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PANAMA RICATTI E SPIONI (English translation not available)

Di Stefania Maurizi

Pubblicato su l'Espresso, 7 ottobre 2011

Ricardo Martinelli? «La sua inclinazione alla prepotenza e al ricatto possono averlo portato a diventare una star dei supermercati, ma difficilmente è qualcosa di simile a un uomo di Stato». Il capo del governo di Panama ha un'ossessione in comune con il suo collega e amico italiano, Silvio Berlusconi: le intercettazioni. Martinelli però ne vorrebbe sempre di più, concentrate sui suoi avversari politici: sugli esponenti di sinistra su cui ogni mattina vuole avere un briefing dall'intelligence. E contro i quali fa arrivare dossier ai giornali. Una fabbrica del fango in versione centroamericana, che aiuta a capire perché in quel paese Valter Lavitola, latitante accusato di estorsione, sia sempre stato di casa. Lì dove Silvio, Valterino e Ricardo hanno siglato la maxicommessa Finmeccanica, con una flotta in dono. E dove altre aziende italiane stanno gestendo opere colossali. Il tutto sotto l'occhio interessato dell'ambasciata americana, che considera strategica la nazione chiave per il passaggio tra i due Oceani.


Sono proprio una serie di cablo segreti della diplomazia statunitense - ottenuti da WikiLeaks e in possesso de "l'Espresso" - a disegnare un ritratto sorprendente dell'uomo forte della politica panamense: un leader vendicativo, paranoico, che «manca di dedizione alle regole della legge». Un presidente pronto a piegare la giustizia ai suoi fini e a usare la stampa per distruggere gli avversari. E che arriva a minacciare persino le autorità di Washington pur di ottenere un sistema di intercettazioni contro gli oppositori. Ma l'America di Obama non è disposta a piegare la sua rete di ascolto, nata per combattere il narcotraffico, ai capricci dell'aspirante caudillo. Gli Usa però sono convinti che Martinelli si sia rivolto ad altri per ottenere la sua ragnatela di spionaggio elettronico in stile Stasi, «contattando altri governi e il settore privato». Chissà se le strane utenze cellulari panamensi che Lavitola aveva consegnato anche al Cavaliere hanno qualche legame con questo Grande Fratello delle Antille.


Tutto comincia nel 2009, quando il re dei supermercati Martinelli arriva al potere. Origini italiane; studi negli Usa incluso un periodo in un college militare, con il suo schieramento di centrodestra sconfigge le sinistre. A Washington però la vittoria non trasmette serenità. Barbara Stephenson, l'ambasciatrice inviata da Obama a Panama (e da poco promossa a numero due della sede di Londra), trasmette dispacci allarmati. Appena arrivato alla presidenza, Martinelli manda alla Stephenson una richiesta imbarazzante, nei contenuti e nella forma. Le spedisce un sms: «Ho bisogno del suo aiuto per intercettare i telefoni». Nella repubblica del Canale gli Usa hanno creato un programma di ascolti contro il narcotraffico. Si chiama "Matador" ed è gestito dall'agenzia antidroga Dea in collaborazione con la polizia e i servizi panamensi: tutto sotto controllo dell'autorità giudiziaria locale, che deve autorizzare le registrazioni. Ma Martinelli vuole altro. Punta ad ampliare lo spionaggio telefonico senza «fare alcuna distinzione tra legittimi obiettivi di sicurezza e nemici politici», scrive la Stephenson. E mescola tutto: vendette politiche, affari di Stato e faccende privatissime, come usare le microspie per «scoprire con chi va a letto la moglie». Non si limita a chiedere: ricatta, minaccia di ridurre la cooperazione nella lotta al narcotraffico, se gli Usa non gli danno quello vuole. Spiega di essersi già incontrato «con i vertici dei quattro operatori di telefonia mobile di Panana e di aver discusso come ottenere i dati delle chiamate». Il capo della sua intelligence, Olmedo Alfaro, fa sapere che «Martinelli l'aveva incaricato di raccogliere informazioni sugli avversari politici» e che il suo predecessore, Jaime Trujillo, «era stato rimosso, perché non era riuscito a dare al presidente le notizie che voleva» e non c'era riuscito, perché a detta dello stesso Martinelli, «era troppo onesto». Invece Alfaro non mostra scrupoli pur di impossessarsi della rete elettronica di Matador: sfida i diplomatici statunitensi e persino la Dea. Urla agli emissari dell'agenzia antidroga: «Non me ne frega della Dea, perché la Cia mi darà tutto quello di cui ho bisogno».


