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ASSANGE, IL FRONTE DI TWITTER (English translation not available)

Di Stefania Maurizi

Pubblicato su l'Espresso (online), 11 gennaio 2011

(http://espresso.repubblica.it/dettaglio/assange-il-fronte-di-twitter/2141976)

«Stiamo lavorando con gli avvocati americani per capire come procedere con questa faccenda di Twitter». Sono poche parole di estrema cautela quelle che dice a "L'espresso", da una località sconosciuta, Kristinn Hrafnsson: l'unica faccia pubblica di WikiLeaks oltre a Julian Assange, che martedì è apparso di nuovo in tribunale a Londra per la richiesta di estradizione in Svezia.

Assange e i suoi non mollano, ma ormai sono dentro una vera e propria Guerra dei mondi. Hanno contro il Pentagono. Le banche. I colossi del credito da Visa a Mastercard. Le diplomazie di tutto il pianeta, trascinate in una sequela di rivelazioni imbarazzanti dai cablogrammi. E l'ultimo fronte della guerra è quello di Twitter.

E' il 14 dicembre scorso quando il social network si vede recapitare un'ingiunzione del giudice Theresa Buchanan dell'Eastern District of Virginia. Il documento ordina a Twitter di consegnare tutti i dati relativi a Wikileaks, Julian Assange, Bradley Manning, Birgitta Jonsdottir, Jacob Appelbaum e Rop Gonggrijp. Il giudice americano vuole tutto. Nomi utenti, tempi di connessione al social network, tipo di servizi usati, indirizzi e-mail, indirizzi di casa, numeri di carta di credito e di conto bancario e dati dei pagamenti. A Twitter vengono dati tre giorni di tempo per consegnare il materiale. Non solo: l'ingiunzione è secretata (tecnicamente si dice: 'filed under seal') e quindi Twitter non è autorizzato a rivelare il provvedimento agli utenti colpiti.

Ma il social network non risponde signorsì: ricorre in tribunale contro la secretazione. E subito segna un punto: il 5 gennaio, l'ingiunzione viene svincolata dal segreto ('unsealed') e a questo punto Twitter è autorizzato a rivelare il provvedimento alle persone citate nel documento: i dati più intimi di Assange e degli altri non saranno consegnati al giudice a loro insaputa. Twitter li contatta immediatamente via e-mail, allegando il provvedimento giudiziario e facendo presente che hanno tempo dieci giorni per opporsi in sede legale alla richiesta del giudice.

Non solo: fa presente che, se vogliono, possono rivolgersi a Kevin Bankston e Aden Fine, due esperti avvocati rispettivamente dell'Electronic Frontier Foundation (Eff) e dell'American Civil Liberties Union (Aclu): i due grandi bastioni americani della difesa dei diritti civili e digitali.

L'Aclu esiste da quasi un secolo e ha una grandissima tradizione nell'opporsi a eccessi come quelli della Guerra al terrorismo e del Patriot Act. L'Eff, invece, è una figlia dell'era digitale, è la prima linea della difesa dei diritti della rete e degli internauti e non è un'esagerazione dire che, senza il suo supporto, Wikileaks forse non sarebbe uscita viva dal contenzioso legale contro la banca svizzera Julius Baer, di cui, nel 2008, i pirati di Assange hanno pubblicato documenti scottanti. «Twitter dovrebbe essere lodato per il suo comportamento», dice a "L'espresso" l'avvocato Aden Fine dell'Aclu: «Se non avesse fatto ricorso in tribunale, dell'ordine del giudice non si sarebbe saputo nulla».

Ma c'è anche chi pensa che Twitter non abbia comunque fatto abbastanza. Un pezzo da novanta come Marc Rotenberg, presidente dell'organizzazione per la difesa della privacy, Epic, e professore alla Georgetown University, spiega: «Twitter poteva opporsi in tribunale alla consegna dei dati e farne una battaglia legale. Poi poteva evitare di incamerare certi dati: è la conservazione dei dati la prima fonte di rischio per l'utente».

