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LA CASTRAZIONE? RESTA UNA TERAPIA E NON È ROBA PER LA POLITICA (English translation not available)

Pubblicato su Il Venerdì de La Repubblica, 7 marzo 2008

I preti pedofili sono un gruppo a sé e, in generale, non li tratterei con la terapia farmacologica. Normalmente il loro non è un problema di eccitazione incontrollabile che li porta ad abusare dei minori, è un tutto un mix complicato di problemi”.

Don Grubin è uno psichiatra forense abituato a entrare nella testa di quelli che la società considera il peggio del peggio: i pedofili e gli stupratori. In una parola, i sex offenders. Professore alla Newcastle University, Inghilterra, Grubin è a capo del National psychiatric sex offender advisory service, un servizio finanziato dal sistema sanitario inglese e che punta a creare per il Regno Unito una rete di psichiatri in grado di affrontare il problema dei sex offender. “Possiamo chiamare castrazione chimica la terapia con cui tratta i pedofili?”, gli chiediamo. “Non è una castrazione”, risponde pronto, “trattiamo una piccola minoranza di loro con antidepressivi e farmaci antilibido, come il ciproterone”.

Grubin ne ha curati una trentina negli ultimi 3 anni, ma non simpatizza affatto con i castigamatti alla Calderoli, che invocano la castrazione obbligatoria e indiscriminata. “Sono contrario”, precisa subito, “noi trattiamo solo pazienti che acconsentano alle cure liberamente, non sotto il ricatto della prigione. E la terapia farmacologica non è per tutti: ne possono trarre beneficio i pedofili che sono preda di una fortissima eccitazione e rimuginano ossessivamente sul sesso”. “Esistono prove scientifiche del fatto che funzioni?”, chiediamo. “Ci sono molti studi, ma la maggior parte non sono di grande calibro, dal punto di vista del metodo”, ammette apertamente, “detto questo, però, emerge un fatto chiaro: con queste terapie, i pazienti riescono a pensare al sesso meno frequentemente e con minore intensità. Chi li ha monitorati, ha registrato anche una diminuzione dei comportamenti recidivi”. C’è un problema, però. Solo una ristretta minoranza rientra in questo ‘profilo’ di pedofilo, che può essere aiutato dai farmaci. Al massimo il 10 percento, stima Grubin. E il resto? “Probabilmente la maggioranza è formata da individui non propriamente pedofili”, spiega, “sono attratti da 13enni o 14enni, ma anche da donne o uomini adulti. In questo caso, si tratta di aiutare queste persone a incanalare la loro eccitazione verso altre scelte, in modo da non danneggiare minori.” Il problema sono gli altri: quelli che provano eccitazione solo ed esclusivamente per i bambini. “Ed è un problema grosso”, racconta lo psichiatra inglese, “perché immaginate che significa avere un bisogno, in fondo primario, come la sessualità, e non poterlo soddisfare se non a prezzo di rovinare un bambino e infrangere la legge?” “Non c’è proprio soluzione per questi?”, gli chiediamo. “Alcuni, soprattutto quelli che non provano un forte desiderio, riescono a vivere cancellando il sesso dalla propria vita, magari buttandosi su altro”, ci dice, “altri riescono a soddisfare questi bisogni in modo legale, tipo attraverso la finzione di un partner consenziente che si traveste e finge di essere un bambino. Ma ci sono anche quelli che se ne fregano di rovinare un minore e rifiutano qualsiasi trattamento: a questi c’è veramente poco da offrire”.

Un mondo a parte sono i preti pedofili. Stando a riviste specialistiche come The Howard journal of criminal justice, la Chiesa cattolica approverebbe il trattamento farmacologico e centri come il Saint Luke Institute, in USA, lo praticherebbero sui religiosi pedofili. “Non ne ho mai trattati”, racconta Grubin, “ma ne ho esaminati un certo numero.” Grubin ritiene probabile che, nel precludere completamente il sesso ai suoi membri, la Chiesa selezioni già in partenza un certo tipo di individui che non hanno un grande interesse per la sessualità, oppure che hanno un problema o un altro con essa. “Non voglio dire che tutti i preti ne abbiano”, puntualizza, “ma per come è organizzata, la Chiesa finisce con l’accumulare più persone che hanno questioni aperte con il sesso”. Il problema dei religiosi pedofili, dunque, è raramente quello di un’eccitazione incontrollabile, quanto piuttosto quello di riconoscere che qualcosa non va e di trovare un sistema per risolverla. “Loro lottano con tutta una serie di situazioni problematiche”, spiega, “dall’avere avuto rapporti, quando non potrebbero averne, al provare eccitazione, ma non volerla accettare, fino ai problemi connessi con i seminari e le comunità, che sono mondi chiusi. Credo che, viste le circostanze in cui si trovano, per molti di loro la pedofilia è il modo più a portata di mano per avere una vita sessuale. Alcuni sono omosessuali e, una volta abbandonato il sacerdozio, entrano quasi subito in una relazione omosessuale tra adulti e non si curano più dei bambini”.

“Le è mai successo che un pedofilo venisse a chiederle aiuto?”, domandiamo infine a Grubin. “Sì, pedofili di tutti i tipi. Succede anche che si rivolgano al proprio dottore, alla ricerca di aiuto, ma il dottore non sappia cosa fare. L’obiettivo del servizio che guido è proprio questo: una rete di psichiatri diffusa in tutta l’Inghilterra e con competenze specifiche in questo tipo di problemi.” Ci congeda con un’ultima riflessione: “Noi accettiamo di contribuire ad abbassare il rischio che questi individui rappresentano per la società, ma non vogliamo avere a che fare con i politici che puntano a usare la terapia farmacologica come una punizione: siamo medici, non agenti di controllo sociale ”.