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WIKILEAKS: AIUTATECI O MORIAMO (English translation not available)

di Stefania Maurizi

Pubblicato su l'Espresso, 24 ottobre 2011

(http://espresso.repubblica.it/dettaglio/wikileaks-aiutateci-o-moriamo/2164523)

Distruggere WikiLeaks. Annientare l'organizzazione di Julian Assange. E' questo l'effetto dell'embargo economico imposto dai giganti Visa, MasterCard, PayPal, Western Union, Bank of America, che hanno bloccato tutte le donazioni al gruppo a partire dal dicembre 2010, dieci giorni dopo che Assange ha iniziato a pubblicare i cablo della diplomazia Usa.

Il grafico: Il crollo delle donazioni

Graph-of-Donations-to-WikiLeaks

Da undici mesi WikiLeaks vive con le riserve accumulate grazie a grandi scoop, come il rilascio del video 'Collateral Murder'. Ora, però, i soldi stanno finendo. "Il blocco finanziario ha distrutto il 95 percento dei nostri fondi", spiega WikiLeaks a l'Espresso. E' per questo che oggi Julian Assange dà il via a un'aggressiva campagna di raccolta fondi (http://espresso.repubblica.it/dettaglio/come-donare-a-wikileaks/2164538), che punta ad aggirare il blocco economico dei giganti del credito, perché "abbiamo ancora migliaia di documenti", come racconta nel video che 'l'Espresso' e 'la Repubblica', media partner di WikiLeaks, pubblicano in esclusiva per l'Italia.

Un trattamento fuori dalle regole. Esiste da cinque anni, ma è esplosa sulle scene internazionali nell'aprile del 2010, con la pubblicazione di 'Collateral Murder' (http://espresso.repubblica.it/multimedia/video/25316612), un video segreto del Pentagono in cui si vedeva un elicottero americano Apache che a Baghdad sterminava civili innocenti, tra cui due reporter dell'agenzia Reuters. Dopo quel rilascio, niente è stato più come prima nella vita di WikiLeaks e del suo fondatore. Assange e la sua banda hanno vissuto l'assedio dei reporter di tutto il mondo, che bramano i database segreti su banche, eserciti, multinazionali e religioni. Sono stati passati allo scanner dai media di tutto il globo. Hanno conosciuto la furia del Pentagono. Gli attacchi dei falchi americani. Poi sono arrivate le accuse di stupro contro Julian Assange, da parte di due donne svedesi, che hanno sempre ammesso che i rapporti erano consensuali e la disputa era solo sull'uso del preservativo. Eppure il fondatore di WikiLeaks è agli arresti domiciliari in Inghilterra da 330 giorni, senza essere stato incriminato per alcun reato: i magistrati di Stoccolma ne pretendono l'estradizione in Svezia solo perché vogliono interrogarlo in merito ai fatti denunciati dalle due ragazze. "Tu hai giocato fuori dalle regole", aveva detto a quattr'occhi un diplomatico australiano a Julian Assange, subito dopo il rilascio dei file sull'Afghanistan, "e riceverai un trattamento fuori dalle regole". Il 'trattamento' è arrivato nella forma di una guerra giocata su due fronti: una virulenta campagna di demonizzazione di Assange, anima e meningi di WikiLeaks, e il blocco totale delle donazioni da parte di Visa, MasterCard, Bank of America, PayPal e Western Union. Un vero e proprio accerchiamento economico per impedire che l'organizzazione riesca a pagare i tecnici che gestiscono i database dei documenti segreti e i server che mantengono in piedi le infrastrutture informatiche. Ma sulla base di quali presupposti legali i giganti del credito, da Visa a Bank of America, hanno messo in piedi un embargo economico contro WikiLeaks.

