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I SEGRETI DEL VATICANO (English translation not available)

di Gianluca Di Feo e Stefania Maurizi

Pubblicato su l'Espresso, 29 aprile 2011

(http://espresso.repubblica.it/dettaglio/i-segreti-del-vaticano/2150712)


L'elezione di un papa tedesco è stato un brivido per la Casa Bianca. La sua scheda personale, compilata dall'ambasciata americana alla vigilia del conclave, si apre ricordando i mesi del 1945 trascorsi da Joseph Alois Ratzinger nell'artiglieria contraerea del Terzo Reich. E subito dopo gli analisti di Washington si chiedono: "La mafia polacca" - letteralmente - a cui Karol Wojtyla si è affidato ora verrà rimpiazzata da "una mafia tedesca"?

I cable della diplomazia Usa ottenuti da WikiLeaks, che "l'Espresso" pubblica in esclusiva, mostrano invece come i trascorsi bellici di Benedetto XVI, che ha vissuto le devastazioni del conflitto mondiale, lo rendano ancora più determinato del suo predecessore nel condannare tutte le guerre. Tanto da essere considerato "più affine" a Obama che non a Bush, almeno in politica estera: il settore in cui la Santa Sede è l'unica superpotenza in grado di fronteggiare gli Stati Uniti.

In questo campo il Vaticano è un modello da studiare con attenzione, come ordina Hillary Clinton in persona segnalando a tutte le ambasciate la creazione di un sito Web criptato dove seguire giorno per giorno le novità da San Pietro. Per sottolinearne l'importanza, il segretario di Stato fornisce la risposta alla domanda che Stalin formulò con disprezzo: quante divisioni ha il Papa? Un'armata impressionante: "400 mila sacerdoti, 750 mila suore, 5 mila tra monaci e frati, rapporti diplomatici con 177 paesi, 3 milioni di scuole, 5 mila ospedali e il braccio operativo della Caritas con 165 mila tra volontari e dipendenti che assistono 24 milioni di persone".

Ecco perché Washington vuole che la Santa Sede sia "un potente alleato della sua politica estera" in un intreccio di accordi segreti e scontri sotterranei. Come il patto per bloccare alle Nazioni Unite una risoluzione in tema di religione voluta dai paesi islamici. O la lite con Carla Dal Ponte che dava la caccia a un criminale di guerra croato "protetto dai francescani" oppure le proteste contro l'antisemitismo dell'emittente polacca Radio Maryja, che non trovano ascolto in Vaticano.

La sorpresa tedesca
Pur ritenendolo uno dei favoriti alla successione di Giovanni Paolo II, gli americani non avevano scommesso su Ratzinger. "Il prossimo papa non vorrà sentire i vescovi che si lamentano:"Siamo trattati da Roma come ragazzini" come hanno detto a Wojtyla durante un difficile incontro del suo pontificato... Ratzinger è troppo rigido, troppo geloso delle prerogative della Curia romana". Gli Usa sono convinti che nel conclave i suoi oppositori, radunati sotto l'egida del cardinale Carlo Maria Martini, "gli avrebbero impedito di ottenere il sostegno necessario a conquistare due terzi dei voti", spostando la sfida su altri nomi: Ruini, Scola e l'argentino Bergoglio come candidati filo-Ratzinger oppure Tettamanzi (indicato come il ghost writer di Giovanni Paolo II per i temi di bioetica) o il brasiliano Hummes nel gruppo dei suoi rivali. Invece al balcone si affaccia Benedetto XVI e immediatamente l'ambasciata cerca di costruire un identikit dettagliato e a tratti sorprendente.

Il primo aspetto che viene evidenziato è la volontà di ascoltare tutti gli argomenti prima di formulare un giudizio, "un'immagine che spicca in contrasto con i ritratti che lo vogliono autoritario, rigido e ansioso di schiacciare le voci contrarie" . "E' più aperto alla discussione e al dibattito di quanto venga descritto. E' calmo, colto, timido, non vuole essere sotto i riflettori come il suo predecessore: non vuole clamori, ma si concentra su "fede e verità". Un prelato americano che ha lavorato per molti anni al suo fianco, ci ha detto che quando deve affrontare una questione, chiede prima l'opinione della persona più giovane e poi prosegue fino a sentire per ultima la più importante. Non vuole che il gruppo si limiti ad ascoltare il prelato più anziano o autorevole e poi ripeta a pappagallo la risposta (una tattica non rara nella gerarchia pontificia). Infatti, Ratzinger ascolta tutte le opinioni e poi formula la sua decisione - che in non poche occasioni è in accordo con quella del membro più giovane dello staff".

