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DIETRO IL FALSO SCOOP DELLA BOMBA ATOMICA DI HITLER (English translation not available)

Pubblicato su Tuttoscienze de LA STAMPA, 15 giugno 2005

Il programma nucleare tedesco fu un fallimento totale? Neanche per sogno: Hitler stava a un passo dall’atomica. Questo scoop è rimbalzato in tutto il mondo dalla Germania, dove lo storico Rainer Karlsch ha appena pubblicato il libro Hitlers bombe (Deutsche Verlags-Anstalt, 2005), in cui afferma che, verso la fine della seconda guerra mondiale, i nazisti erano arrivati addirittura a fare dei test nucleari. L’euforia mediatica è comprensibile: se Karlsch avesse ragione, la storia andrebbe riscritta, perché da 60 anni a questa parte, storici, scienziati e giornalisti hanno sempre sostenuto che il programma nucleare tedesco non arrivò proprio a nulla: neppure alla costruzione di un reattore funzionante, che era il primo passo verso la bomba.

Fu proprio il terrore che Hitler potesse ottenere per primo l’atomica - e con essa vincere la guerra e porre fine al mondo democratico - che spinse gli angloamericani verso il Progetto Manhattan per la costruzione delle due bombe che distrussero Hiroshima e Nagasaki: la prima era all’uranio 235, la seconda al plutonio. Entrambe richiesero uno sforzo scientifico-industriale pazzesco. Ad esse, infatti, lavorarono praticamente tutti gli astri del firmamento scientifico dell’epoca e in 3 anni (dal ’42 al ’45) e con 2 miliardi di dollari (di allora), gli USA misero in piedi una schiera di laboratori scientifici e impianti industriali delle dimensioni dell’industria automobilistica statunitense del tempo. Solo per produrre il plutonio necessario per costruire la bomba di Nagasaki furono necessari 60.000 lavoratori, mentre la separazione dell’uranio 238 dall’uranio 235 - il solo utilizzabile per l’atomica - si rivelò un’impresa titanica. Prima di essere coinvolto nel Progetto, il grande fisico Niels Bohr era convinto che nessun paese si sarebbe imbarcato nella separazione dell’uranio, che - diceva - “avrebbe richiesto di trasformare un’intera nazione in un impianto industriale”. E di fatto l’impresa richiese la costruzione degli enormi impianti di Oak Ridge e costò 1 miliardo di dollari, ovvero assorbì la metà delle risorse economiche del Progetto.

Di fronte al successo alleato, la débacle tedesca è schiacciante. Ora, però, Karlsch se ne esce con tutta un’altra storia: i nazisti arrivarono addirittura ai test nucleari. Chiunque voglia sostenere una tesi del genere deve ammettere che per arrivare a testare bisogna avere un ordigno nucleare - anche rudimentale - e per costruire un ordigno serve necessariamente del materiale fissile: uranio 235 o plutonio. Che i nazisti non disponessero né degli impianti di separazione dell’uranio né di un reattore funzionante capace di produrre plutonio, lo sappiamo con certezza: entrambe non sono di certo strutture che possono essere fatte sparire dal giorno alla notte e tra la fine del ’44 e il maggio del ’45, mentre la Germania nazista colava a picco, l’intelligence alleata organizzò la missione scientifica Alsos, che cercò gli impianti, catturò i principali scienziati atomici tedeschi e li tenne rinchiusi per 6 mesi in una casa piena di microfoni nascosti, per spiare tutte le loro conversazioni e conoscere in dettaglio il loro programma nucleare. Leggendo i rapporti tecnici di Alsos e le trascrizioni delle conversazioni, emerge chiaramente che il progetto tedesco non era neppure paragonabile con quello su larga scala e incredibilmente finanziato, messo in piedi dagli alleati e che i nazisti non erano arrivati da nessuna parte nella produzione del materiale fissile. Ma allora con che costruirono gli ordigni testati? Se Karlsch vuole essere credibile, deve necessariamente rispondere a questa domanda.