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CON SILVIO PER PRENDERE IL NORD (English translation not available)

di Gianluca Di Feo e Stefania Maurizi

Pubblicato su l'Espresso, 3 marzo 2011

(http://espresso.repubblica.it/dettaglio/con-silvio-per-prendere-il-nord/2145945)

Se Berlusconi dice rosso? "Noi diciamo rosso; se Berlusconi dice nero, allora nero va bene anche per noi. La strategia della Lega è quella di stargli il più vicino possibile, tenerlo stretto come nell'abbraccio di un orso. Almeno per ora...". A tavola con il console statunitense, Giancarlo Giorgetti evita il politichese: parla con chiarezza dei piani del suo partito. Gli americani lo ritengono "il più probabile successore di Umberto Bossi, cosa che in privato tende a non negare": un bocconiano che conosce come nessuno la rete del potere leghista. Seduto accanto a lui, il ministro Roberto Calderoli è altrettanto esplicito nel raccontare che "il nostro obiettivo è diventare la forza egemone nell'Italia settentrionale". Quell'abbraccio animalesco a Berlusconi (letteralmente "bear hug") serve solo per evitare colpi bassi del Pdl: come un pugile che si avvinghia all'avversario per neutralizzarlo, sicuro di avere la vittoria in tasca.

Anche per questo la Lega è il sorvegliato speciale della diplomazia Usa: i dossier per il Dipartimento di Stato divulgati da WikiLeaks - che "l'Espresso" continua a pubblicare in esclusiva - mostrano quanto il movimento sia studiato e temuto. Perché sono gli uomini di Bossi che decidono le sorti del governo, che dominano il Nord-Est dove sorgono le più importanti basi Usa d'Europa e che inondano il Paese di propaganda xenofoba. Ma anche perché i parlamentari padani sono gli unici oppositori della spedizione in Afghanistan, ritenuta "uno spreco di risorse e di vite umane con poche speranze di migliorare la situazione".

Come in discoteca
La chiave di lettura migliore la fornisce Ignazio La Russa, durante un colloquio nei giorni del 2008 che precedono la nomina a ministro: "Con i leghisti non ci saranno problemi. La loro retorica è come la musica a volume troppo alto in discoteca. Se non sei un habitué, farai fatica a capire cosa succede e non riuscirai a distinguere la musica. Ma se diminuisci il volume (o se sei abituato a quell'atmosfera) allora ti accorgi che la musica non è così male". E spiega: "La base apprezza quella retorica brutale, ma se abbassi un po' i toni, il programma della Lega non è così diverso da quello del Pdl. C'è la vecchia rivendicazione della secessione, ma il Pdl gli ha fatto rinunciare a questa pretesa anni fa. Oggi il principale motivo di irritazione tra i due partiti sono le proposte e le sfuriate xenofobe". E questo è anche il punto che preoccupa di più Washington. In un rapporto del febbraio 2010 il consolato di Milano scrive: "La retorica sull'immigrazione spazia dal vago protezionismo alla xenofobia più pesante e la Lega è riuscita ad associare l'immigrazione alla delinquenza in una fetta dell'elettorato sempre più larga. L'opposizione rifiuta queste logiche ma ammette che la Lega si è appropriata della materia sicurezza. Come ha fatto notare un funzionario del Pd di Treviso, al Nord le paure dominanti sono legate all'insicurezza economica, ma la Lega si è impadronita del tema della sicurezza fisica, più facile da comunicare, e lo ha trasformato in un risultato politico". E dopo il pieno di voti alle regionali, "il partito sarà in una posizione ancora più forte per influenzare la politica nazionale e imporre la sua ideologia securitaria e anti-stranieri".

Su questo fronte gli Usa, nazione nata dall'immigrazione, non fanno concessioni. L'impegno per spingere le istituzioni italiane a integrare i nuovi arrivati è costante: lodano i tentativi dei ministri dell'Interno Giuseppe Pisanu e Giuliano Amato di dialogare con le comunità musulmane. E tengono alta la sorveglianza su ogni provvedimento dal sapore razzista. Trasmettono informative allarmate sul censimento dei rom; vanno a ispezionare il Cpt di Lampedusa; il console partecipa personalmente a una delle ronde padane nei vicoli torinesi di San Salvario bollandola come "un bluff".

Il partito delle masse
Ma sanno che il cuore del movimento è lì: "Bossi è riuscito a far crescere la prima istanza della Lega - il federalismo fiscale - in una piattaforma più larga di sicurezza e protezione dalle minacce esterne, collegando la crescita dell'immigrazione alla criminalità, alla disoccupazione e al degrado dell'identità culturale italiana". Una formula concepita per conquistare i piccoli e medi imprenditori del Nord "che però ha anche una crescente risonanza tra i lavoratori, che non si sentono più tutelati dal Pd e dagli altri partiti. I leghisti hanno reso sempre più convincente il fatto che le tasse ingiuste ed alte imposte da Roma aumentano la disoccupazione e che gli immigrati si prendono i posti degli italiani. Recentemente questo argomento si è imposto, data la crisi globale e l'alto numero di stranieri che arrivano al Nord". Come riassume Giorgetti:"A Roma la recessione non si sente, lì sono tutti pensionati o dipendenti statali: il prezzo lo stanno pagando le aziende e i lavoratori delle nostre regioni".