Sia come sia, secondo Wikileaks, a essere colpiti dall'ingiunzione del giudice potrebbero non essere solo le persone citate nel provvedimento, ma anche tutti coloro che seguono il gruppo su Twitter: un esercito di 640 mila persone, che non è chiaro se saranno coinvolti nella raccolta dati né se avranno una qualche forma di tutela. «Per quelli citati nel documento del giudice», scrivono i "pirati" sul social network, «ci sono dieci giorni di tempo per fare opposizione: ma per tutti gli altri?». Né è chiaro se il giudice abbia imposto la consegna dei dati ad altri servizi tipo Skype, Facebook e Google, una cosa questa che appare ragionevole: perché avrebbe dovuto chiederli solo a Twitter? L'unica cosa certa è che, a oggi, né Google né Facebook hanno reso noto alcun provvedimento, come invece ha fatto il social network Twitter. Cosa se ne deve dedurre? Che hanno consegnato i dati e zitti?

"L'espresso" ha interpellato gli attivisti di Assange colpiti dall'ingiunzione, ma a parte Wikileaks, che ha risposto al giornale per bocca di Kristinn Hrafnsson, e a parte Birgitta Jonsdottir, nessuno ha rilasciato dichiarazioni. Jonsdottir è la parlamentare islandese che ha promosso la creazione della 'Icelandic modern media initiative', un'iniziativa legislativa che mira a fare dell'Islanda un rifugio sicuro per Wikileaks e per i tutti i media che vogliono fare giornalismo investigativo.

Non solo, sebbene la Jonsdottir oggi non sia più un'attivista di Wikileaks, ma solo una simpatizzante, ha avuto un ruolo importante nel rilascio del video 'Collateral Murder', che ha fatto conoscere al mondo i pirati di Julian Assange.

«Farò tutto quello che posso per oppormi alla consegna dei miei dati», ci dice la Jonsdottir, spiegando che mobiliterà i ministri degli esteri e della giustizia dell'Islanda, «e faccio questo non solo per me, ma per tutti gli utenti del social network».

Nello spiegare che ricorrerà anche al supporto dell'Eff e dell'Aclu, come suggerito da Twitter, Birgitta Jonsdottir si dice scioccata per la reazione dell'America di Obama al video 'Collateral Murder' . «Trovo incredibile che le autorità americane non abbiano mosso un dito dopo quello che ha rivelato. Quelli sono crimini di guerra». Nel video si vedevano soldati americani che se la ridevano mentre sparavano a civili inermi e feriti. Jonsdottir non sa spiegarsi come mai il giudice sia alla ricerca dei dati suoi e di altri pochi attivisti.

«Rop Gonggrijp e io figuriamo nella sigla del video come co-produttori. Probabilmente, ci hanno trovato su Google», scherza la Jonsdottir, con una punta di veleno, ribadendo di non avere nulla a che fare con lo spionaggio. «Leaking is not spying», sottolinea. «Nessuno di noi aveva mai sentito parlare di Bradley Manning fino a quando non abbiamo letto il suo nome sui giornali».

Gli altri attivisti colpiti dall'ingiunzione tacciono: primo fra tutti Rop Gonggrijp, un nome di peso nell'ambiente hacker europeo e un fondatore del server olandese 'Xs4all' (Access for all).

Nelle settimane scorse, Gonggrijp ha tenuto una conferenza presso il congresso del più importante gruppo hacker dell'Europa: il Chaos Computer Club (CCC) di Berlino. «Auguro ogni bene a Julian Assange», ha dichiarato nel suo intervento al Chaos Computer Club. «Per come stanno le cose oggi, il mio amico Julian sta potenzialmente rischiando di passare il resto della sua vita in prigione o di finire ammazzato per un lavoro che, essenzialmente, è giornalismo».