Un'altra caratteristica è la rapidità nell'assimilare informazioni. "Frate Joseph "Gus" DiNoia, uno dei suoi vicari, ci ha detto che era impressionato dalla capacità del cardinale di valutare molteplici fonti di informazione su un determinato argomento spesso in lingue diverse, durante un incontro o una conferenza. Alla fine, lui offriva una versione distillata della questione, focalizzando accuratamente le questioni chiave che erano state evidenziate".

Ratzinger però ha un altro stile: "Incontra pochi gruppi e concede poche occasioni per scattare foto rispetto al suo predecessore. Evita udienze private, vuole eliminare l'immagine di rockstar di Wojtyla e riportare il papato nel suo ruolo di promuovere la fede cattolica". Questo anche perché si rende conto dei suoi limiti fisici, sottolineando come avesse già avuto problemi. "Un vescovo che è uno stretto collaboratore del pontefice ci ha detto: "Sa che morirà sul lavoro, ma preferisce che ciò accada il più tardi possibile". Per questo limita al massimo gli impegni". Ma Benedetto XVI è lontanissimo dal papa riluttante portato sugli schermi da Nanni Moretti: "Si è gettato nel pontificato - come ci ha riferito DiNoia - come un pesce nell'acqua e sembra che il nuovo incarico gli piaccia". Ed è proprio la marcata differenza con Wojtyla che "potrebbe essere la chiave del suo successo: la sua abilità di essere pontefice a modo suo e ignorare le gigantesche scarpe da pescatore che ha ereditato".

Addio alla mafia polacca

Poche settimane dopo la fumata bianca, l'ambasciata riferisce a Washington "la felicità espressa da alcuni giornali italiani per la fine della "mafia polacca" che aveva dominato il vaticano con Wojtyla. Ma - nonostante monsignor Georg Ganswein abbia seguito Ratzinger negli appartamenti papali - sembra difficile che una mafia tedesca prenda il posto di quella polacca in uscita. Un tedesco che lavora in Vaticano ce ne ha parlato senza bisogno di fargli domande: "Non preoccupatevi, non ci sarà nessuna deutsche mafia. Noi non ne abbiamo, non fa parte della nostra natura. Noi amiamo regole e ordine, questo tipo di camarille e relazioni informali non ci appartiene"".

Importante è che il nuovo papa non si mostri ostile verso gli Usa che, intrappolati in Iraq e alle prese con il conflitto in Afghanistan, sono al minimo della popolarità internazionale: "Dicono che abbia simpatia per gli Usa, ha più americani nel suo staff di molti altri capi della curia e ha dato un importante segnale nella sua prima nomina chiamando un americano a prendere il suo posto nel dicastero più importante della Chiesa". Anche nello scandalo dei sacerdoti pedofili che ha innescato la crisi più grave nelle diocesi degli States, Ratzinger non ha evocato complotti: "In un duro sermone pronunciato prima del conclave nel quale ha descritto tutte le forme del male che questa società deve affrontare, ha denunciato il sudiciume per quello che è accaduto nel clero. I nostri contatti erano colpiti dalla durezza del linguaggio, e ci hanno detto che la parola tedesca usata era ancora più severa".

Diverso invece l'atteggiamento dei ministri vaticani. Nel novembre 2005 il cardinale Angelo Sodano è furioso mentre "protesta per i magistrati aggressivi che presentano cause contro la Santa Sede per pedofilia o per lo scandalo dell'oro nazista acquisito dal Vaticano. Sodano è fiducioso che alla luce della verità dei fatti e del principio dell'immunità per gli Stati sovrani, la Santa Sede uscirà illesa da queste iniziative. Ma ci ha dichiarato che tutto quello che sta accadendo lo turba: "Una cosa è fare causa ai vescovi, altro è fare causa al Vaticano". E chiede al Dipartimento di Stato di sollecitare il rispetto per le sovranità della Santa Sede per evitare questi incidenti". L'ambasciata chiosa: "Noi sappiamo che il ministero della Giustizia deve rispettare i suoi obblighi, ma continueremo a comunicare su questa vicenda nel tentativo di evitare spaccature con il Vaticano".