Ku Klux Klan sì, WikiLeaks no. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la pubblicazione dei 251.287 cablo della diplomazia Usa: uno tsunami che ha investito l'intero pianeta, coinvolgendo 280 ambasciate e consolati e rivelando talpe, scandali e giudizi impietosi sui governi di 180 Paesi. Dopo quella mega-fuga di documenti segreti, Assange è stato bollato come "un terrorista high-tech", dal vicepresidente Usa, Joe Biden. Sarah Palin ha invitato a braccarlo come un operativo di Al Qaeda, mentre nei blog della destra americana si invitava a "piantare una pallottola in testa a quel figlio di puttana". Con il rilascio dei cablogrammi è cominciato l'embargo economico da parte dei giganti del credito. Il primo a chiudere il rubinetto dei soldi è stato PayPal: il sistema che permette di inviare e ricevere pagamenti online. Stando a quanto rivelato dai giornalisti del quotidiano inglese 'The Guardian', è bastata una lettera del Dipartimento di Stato di Hillary Clinton a convincere PayPal a stoppare le donazioni a WikiLeaks. A quel punto è scattato il boicottaggio generale: da Visa a Western Union. "Un blocco finanziario che non ha alcuna legittimità", insiste WikiLeaks " perché ad oggi siamo un'organizzazione perfettamente legale: nessuno dello staff o dei volontari è stato incriminato per alcun reato". E, nonostante le richieste di membri del Congresso, come Peter King, il Tesoro Usa ha dichiarato pubblicamente che non ci sono i presupposti legali per inserire WikiLeaks e Julian Assange in una blacklist e colpirli con delle sanzioni economiche. Per questo il gruppo dell'australiano è ricorso alla Commissione Europea contro Visa e MasterCard. "Entro il 15 novembre si saprà se la Commissione aprirà formalmente un'indagine", racconta a l'Espresso Kristinn Hranfsson, portavoce di WikiLeaks, che non nasconde la sua indignazione per il fatto che con le carte di credito si possano comprare armi e fare donazioni a gruppi razisti come il Klu Klux Klan, ma non a un'organizzazione legale e che promuove la trasparenza dei governi, come WikiLeaks. Perfino l'Alto Commissariato per i diritti umani dell'Onu ha espresso preoccupazione sull'embargo alla creatura di Assange, eppure il boicottaggio va avanti.

Il complotto. A peggiorare la situazione è stato l'attacco dell'australiano contro le banche. l giorno dopo la pubblicazione della prima ondata di cablo, il fondatore di WikiLeaks ha dichiarato di aver documenti segreti così compromettenti in grado di "tirare giù una o due grandi banche". Assange non ha fornito alcun nome degli istituti di credito finiti nel suo mirino, ma incrociando le sue affermazioni con precedenti interviste, tutti hanno guardato in una direzione: la Bank of America: una delle più grandi degli Stati Uniti. Ad oggi, i documenti sulle banche non sono stati rilasciati né è chiaro se mai lo saranno, nel frattempo, però, sono emerse storie inquietanti, come quella di un piano segreto contro WikiLeaks. A prepararlo è stata una piccola azienda americana che offre sicurezza ai grandi colossi del business: la HBGary Federal. Il piano è stato scoperto solo e soltanto perché è entrato in scena 'Anonymous', un'organizzazione internazionale di hacker che, quando è scattato il boicottaggio economico contro WikiLeaks, ha reagito attaccando i siti web delle carte di credito Visa e MasterCard.

Provocato dall'amministratore delegato della HBGary Federal, che sulle colonne del 'Financial Times' si era vantato di essere in grado di smascherare Anonymous, il gruppo hacker si è infilato nei computer della HBGary, ha prelevato 71.800 mail interne e le ha sbattute in rete in un formato tale che chiunque potesse leggerle e fare ricerche per parole chiave, scoprendo gli affaracci dell'azienda. Tra le mail finite in rete ce ne sono anche due della polizia italiana. Dai messaggi di posta elettronica è emerso che HBGary aveva preparato un piano anti-WikiLeaks, che prevedeva una vera e propria guerra sporca contro l'organizzazione e i suoi sostenitori, inviando falsi documenti segreti per delegittimarla, colpendo i giornalisti amici e individuando e minacciando chi si azzardava a fare donazioni. Chi ha commissionato quel piano? La Bank of America ha immediatamente preso le distanze da HBGary Federal e dai suoi servizietti, quindi il mandante rimane avvolto nel mistero. Mentre Assange, dopo 11 mesi, combatte contro l'embargo economico che sta cercando di distruggerlo.

WikiLeaks needs you. E' questo lo slogan della campagna lanciata oggi. WikiLeaks ha bisogno di te. In attesa che la Commissione Europea si pronunci sul ricorso contro Visa e MasterCard, per il quale si prevedono tempi lunghi, l'organizzazione ha individuato altre strade per ricevere donazioni. Il futuro di WikiLeaks, ora, è nelle nostre mani.