazioni per cercare di sottrarre Jeremy Hammond a una vita in carcere. «Sono sicuro che già prima dell'arresto fosse un sorvegliato speciale: l'Fbi monitora il movimento Occupy, i pacifisti e, chiaramente, gli attivisti politici», chiude Jason, rievocando gli spettri dell'America di Edgar Hoover, che spiava dissidenti e associazioni.

Nell'era di WikiLeaks e di Anonymous, il fantasma degli eccessi di Hoover si è spostato nel cyberspazio.