Gli operai sono il nuovo obiettivo della Lega:"Nonostante molti leader siano riluttanti ad ammetterlo, in Veneto ha tratto molto dalla forte tradizione comunista e ha mantenuto quello stretto rapporto popolare con l'elettorato. I sostenitori dicono che è l'unico "partito delle masse". Hanno continuato ad espandere la loro presenza tramite numerose sedi di partito aperte al pubblico e banchetti che funzionano anche come punti di ritrovo per le comunità. Dirigenti ed elettori esaltano il fatto che sindaci e consiglieri comunali sono sempre tra la gente, parlando con i cittadini e mantenendo un rapporto personale: mettono in pratica quella che il popolarissimo sindaco di Verona Flavio Tosi chiama "la politica da supermarket". La diffusa reputazione di buona amministrazione leghista nasce da questa attenzione verso gli elettori, dal contatto diretto e dalla visibilità". E' così che conquistano anche i ventenni "coltivando la prossima generazione di votanti". L'opposizione è spiazzata. Un funzionario del Pd di Treviso racconta al console che il partito "ha organizzato una visita a Strasburgo per i ragazzi della provincia, in modo da fargli conoscere il Parlamento europeo. E' stata la prima iniziativa del genere in quindici anni, mentre nello stesso periodo la Lega ha realizzato moltissimi viaggi di questo tipo". Il movimento è l'unico ad affidare incarichi di responsabilità ai giovani. Gli americani sono molto attenti alla nuova leva di colonnelli leghisti (vedi box a pag. 90), che sembrano più promettenti di Calderoli, Maroni o Castelli. Cercano di agganciarli, invitandoli a fare tour di formazione negli States (il piemontese Giordano e il lombardo Reguzzoni) mentre Tosi intensifica i contatti con gli Usa per "dare un tono moderato alla sua immagine".

Chi verrà dopo Bossi

L'autorità del fondatore è indiscussa: "E' un guru spirituale". Gli americani ritengono però che Bossi sia destinato a lasciare la guida della sua creatura in tempi brevi. Sottolineano "come si sia rifiutato di smettere di fumare e come a causa della sua salute sia sempre meno indipendente": "Il suo declino è fonte di crescente preoccupazione (in genere non discussa apertamente) tra i leghisti per cercare di capire la linea e la filosofia futura di questo movimento sempre più seguito (almeno a nord del Po)".

Agli inizi del 2010 il figlio Renzo non si era ancora imposto come delfino, o "trota" secondo la definizione fluviale del padre, e gli americani scommettono su Giorgetti: "Laureato alla Bocconi, proveniente dalla provincia chiave di Varese, l'unico che conosce sia la macchina del partito che gli apparati romani. In pubblico dice di non ambire alla successione, ma in privato tende a non negarlo".

Il Senatur invece è stato sempre guardato con sospetto. I file di WikiLeaks offrono il resoconto del suo primo incontro con l'ambasciatore Mel Sembler nel lontano 2002: "Si è presentato come un leader conservatore e concreto con un Paese che è ancora largamente alla sua sinistra". Di aiutare gli immigrati però non ne vuole sapere: né in Italia, né con programmi di assistenza nelle loro patrie. L'unica strada - spiega Bossi - è limitare gli ingressi, condizionandoli alla necessità di manodopera: "Sappiamo che il mondo sta cambiando. Noi possiamo solo tentare di controllare la velocità del cambiamento. Uno scontro di culture e di religioni non interessa a nessuno".

Da Belgrado a Kabul
La sua ruspante politica estera a Washington non è mai piaciuta. Non hanno dimenticato l'appoggio al presidente serbo Slobodan Milosevic alla vigilia dei raid sul Kosovo nel 1999. E lui nel colloquio con Sembler fornisce una ricostruzione rocambolesca: "Fu il governo (all'epoca il premier era Massimo D'Alema, ndr) che mi mandò a Belgrado per convincerlo a trattare. Milosevic era un uomo intelligente ma non aveva capito che il mondo era cambiato, non aveva mai accettato il trattato di Westfalia: credeva che ogni re avesse il diritto di governare il suo Paese secondo i suoi desideri". Nelle sue parole, si trattava di una missione senza speranze: "Comunque ho cercato di riportare indietro almeno uno dei tre soldati americani che Milosevic aveva catturato: l'idea era di accompagnarlo in Italia e consegnarlo al governatore Bush, che lo avrebbe riportato negli Usa. Ma Milosevic non ha accettato e ha dato i tre soldati a Jesse Jackson (il politico di colore celebre per le sue campagne sui diritti civili, ndr)". Nel 1999 alla Casa Bianca c'era Bill Clinton, ma Bossi vuole accreditarsi come un fan della prima ora di George W. Bush, che dice "di ammirare e di studiare": "Ho scoperto di essere attratto da un presidente che mangia fagioli messicani molto più di uno che mangia riso fritto cinese come Clinton".