Ancora più drammatico lo scontro con Carla Dal Ponte (vedi box a pag. 36) che attacca le coperture dei francescani della Bosnia-Erzegovina al criminale di guerra croato Ante Gotovina, sostenendo che durante la latitanza avrebbe persino ottenuto udienza da Giovanni Paolo II. Ma anche quando gli americani si fanno sotto, appoggiando la linea del magistrato, ottengono la stessa risposta: "Sono questioni che non competono al Vaticano ma alla chiesa locale". E' lo stesso problema che si manifesta con altri nuclei religiosi nazionalisti o tradizionalisti, spina nel fianco del papato Ratzinger. Nel caso "dell'ostruzionismo dei cattolici croati" in Erzegovina, gli Usa si rivolgono all'intera gerarchia vaticana: "A parole tutti si sono mostrati comprensivi, ma poi il risultato della loro volontà o capacità di affrontare il vescovo Peric di Mostar e i francescani si è mostrata limitata. La Santa Sede li contesta perché sfidano la sua autorità ma li apprezza per come hanno difeso eroicamente la fede cattolica per generazioni. E hanno paragonato il vescovo Peric al leggendario cardinale polacco Wyszynski e al (più controverso nonostante sia stato beatificato) croato Stepinac che hanno tenuto insieme il loro popolo in condizioni difficili".

Il codice Rydzyk
La partita più difficile tra gli Usa e il Vaticano di Ratzinger nasce nell'ottobre 2007 per le posizioni antisemite di Radio Maryja, potente emittente cattolica che in Polonia è diretta da padre Rydzyk. L'inviato speciale della Casa Bianca per le questioni dell'Olocausto, J. Christian Kennedy pone la questione con decisione: molti ebrei polacchi stanno cercando di ottenere la restituzione dei beni sottratti dai nazisti e poi incamerati dai comunisti, ma proprio da Radio Maryja e dal suo direttore padre Rydzyk sorgono gli ostacoli maggiori, con una propaganda serrata. Padre Joseph William Tobin, superiore dell'ordine dei redenzionisti a cui appartiene il frate polacco, allarga le braccia: "Sostiene che Rydzyk parla in codice e non ci sono prove per condannarlo. I suoi sostenitori lo capiscono anche senza bisogno di usare un linguaggio che permetta di incriminarlo. Il direttore della Radio è stato convocato in Vaticano, ma davanti al suo superiore ha negato tre volte di avere fatto dichiarazioni contro gli ebrei". Kennedy risponde a tono: "Commenti antisemiti come quelli attribuiti a Radio Maryja sono inaccettabili e indegni di figure di grande influenza che fanno parte della chiesa romana. C'è una terribile contraddizione tra un'emittente che manda in onda discorsi violentemente antisemiti e l'opera di Giovanni Paolo II per creare nuove relazioni cordiali tra cattolici e ebrei. Il governo americano crede che si debbano fermare questi discorsi". Ma Tobin senza prove non può fare nulla: sostiene di averle chieste invano al rabbino Rosen di Gerusalemme, all'ambasciata israeliana, a gruppi di ebrei americani. E confessa di "essere molto triste per la foto che ritrae padre Rydzyk con Benedetto XVI. Senza entrare nel merito, ha fatto capire che il Vaticano ha reso un cattivo servizio al papa permettendo quella foto".

I vertici del Vaticano sono più diplomatici. Monsignor Parolin si trincera dietro le dichiarazioni del cardinale Tarcisio Bertone, sostenendo che si tratta di un affare della chiesa polacca: "Il presidente della conferenza dei vescovi, Michalik ha detto che le radio cattoliche non devono trasmettere questi discorsi". Pronta la replica dell'inviato americano: "Ma subito dopo ha pubblicamente lodato Radio Marjya, lanciando un messaggio contraddittorio". Parolin però è convinto che la questione verrà affrontata e risolta molto presto. Quattro anni dopo questo documento, padre Rydzyk resta sempre alla guida della sua radio, sempre più potente.

