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COSI’ LA CIA FA IL CHECK UP AI POTENTI (MALATI) DEL MONDO (English translation not available)

Pubblicato su Il Venerdì de La Repubblica, 9 Febbraio 2007

Prima il Parkinson, poi il cancro, poi la peritonite. Prima sembrava recuperabile, poi pareva avesse i giorni contati, ora è riapparso con Chavez mentre gustava un’aranciata. La salute di Fidel Castro è un vero e proprio giallo internazionale, che di certo dà un gran lavoro alla CIA. Nel 2005, ad esempio, il Foreign Broadcast Information Service (FBIS) - il servizio della CIA che monitora news e programmi dei media di tutto il mondo - ha registrato ore di ‘discorsi fiume’ del Lider Maximo, analizzando scrupolosamente per quanti minuti rimaneva seduto e particolari del tipo: “Castro, che è destrimano e noto per la sua abitudine di gesticolare tantissimo mentre parla, da febbraio a questa parte usa il braccio sinistro […] preme sulla spalla destra con la mano sinistra ed evita di muovere il braccio destro dalla spalla al gomito”.

Conoscere il prima possibile i problemi di salute di leader blindatissimi come Castro è cruciale per la CIA, ma come fa? Di certo si serve di tecniche che tutti immaginiamo: usa agenti per raccogliere informazioni o corrompere persone vicine all’équipe mediche giuste, spia email e conversazioni telefoniche e infine‘passa allo scanner’ le cosiddette open sources, ovvero tutto ciò che pubblicano e trasmettono i grandi media, ma anche le riviste disponibili sì al pubblico, ma essenzialmente rivolte a specialisti di una certa materia. Probabilmente, però, c’è dell’altro: nel 2005, the Company - come i suoi ‘impiegati’ chiamano la CIA- ha desecretato un documento vecchio di quasi 30 anni, ma che offre delle chiavi su qualcosa che, a quanto pare, gli analisti CIA praticano da decenni: la diagnosi a distanza dei VIP, i Very Important Patients.

“A parte l’Unione Sovietica”, recita il rapporto CIA del ‘79, “pochi servizi di intelligence rivendicano di avere una qualche competenza nelle diagnosi a distanza dei capi di stato stranieri”. Ovviamente, il documento non fornisce alcuna informazione dettagliata sulla tecnica in sé, ma racconta in modo sommario alcuni casi, tipo quello del presidente francese che volle il celeberrimo ‘Centre Pompidou’ di Parigi. A metà del ’71, Georges Pompidou cominciò a ingrassare e a sviluppare la tipica faccia gonfia dei pazienti trattati con cortisone, un particolare che non sfuggì alla CIA. In assenza di qualsiasi informazione dettagliata di intelligence, però, la possibilità di arrivare a una diagnosi certa fu complicata dal fatto che Pompidou aveva l’artrite, un problema notoriamente trattabile con il cortisone. Fotografie e riprese video furono cruciali: il viso del presidente continuava a rivelare i cambiamenti tipici di un paziente sottoposto a una lunga e massiccia terapia di cortisone, troppo massiccia per un’artrite. Alla fine gli analisti CIA furono in grado di restringere il campo delle possibilità e, soprattutto, di fare previsioni corrette sull’evoluzione della malattia: il 2 aprile del ’74, Pompidou morì della malattia di Waldenstrom, una forma di cancro che rientrava nel gruppo di neoplasie ipotizzate dall’Agenzia.

Ancora più interessante è il caso del presidente russo Breznev, di cui, ammette il documento, la CIA collezionò dati medici per oltre 20 anni. A dir poco acciaccato, Breznev aveva avuto un attacco cardiaco, era iperteso, fumava alla grande e alzava spesso il gomito. Mangiava con grosse difficoltà, al punto che si era diffusa la voce che avesse un cancro alla bocca, e il fatto che a un certo punto avesse una parte del viso cadente, una palpebra che si abbassava, difficoltà a parlare e a muovere un braccio faceva circolare voci insistenti su un possibile ictus, ipotesi peraltro sensata, vista l’ipertensione di cui soffriva e il suo tutt’altro che irreprensibile lifestyle. Eppure, gli analisti CIA riuscirono a smontare le storie del cancro e dell’ictus: Breznev aveva i denti in condizioni disastrose, da qui la pronunciata asimmetria del viso e le difficoltà nel mangiare e parlare, il problema della palpebra ricorreva in tante immagini riprese nel corso degli anni e pertanto non era riconducile a un ictus e le difficoltà nel muovere il braccio avevano una spiegazione banale: borsite.

Stando al documento CIA, per la diagnosi a distanza sono preziose le foto in bianco e nero, perché permettono il confronto con immagini raccolte nel corso di un lunghissimo arco di tempo e sono particolarmente utili quelle scattate in occasioni informali, soprattutto mentre il VIP pratica sport o va a caccia e quando sorride, aggrotta le ciglia o mostra espressioni facciali particolari. Anche le foto a colori sono importanti, ma possono trarre in inganno. “E’ difficile”, spiega infatti il rapporto, “identificare una persona colpita da ittero attraverso una foto a colori”. Altrettanto preziose sono le registrazioni della voce: le parole strascicate possono aiutare a rilevare un ictus e in caso di mixedema, Parkinson, tumore alle corde vocali o infezioni respiratorie si manifestano delle precise alterazioni della voce. Anche le alterazioni della scrittura sono rivelatrici: non a caso, qualche giorno fa, il presidente venezuelano Chavez ha mostrato una lettera di Castro, argomentando che la scrittura ferma del leader cubano è la prova che si sta riprendendo.

Dal documento emerge chiaramente che la CIA ha condotto a lungo ricerche sulla diagnosi a distanza sia al fine di mettere a punto degli strumenti per eseguirla, sia, soprattutto, per individuare dei parametri misurabili che si associano alle varie malattie. Almeno fino al ’79, però, la tecnica era tutt’altro che infallibile: come ammettono gli stessi analisti nel rapporto, il premier israeliano Golda Meir soffrì per 12 anni di una grave forma di cancro senza che loro se ne accorgessero.

Ma tornando a Castro, che ha esattamente? E Bin Laden come se la passa? Risolto il problema della dialisi? Sapremo tutto tra 30 anni, grazie al prossimo documento CIA. E a quel punto, forse, scopriremo anche fino a che punto trapianti, lifting e guru dell’anti-aging alla Scapagnini hanno potuto offuscare l’occhio che tutto scruta.