Le sue frasi non seducono gli americani. Oggi lui e il suo alleato Giulio Tremonti sono considerati gli unici nemici delle missioni internazionali, sostenute invece dal Pd. Bossi scatena la sua guerra d'Afghanistan all'improvviso, con una sortita in Parlamento nel luglio 2009. Un momento delicato, mentre era in corso la prima offensiva della Folgore. "Con i parà coinvolti regolarmente in scontri a fuoco si sta sgretolando l'immagine della missione di pace", sottolinea un dossier. "Bossi ha citato l'alto costo e il numero crescente di caduti, sostenendo che gli obiettivi - portare democrazia e prosperità all'Afghanistan - sono probabilmente irraggiungibili nonostante i più grandi sacrifici". E' una mossa tutta politica, come suggerisce il consigliere di La Russa, Alessandro Ruben: "Con il calcolo tra costi e benefici dell'impegno militare all'estero, Bossi vuole evidenziare la determinazione ad ottenere fondi per i progetti che considera prioritari, come il federalismo fiscale e le questioni dell'immigrazione". L'ambasciata commenta: "Mentre l'Afghanistan non interessa alla base leghista, Bossi così cerca il consenso delle classi di lavoratori che in passato sostenevano l'estrema sinistra". I diplomatici vanno persino a rispolverare l'antico feeling con D'Alema, il primo ad aprire sul federalismo fiscale - come ricorda lo stesso Bossi nel 2002 - ma "solo per tenerci lontani da Silvio".

La frattura si allarga quando a settembre 2009 una bomba a Kabul massacra sei parà e il leader leghista invoca: "Tutti a casa entro Natale". Berlusconi in pubblico gli dà ragione: "Tutti pensiamo che i nostri ragazzi debbano tornare a casa il prima possibile, abbiamo già pianificato una riduzione del contigente". Ma in privato il premier dichiara all'ambasciatore "che l'impegno italiano non cambia" e "che la posizione del governo non era a favore di una exit strategy ma solo di una strategia di transizione". Gli americani non si tranquillizzano, perché capiscono che l'Afghanistan è solo una pedina della partita nella maggioranza.

Egemoni al Nord
La Lega tiene stretto Berlusconi, come confidano Giorgetti e Calderoli, perché questa è la strada per diventare "forza egemone" sopra il Po. Il 2002 in cui Bossi lodava il Cavaliere è lontano. All'epoca non nascondeva la sua ammirazione: "E' un primo ministro presidenziale, un decisionista e un manager, non un uomo di compromessi. E' stato votato come premier: sulla scheda c'era la sua faccia".

L'ambasciata chiosava: "I commenti su Berlusconi mostrano che accetta il suo ruolo secondario nel governo. Si rende conto che il 4 per cento dei voti non lo rende un partner alla pari e che non può spingere Berlusconi troppo lontano. Ma sembra accontentarsi della sua posizione: appare più maturo e ragionevole di quanto la sua immagine pubblica suggerisce". Adesso lo scenario è diverso: il peso nazionale è triplicato, i voti in Parlamento determinanti. "In tempi di debolezza e vulnerabilità, Berlusconi ha già dovuto fare concessioni alla Lega per ottenere sostegno alla sua agenda legislativa personale". La linea - esplicitata da Calderoli e Giorgetti nel pranzo di fine aprile 2009 con il console Daniel Weygandt - è però quella di "minimizzare le tensioni con il Pdl". Perché i leghisti sanno che il futuro è loro e solo gli alleati possono creare ostacoli. Per conquistare il Nord puntano sull'efficienza dei governatori regionali, replicando quello che hanno fatto con i sindaci "capaci di costruire consenso per il partito grazie a una gestione amministrativa competente e al carisma personale".

Nella battaglia per le elezioni hanno rinunciato a malincuore alla Lombardia "troppo importante per il Pdl". Paradossalmente, Bossi ha paura di stravincere. Come confida Calderoli, il Senatur li ha messi in guardia: "Se quest'anno cresciamo ancora a danno del Pdl, si può roversciare l'equilibrio nella maggioranza e il Pdl ci attaccherà in ogni occasione". Dal canto suo, "Giorgetti sente che Berlusconi sta cercando di creare attriti per spingere la Lega verso posizioni estremistiche e aumentare così il sostegno al Pdl ma è chiaro: "Noi non ci cadremo"". Dopo il Piemonte e il Veneto, la Lega deve incassare un altro risultato fondamentale, ribadito da Calderoli: il federalismo fiscale. "La base si aspetta una reale autonomia e quella è la soluzione migliore". Solo allora, l'abbraccio dell'orso si potrà sciogliere.