Sembrano scene da un romanzo di Don Winslow con agenti che si fanno la guerra tra loro nel sostegno ai politici locali mentre cercano di combattere i signori della cocaina, che infilano i loro emissari economici in tutti i palazzi. In America Latina Martinelli si presenta come l'anti-Chavez, come lo statista che può contrastare l'ondata anti-statunitense e per questo pretende l'aiuto di Washington. Ma l'ambasciatrice non ne vuole sapere: «Gli anni Ottanta in America Latina sono finiti». Anche Martinelli, però, non molla, al punto che gli americani sono convinti che quel presidente «quasi ossessionato dalle intercettazioni» sia andato a bussare altrove. «Crediamo che abbia incaricato molti dei suoi subordinati di ottenere la capacità di intercettare, contattando altri governi e aziende private». A quali Paesi si è rivolto, il leader panamense? E cosa prevede esattamente l'accordo che ha firmato insieme al premier italiano per la cooperazione nella lotta al narcotraffico?


I file statunitensi dimostrano che Martinelli gioca duro. I giudici sono ostacoli da eliminare, nominando gli amici giusti al posto giusto e arrivando a chiamare «personalmente ciascuno dei nove membri della Suprema Corte di Giustizia per spingerli a votare in favore della riapertura di un caso di corruzione» che coinvolge 30 esponenti dell'opposizione: una mossa «senza precedenti», che la diplomazia Usa giudica «estremamente preoccupante». Il direttore di uno dei quotidiani più importanti, la "Prensa", racconta all'ambasciatrice che «Martinelli gli aveva fatto filtrare personalmente i documenti che il giornale aveva usato per denunciare un caso di corruzione di Ernesto Perez Balladares», il capo dell'opposizione.


Ovviamente anche gli affari mostrano lati oscuri. Alcuni file parlano dei presunti rapporti tra il presidente e un magnate brasiliano sospettato di riciclaggio, che poi ha ottenuto appalti. Altri cablo segreti ricostruiscono la gara di appalto per l'ampliamento del Canale. «L'opera del secolo» vede competere due offerte: quella dell'americana Bechtel, per cui Washington tifa apertamente, e quella del consorzio Sacyr, di cui fa parte l'italiana Impregilo.

La gara è precedente all'elezione di Martinelli, ma è lui che presenzia la cerimonia di proclamazione del vincitore. Si impone la Sacyr, che offre di eseguire i lavori per 3 miliardi e duecento milioni di dollari mentre gli americani chiedono 4,3 miliardi. Gli sconfitti sostengono che «con la cifra offerta da Sacyr non è possibile neppure colare il cemento». E in un file del gennaio 2010 il vice di Martinelli, Juan Carlos Varela, arriva a confessare all'ambasciatrice Stephenson che «il progetto di espansione del Canale di Panama è un disastro», dimostrando di dubitare seriamente della capacità del consorzio «della spagnola Sacyr e della italiana Impregilo» di completare i lavori, visti i «grandi guai finanziari» delle imprese alla guida del consorzio. In un cablo del luglio 2009 Hillary Clinton arriva a scrivere che «da quello che sappiamo la Sacyr è vicina alla bancarotta». E allora come fa a stracciare un gigante come Bechtel? Nel documento la Clinton chiede ai suoi diplomatici di indagare per scoprire se agenzie governative, come l'italiana Sace, stiano aiutando il consorzio a «nascondere la sua vera situazione finanziaria». La Sace è l'agenzia statale che garantisce i crediti per le esportazioni. Dal 2009 la presiede Giovanni Castellaneta, l'ex consigliere diplomatico di Berlusconi che siede anche nel board di Finmeccanica.