Molto più rapida la soluzione a un'altra crisi nei rapporti con gli ebrei, quella provocata dal vescovo tradizionalista Williamson, che aveva addirittura negato l'Olocausto. La riconciliazione con i tradizionalisti della Fraternità di San Pio X era stata una delle scelte di Ratzinger più controverse. Dopo lo scandalo per le frasi del vescovo, il Papa "rimuove i vertici della commissione che aveva consigliato di togliere la scomunica ai tradizionalisti": il cardinale Castrillon Hoyos e monsignor Camille Perle vengono "liquidati". "E' più che un ripensamento del Papa nel processo di riportare i fuorusciti nella chiesa cattolica". E da questo guaio Benedetto XVI - spesso criticato nei cablo Usa per le limitate capacità mediatiche - "ha almeno imparato una lezione: come si seppellisce un caso. La decisione è stata annunciata il giorno dopo la pubblicazione dell'attesissima enciclica sociale e mentre veniva aperto il G8 dell'Aquila". Il modo migliore di farla passare inosservata.

LA SANTA ALLEANZA
Tra Casa Bianca e Santa Sede si gioca una colossale partita a Risiko. I capisaldi sono i temi etici, sui quali il Vaticano non è disposto a tacere ed è pronto a coalizzarsi con chiunque, "persino con paesi islamici come la Libia o con governi conservatori sudamericani".

La strategia è semplice: "Il Vaticano può essere un potente alleato o un nemico occasionale. Dobbiamo fargli vedere come la nostra politica può aiutarli a fare avanzare i loro principi. Tutto dipende dal rapporto che riusciamo a costruire: dobbiamo lavorare insieme quando le nostre posizioni sono complementari, assicurandoci che la nostra linea venga compresa quando sono divergenti". Ed ecco che periodicamente, il ministro degli Esteri del Papa si incontra con l'emissario di Obama per discutere le mosse sullo scacchiere mondiale.

L'ultimo di questi summit descritto nei cablo di WikiLeaks è del 16 dicembre 2009, con monsignor Dominique Mamberti che riceve l'ambasciatore Miguel Diaz. Ed è singolare notare come sono gli americani a inchinarsi davanti alla potenza della Santa Sede, che arriva anche dove gli Usa non sono graditi. Chiedono di intercedere per far liberare tre cittadini statunitensi arrestati in Iran, cosa per la quale il Vaticano si è già attivato: "Il nostro nunzio dovrebbe riuscire a incontrarli durante le festività natalizie e potrebbe fargli avere un messaggio". Domandano poi il sostegno in Honduras per accelerare la formazione di un governo di unità nazionale e convincere l'America Latina a riconoscere l'elezione del presidente Lobos. E su questo punto ottengono solo "l'implicita disponibilità a mandare messaggi dietro le quinte".

Poi si passa all'Africa: in Uganda - sottolinea l'ambasciatore Usa - i vescovi mantengono il silenzio sulla proposta di legge che criminalizza gli omosessuali, prevedendo persino la pena di morte. "Mamberti replica che la posizione della Chiesa sull'omosessualità come peccato è nota, ma che le relazioni sessuali tra adulti sono una questione morale non penale. Lui ha detto di essere sicuro che i vescovi non taceranno a lungo su una questione morale così importante". In realtà, il Vaticano interviene all'Onu condannando "la grave violazione dei diritti umani contro le persone omosessuali... ma la dichiarazione non viene distribuita al clero cattolico e alle congregazioni. L'ambasciata Usa di Kampala dovrebbe farlo avere alla conferenza dei vescovi ugandesi".

C'è un tema su cui l'intesa nasce facilmente. Al Palazzo di Vetro il Pakistan e altre nazioni islamiche hanno presentato una risoluzione che vieta la critica delle religioni. Invece "la Santa Sede sostiene la libertà di espressione su tutti gli argomenti". Bene, gli Usa allora richiedono che il Vaticano schieri le sue pedine: "Fate lobby su Argentina, Colombia, Guatemala, Belize, Honduras, El Salvador", indicando la posizione che ogni paese dovrà assumere per arrivare alla stroncatura della risoluzione. Mamberti replica che darà istruzioni in merito. E il Vaticano? Cosa vuole in cambio? Solo una raccomandazione: "Chiede notizie sullo status della legislazione sull'assistenza sanitaria pubblica davanti al Senato e ricorda le preoccupazioni dei vescovi statunitensi sul fatto che la versione finale della legge non preveda fondi pubblici per l'aborto". Lo snodo che finora ha fermato la grande riforma voluta da Obama.